domenica 27 aprile 2014

Faulkner, Hemingway, Malraux e il cinema italiano nel dopoguerra


Tecnica del racconto 

Come nel romanzo, è soprattutto partendo dalla tecnica del racconto che si può rivelare l’estetica implicita dell’opera cinematografica. Il film si presenta sempre come una successione di frammenti di realtà nell’immagine, su un piano rettangolare di proporzioni date, dove l’ordine e la durata di visione determinano il “ senso “. ‘oggettivismo del romanzo moderno, riducendo al minimo l’aspetto propriamente grammaticale della stilistica, ha rivelato l’essenza più segreta dello stile. Certe qualità della lingua di Faulkner, di Hemingway o di Malraux non potranno certamente essere rese in una traduzione, ma l’essenziale del loro stile non ne soffre affatto perche lo “ stile “ si identifica quasi totalmente in loro con la tecnica del racconto. La sceneggiatura di Quattro passi nelle nuvole è altrettanto ben costruita di quella di una commedia americana, ma scommetterei che un terzo delle inquadrature non era rigorosamente previsto. La sceneggiatura di Sciuscià non sembra affatto sottomessa a una necessità drammatica rigorosa e il film termina su una situazione che avrebbe potuto benissimo non essere l’ultima. Il delizioso filmetto di Pagliero La notte porta consiglio si diverte a legare e slegare malintesi che potevano essere senza dubbio mescolati del tutto diversamente. Sfortunatamente, il demone del melodramma, al quale non sanno mai del tutto resistere i cineasti italiani, vince qua e là la partita, introducendo allora una necessità drammatica dagli effetti rigorosamente prevedibili. Ma questa è un’altra storia. Ciò che conta è il movimento creativo, la genesi particolarissima delle situazioni. Il cinema italiano possiede quell’andamento da reportage, quella naturalezza più vicina al racconto orale che la scrittura, più allo schizzo che l dipinto. Ci voleva la spigliatezza e l’occhio di Rossellini, di Lattuada, di Vergano e di De Santis. La loro macchina da presa possiede un tratto cinematografico molto delicato, delle antenne meravigliosamente sensibili, che gli permettono di cogliere d’un tratto quel che si deve, come si deve. Nel Bandito, il prigioniero di ritorno dalla Germania scopre che la sua casa è distrutta, Non resta più degli edifici che un ammasso di pietre circondato da muri in rovina. La macchina da presa ci mostra la faccia dell’uomo, poi, seguendo il movimento dei suoi occhi, fa una lunga panoramica di 30 gradi che ci rivela lo spettacolo. L’originalità di questa panoramica è doppia: 1) all’inizio siamo esteriori all’attore dato che lo guardiamo tramite la macchina da presa, ma durante la panoramica ci identifichiamo naturalmente a lui, al punto di essere sorpresi quando, scoperti i 30 gradi, scopriamo un volto in preda all’orrore; 2) la velocità di questa panoramica soggettiva è variabile. Comincia di filato, poi quasi si ferma, contempla lentamente i muri in rovina e bruciati al ritmo stesso dello sguardo dell’uomo come mossa direttamente dalla sua attenzione. Un’inquadratura del genere si avvicina nel suo dinamismo, al movimento della mano che disegna uno schizzo; lasciando dei bianchi, abbozzando qui, là delineando e frugando l’oggetto. In un découpage del genere il movimento di macchina è molto importante. La macchina da presa dev’essrere pronta tanto a muoversi quanto ad arrestarsi. Carrelli panoramiche non hanno il carattere quasi divino che dà loro a Hollywood la gru americana. Quasi tutto viene fatto ad altezza d’occhio o a partire da punti di vista concreti come potrebbero essere un tetto o una finestra. Tutta l’indimenticabile poesia della passeggiata dei bambini sul cavallo bianco in Sciuscià si riduce a un’angolazione dal basso che dà ai cavalieri e alla cavalcatura la prospettiva di una statua equestre. La macchina da presa italiana conserva qualcosa dell’umanità della Bell-Howell da reportage inseparabile dalla mano e dall’occhio, quasi identificata con l’uomo, prontamente accordata alla sua attenzione. Quanto alla fotografia, va da sé che l’illuminazione non assumerà che un debole ruolo espressivo. Prima di tutto perché essa esige il teatro di posa mentre la maggior parte delle riprese vengono fatte in esterni o in ambienti naturali, e poi perché lo stile reportage si identifica per noi col grigiore dei cinegiornali. Sarebbe un controsenso curare o migliorare eccessivamente la qualità plastica dello stile.

 Il neorealismo e il post-neorealismo.
 Il cinema italiano secondo André Bazin, op. cit.

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