OGGI
al Circolo di Cultura Cinematografica " Yasujiro Ozu "
A staple of Brazil's
Cinema Novo movement, this psychedelic interpretation of Leone-styled Spaghetti
Westerns is a violent carnival of bursting colors and music
http://thirdmanrecords.com/news/view/light-sound-machine-presents-antonio-das-mortes
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Teatro delle azioni: il sertão.
Per non spingerci lontano possiamo
tradurre il vocabolo con badlands ( nel senso di Bruce Springsteen ) e anche …
Aspromonte, senza la ricca vegetazione di quest’ultimo.
Protagonisti principali: un sicario al soldo dei latifondisti e l’ultimo dei cangaceiros
trasformatosi in guerrigliero rivoluzionario. I cancaceiros furono dei briganti
( come il Musolino ed il Mittiga ) con, a volte, un anima da Robin dei boschi.
Nel cinema ed in Europa essi
apparvero nel 1953 al festival di Cannes, portati alla palma da V. de Lima
Barreto. Riapparvero, questa volta in Italia, nel 1970, con il fisico del ruolo
e la faccia di Tomas
Milian sulla scia dei film Quien Sabe (1966) di Damiano Damiani, Il Mercenario
(1968) di Sergio Corbucci, Queimada (1969) di Gillo
Pontecorvo e per ricordare ancora Tomas Milian Tepepa (1969) di Giulio Petroni
ed i due Cuchillo di Sergio Sollima. Nel 1970 il buon Tomas lasciò il Messico
rivoluzionario per trasferirsi nel sertão brasiliano. Fece ritorno in Messico,
e per l’ultima volta, nel 1972 con Vamos a matar companeros di Sergio “Django” Corbucci.
I due personaggi maggiori di Antonio
das Mortes (O Dragao da Maldade contra o Santo Guerriero, 1969) apparvero
dapprima ne Il Dio Nero ed il Diavolo Biondo (Deus e o Diablo na Terra do Sol,
1964) opere di Glauber “Barravento” Rocha.
Nel 1964 in Brasile, Glauber Rocha scopriva
il sertão, in Italia Sergio Leone Tolstoi scopriva il western. Penseremmo ad
una casualità ma forse non è così semplice da spiegare perché in quegli anni
Jean-Luc Godard girava Il Bandito delle 11 (Pierrot le fou, 1965) e Bernardo
Bertolucci Prima della rivoluzione, 1964.
Rocha + Leone + Godard +
Bertolucci = IL CINEMA
Cambiando l’ordine degli
addendi il risultato non cambia.
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In Antonio das Mortes i personaggi
avevano il volto di Mauricio do Valle, Antonio, e Lorival Pariz, Coirana.
Da aggiungere che il corpulento e
barbuto Mauricio per come appare sulla scena richiama sempre alla mente Demis
Roussos che in quegli anni solcava i palchi d’Europa con i suoi Aphrodite’s
Childs.
Antonio das Mortes viene assoldato da un proprietario terriero,
tirannico nei modi e nei fatti per porre fine ai giorni di Coriana, un
carismatico fuorilegge che sostiene di essere la reincarnazione del famigerato
cangaceiro Lampiao. I due si affrontano in un duello coreografico con il
machete. Coriana ferito mortalmente cade al suolo e nello stesso tempo scoppia
il caos tra i suoi numerosi seguaci. Ne consegue anche la crisi ideologica di
Antonio das mortes, il quale intuisce che i veri nemici della società non sono
i cangaceiros ma i proprietari terrieri, fonte di ogni oppressione.
Come l’ho esposta sembrerebbe la
trama classica per uno dei western italiani citati in apertura, con il soggetto di Franco Solina e Giorgio
Arlorio, o un qualsiasi prodotto della Hollywood illuminata e progressista.
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Per fortuna non è così. Sebbene
siamo allo scoccare degli anni sessanta dobbiamo tenere conto che Godard ha già
dato il meglio di se stesso e nei giovani registi di talento è ancora forte la
lezione di Roberto Rossellini.
Glauber Rocha, ancora oggi il più
importante regista brasiliano, aveva esposto anche teoricamente quello che
doveva essere il cinema del suo paese, in netto contrasto con gli autori del
suo paese che lo avevano preceduto, delineando le basi del Cinema Novo.
In Antonio das Mortes si spinge più
oltre e per far aderire e coinvolgere un pubblico più vasto fa suo l’evento
nazionale riconosciuto in tutto il globo terrestre: il carnevale, caricandolo
di simboli, a volte esoterici, difficili da decifrare.
Questo fa venire in mente un autore
che non è azzardato accostare a Rocha: Mklos Jancso, il quale dal lato opposto
dell’emisfero perveniva agli stessi risultati visivi se non ideologici.
Il film di Rocha, a cavallo tra
narrazione mitica e radicalismo politico, non è altro che una festosa danza
ipnotica, cromaticamente satura dei colori tropicali accompagnata dai ritmi
tribali della musica popolare.
Chi ne esce con le ossa rotte e Antonio das Mortes: in fondo al
film lo troviamo che vaga solitario sull’autostrada, contro il senso di marcia
dei pesanti autocarri che trasportano i grossi tronchi ricavati dal massiccio
disboscamento della foresta amazzonica. La sua avanzata è ambigua, lo vediamo
solo di spalle, sta cercando un senso dentro la propria vita, oppure …
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