domenica 31 maggio 2020

L'attrice ha bisogno di essere amata e adorata

… un'attrice ha bisogno di essere amata e adorata e farebbe qualunque cosa di cui è capace una donna per ottenere adorazione e amore. E’ capace di simulare una crisi come il bimbo può fingere un male per attrarre l'attenzione dei grandi. lo vidi una scena simile. Un'attrice entrava una mattina in teatro, l`ambiente era triste come sono i teatri di posa la mattina presto (gli operai battono e picchiano; l'ambiente è come un appartamento vecchio e sonnacchioso disabitato da tempo; fa freddo): l`attrice ebbe un'idea: svenne, per quello che io possa immaginare, finse di svenire.  Cadde di schianto in un angolo del salone di carta dipinta. In breve il teatro si rianimò, si accesero le lampade di qualche migliaio di candele per scaldare la diva, qualcuno accorse con un bicchiere d'acqua, altri sosteneva il suo dolce e truccato peso. Quando ella cominciò più tardi a recitare, regnava attorno a lei un silenzio di clinica.  Tra finzione e verità nessuno si diede la pena di approfondire se ella fosse stata veramente male; anche se avesse simulato, era in armonia con l’atmosfera degli studi, lo stesso che fosse stato vero. Come sapeva svenire, quest'attrice sapeva piangere. Non rido di queste cose poiché so che in arte l'atteggiamento fa spesso la funzione: una buona materia a un'artista figurativo, o un buon inchiostro odoroso e carta  buona a uno scrittore propiziano l’ispirazione, queste sono le emozioni quasi inconfessabili che aiutano l'artista nel suo lavoro e ne rendono dilettosa la strada. Che questa attrice, chiudendosi il viso tra le mani e rimanendo assorta nel silenzio dello studio riuscisse poi a levare, al cospetto di tutti, due occhi pieni di lacrime vere, pareva dapprima quasi inumano. Cosi accadde e sulle sue lacrime pronte e limpide la voce del direttore tuonò: Avanti si gira. Era penoso  ed era inesplicabile che la povera signora piangesse a dirotto, ed era altrettanto penoso che ci si affrettasse a lavorare perché ella avrebbe consumato entro mezz`ora la sua risei va di vere lacrime. A ogni intoppo o ritardo ella avrebbe dovuto compiere nuovamente la violenza di quel pianto su se stessa. Mi spiegarono poi, persone esperte in questi segreti, che per piangere quando si voglia basta rimanere qualche tempo a occhi sbarrati senza batter ciglio: non ci ho mai provato e lo dò per dimostrato: ma poi, nel caso della signora che piangeva in teatro certo s'inserisce qualcosa di umano, un dolore antico, una pietà di sé e dei dolori sofferti; insomma, alla fine il pianto diventa vero. Dico che era straziante e avevamo pena della signora come se tutti l'avessimo picchiata.  Ma accadde qualcosa di ancor più strano. Un'altra attrice, e naturalmente rivale di colei, la quale aveva giurato di non saper piangere altro che per una ragione vera e mai per artificio, dovendo affrontare anch'essa la parte lacrimosa, punta dalla felicità del pianto della sua rivale, scoppiò d`un tratto anch'essa in un piangere dirotto, si presentò in scena selvaggiamente felice di quelle lacrime che le scendevano dagli occhi. Cera un inconveniente per ambedue: bisognava ritoccare di continuo il nero delle ciglia che sbavava sotto le lacrime bollenti. Non si sentiva volare una mosca, nient'altro che lo sfrigolio del riflettore che nel gergo degli studi si chiama madama; tutti avevano un viso pietoso; quel duello femminile in cui si disputava una abilità artistica a colpi di singhiozzi, di lacrime ben grosse, di bellissime contrazioni di muscoli del viso, era sconcertante, assurdo, senza possibilità di conforto.
CORRADO ALVARO, Cinema nel marzo 1937 
In apertura, Clara Calamai sulla copertina di  Film D'OGGI Anno 1 - n. 1 - 9 giugno 1945

giovedì 28 maggio 2020

Un leone a Culver City - From Europa


Europei a Culver City

Oltre a Victor Sjostrom, che fra il 1923 e il 1930 riuscì a conservare, pur con risultati ineguali, un notevole prestigio presso i dirigenti della M.G.M., vari altri registi furono chiamati a Culver City negli ultimi anni del muto: il francese Jacques Feyder che dirigendo fra l'altro la Garbo in The Kiss (Il bacio1929) ne inaugurò la maniera per così dire "materna", destinata a divenire più tardi parte integrante della personalità dell'attrice; il danese Benjamin Christensen, autore del celebre film La stregoneria attraverso secoli (realizzato in Svezia nel 1921), che diresse The Devil's Circus (1926) e Mockery (1927) con Lon Chaney; il tedesco Ernst Lubitsch, che dopo So This is Marriage (1924) fu il regista di un film operettistico, The Student Prince in Old Heidelberg (Il principe studente1928), tratto dal libro "Karl Heinrich" di Meyer-Forster, con Ramon Novarro e Norma Shearer; e infine il russo Dimitri Buchowetsky, che, dopo il successo dei grossi film in costume da lui diretti in Germania, fu chiamato a dirigere prima Mae Murray in Valencia (1926), e in seguito persinoLa Garbo in Love (Anna Karenina1928): ma, per motivi imprecisati, dopo le prime scene il film gli fu tolto di mano e affidato alla puntuale diligenza Edmund Goulding. (continua)
Fausto Montesanti 
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10-25 DICEMBRE

A sinistra: Mae Murray con Lloyd Hughes in Valencia del 1926




mercoledì 27 maggio 2020

C'era una volta il cinema Orfeo


DOTATO DI IMPIANTI STEREOFONICI
 Inaugurata al Cinema Orfeo
la nuova stagione cinematografica
Grazie alla solerzia degli esercenti la sala è
attrezzata anche per i film tridimensionali
I signori Spanò e Caruso, giovedì sera erano particolarmente raggianti per aver donato alla affezionata clientela un locale, sì di film di seconda visione, ma che non ha niente da invidiare alle sale maggiori della nostra città: l’Orƒeo. L’elegante cinema che sorge in via Nino Bixio, è stato infatti dotato dei più recenti impianti di proiezione e di sonoro.
Con uno spettacolare «cinemascope», «Operazione Mistero» che si vale della buona interpretazione del magnifico Richard Widmark e di una regia che abilmente sfrutta le possibilità del sistema di ripresa a vasto campo, l'Orƒeo ha inaugurato i grandi impianti stereoƒonici forniti dalle officine Prevost di Milano e consistenti nel «cinemascope stereofonico sistema Fox», «Perƒecta stereofonic sound sistema Metro», «Vista vision sistema Paramount» e «Sistema tridimensionale e panoramico».
Non possiamo non congratularci con gli esperti appassionati gestori dell'Orfeo che hanno saputo realizzare in breve tempo; e prima di altre sale - anche di prima categoria – una perfetta scelta delle apparecchiature
necessarie per la proiezione di film spettacolari e soprattutto di quelli che abbisognano appunto di particolari impianti per essere visionati.
E la nostra soddisfazione è maggiore perché questa innovazione e stata realizzata in una sala di seconda visione che non resta, quindi, seconda a nessuna, a riprova che la grande passione per il cine dei messinesi trova riscontro e soddisƒazione nella solerzia degli esercenti, i quali nulla tralasciano per mettersi al passo
con il progresso.
Chiudiamo questa nota rinnovando le nostre congratulazioni ai signori Caruso e Spanò, non senza un beneaugurante «ad majora».
GAZZETTA DEL SUD, 13 NOVEMBRE 1954
 
Nota - Il cinema Orfeo negli anno '70 del secolo passato sotto la gestione del compianto Gianni Parlagreco si trasformò in Capitol, e la programmazione divenne di Prima Visione. Anni dopo con una nuova gestione divenne sala a luci rosse per finire tristemente con una programmazione di videocassette o CD con proiezione fatta per messo del video proiettore.


lunedì 25 maggio 2020

PVFF - Platì Virtual Film Festival - Second Season

Quando si dice che il film deve piacere al pubblico,
si enunzia grossolanamente una verità fondamentale
di ogni arte.
 Corrado Alvaro


 PVFF
Platì Virtual Film Festival
Second Season
Sotto gli auspici di Enzo Ungari



CORRADO ALVARO
o
il vero spettatore cinematografico
20 film da vedere assolutamente

Programma:
Altri tempi (Zibaldone n. 1), Italia 1952; Alessandro Blasetti.
L'amante del torero (The bull-fighter and the lady), USA 1951; Budd Boetticher.
L'Angelo azzurro (Der blaue engel), Germania 1930; Josef von Steinberg.
L'asso nella manica (The big carnival o Ace in the hole), USA 1951; Billy Wilder.
Atlantide (Die herrin von Atlantis), Francia-Germania 1932; Georg W. Pabst.
Aurora (Sunrise), USA 1927; Friedrich W. Murnau.
Bellissima, Italia 1951; Luchino Visconti.
I dannati (Decision before dawn), USA 1951; Anatole Litvak.
9 Diario di un curato di campagna (Journal d'un curé de campagne), Francia 1950; Robert Bresson.
10 Il dottor Caligari (Das kabinett des Dr. Caligari), Germania 1920; Robert Wiene.
11 Germania anno zero, Italia-Germania, 1947; Roberto Rossellini.
12 Luci della ribalta (Limelight), USA 1952; Charles Chaplin.
13 Metropolis (id.), Germania 1926; Fritz Lang.
14 1860, Italia 1934; Alessandro Blasetti.
15 Morte di un commesso viaggiatore (Death of a salesman), USA 1951; Laslo Benedek.
16 Rashômon (id.), Giappone 1950; Akira Kurasawa.
17 Risate in paradiso (Laughter in paradise), G. Bretagna 1951; Mario Zampi.
18 Roma città aperta, Italia 1945; Roberto Rossellini.
19 Salerno ora X (A walk in the sun), USA 1945; Lewis Milestone.
20 Sangue blu (Kind hearts and coronets), G. Bretagna 1949; Robert Hamer e John Dighton.
21 Telefonata a tre mogli (Phon call from a Stranger), USA 1952; Jean Negulesco.
22 Umberto D., Italia 1952; Vittorio De Sica.
23 Un uomo tranquillo (The quiet man), USA 1952; John Ford.
24 Verso la vita (Les bas-fonds), Francia 1936; Jean Renoir.
25 Viale del tramonto (Sunset boulevard), USA 1950; Billy Wilder.

Il cinema Corrado Alvaro lo portò sempre con sé. Accanto alla sua attività di romanziere, viaggiatore, giornalista e quant'altro, il legame col cinema non lo staccò, stancò mai: dentro l'industria dapprima e come saggista e critico dopo. I film riportati sopra ne sono un esempio. Quale più, quale meno sono sempre stati visti con l'occhio dello spettatore cinematografico più accorto. Le sue critiche erano tutte derivate dalla sua esperienza di scrittore ma anche di uomo vissuto. I suoi apporti critici a film come Diario di un curato di campagna, Morte di un commesso viaggiatore, Rashômon, Umberto D., Un uomo tranquillo, tra gli altri, letti con pieno coinvolgimento emotivo e con spirito libero. Le sue esperienze basilari di vita nella Grande Guerra e nella Germania di Weimar confluite dapprima nelle opere letterarie, le ritroviamo nelle recensioni de I dannati (Decision Before Dawn) e in Salerno ora X, schifoso titolo per l’edizione italiana di A Walk in the Sun e quando parla della nascita del mito di Marlene Dietrich in L’angelo azzurro. Negli scritti sul cinema un Alvaro poco ossequioso col potere specie quello ecclesiastico, ad onta di un fratello prete che probabilmente lo capì poco, lui a dover fare i conti con le città in espansione, don Massimo a Caraffa del Bianco dove ancora tutto era legato ai cicli della terra. Leggendo lo scritto sul capolavoro di Robert Bresson -  Diario di un curato di campagna - si intuisce la sua profonda conoscenza del mondo dei preti, sulla loro vita e missione. E qui voglio ricordare che don Massimo fu compagno in seminario di Ernesto Gliozzi il giovane e aiuto di Ernesto Gliozzi il vecchio, parroco in Casignana. Egli, per finire, fu uno dei pochi ad intuire la portata estetica e morale di un cineasta come Alessandro Blasetti - “l’amore delle idee generali, la prima dote che colpisce accostandolo; anche in chi come me, gli ha parlato per qualche istante una volta appena(1) - e a cui il cinema italico deve molto. Alvaro intuì l'importanza e i pregi di 1860 – “mostra quali risultati si possano ottenere in Italia sia pure con una certa economia di mezzi (2) - ben prima di Martin Scorsese.

(1 ) Su "Il Mondo", 15 novembre 1952
(2 ) Su "Nuova Antologia" 16 maggio 1934


Forse dopo Corrado Alvaro le critiche più originali le ritroviamo proprio in Enzo Ungari (1948 - 1985)

domenica 24 maggio 2020

La poesia di Limelight

Limelight si svolge in gran parte attraverso una vicenda affidata alla finzione teatrale. I numeri di varietà che vi sono inseriti, il sognato incontro di primavera con quel piumino da spolverare che diventa un mazzo di fiori; il numero del domatore di pulci; la canzone della sardina; il duetto finale con Buster Keaton, non sono tanto ritorni a motivi cari a Chaplin per fare spettacolo, quanto modi di proiettare la vicenda reale in una simbologia evidente, la fortuna e la sfortuna delle illusioni che offre il teatro. Vien fatto di notare che in passato, in molte scene comiche di questo genere, la truccatura di Chaplin era piuttosto amabile, la maschera cara an- che ai bambini. In Limelight, la truccatura non nasconde la faccia reale dell'uomo che lotta, trafelata e travagliata dalle competizioni con la vita, disperata, vendicativa. E un Chaplin che strappa il velo delle illusioni e mostra il viso dell'uomo sofferente che lotta per adempiersi. La poesia di quella finzione che è il teatro, cui questo film è il maggiore omaggio che fino ad ora abbia dato il cinema, è una delle doti più attraenti di Limelight. Il retroscena, la pedana del palcoscenico, la ribalta, sono in questo film paesaggi veduti con l'occhio di chi ne conosce le ore e i momenti come d'un paesaggio natale. E il paese di Chaplin. E la poesia che si leva dalla danza piena di trepidazione di Teresa, sulla pedana lucida come l'asfalto, mentre il suo creatore e amico e innamorato e padre trema dietro le scene, è il canto d'una vita che comincia, e che sotto il giudizio degli uomini, accigliato e infine vinto, sente di essere entrata
 come una forza nuova nel mondo, a prendere il posto di chi cade nella lotta. La conquista di niente altro che del diritto alla vita.
CORRADO ALVARO « Il Mondo», 3 gennaio 1953

venerdì 22 maggio 2020

L'innocente Lea



TIPI E CARATTERI
LEA PADOVANI

Se l’immissione continua di nuovi elementi per ogni cinematografia è fattore decisivo di continuità e di miglioramento, per quella italiana è addirittura condizione indispensabile di vita, ora che il problema primo per la nazione è quello di rompere i ponti col passato e costruire “ex novo” ogni cosa. Non deve quindi sembrare inopportuno che “Film d'oggi” inizi una galleria di elementi che possono costituire i quadri di oggi e di domani del nostro cinema nuovo, quando ancora la nostra produzione è lungi dall'aver ripreso.
Lea Padovani ha poco bisogno di essere presentata, ma un urgente bisogno di essere ripresentata.
Questa ragazza infatti ha già interpretato come prima attrice, sostenendo la parte di un'ingenua collegiale l'ultimo film di Macario. L'innocente Casimiro, la cui visione sconsiglierebbe ogni uomo di buon gusto dal fare affidamento su di lei per il nuovo cinema italiano.
Ma appare chiaro a chiunque l’abbia vista in teatro, e queste foto si sforzano di dimostrarlo, che questa giovane attrice è qualcosa di meglio che non una collegiale convenzionale e dolciastra; potrà semmai fare “certe” collegiali. E’ quanti che possono venir furi le sue caratteristiche più intime e più espressive: un viso di adolescente con occhi acuti e gravi su di un corpo esuberante di donna.
Un tipico esemplare della gioventù del dopoguerra, cresciuta fra difficoltà molteplici e crude, fra guerre, rivoluzioni, rovine materiali e morali, in un clima di dispersione spirituale forse senza precedenti. Ma non vorrei aver dato una impressione troppo cupa né aver segnato dei limiti troppo precisi. Senza dubbio, infatti, Lea Padovani è fra le giovani attrici una di quelle più dotate di senso umoristico nella sua accezione più moderna, americana direi, cosa che le dà evidentemente la possibilità di interpretare con successo ruoli comici o addirittura caricaturali; pur non escludendo che le si addica, anche il dramma.
Per la storia diremo che Lea Padovani è uscita dall'Accademia di Arte drammatica di Roma, recita a attualmente nella compagnia Macario e si prepara ad affrontare, la prosa.
Che il cinematografo prima o poi la requisisca ci appare inevitabile. Se questa operazione avverrà sotto l'auspicio di qualche uomo di cinema intelligente e di gusto, Lea Padovani, collegiale cattiva sarà una delle nostre attrici migliori.
SERGIO SOLLIMA
Film D'OGGI Anno 1 - n. 1 - 9 giugno 1945

Lea Padovani è ritratta da Barzacchi

mercoledì 20 maggio 2020

Corrado Alvaro: Il carattere di Charlie Chaplin


È la prima volta in Limelight (Luci della ribalta) che in un film di Charles Chaplin il protagonista muore. Ha successo finalmente ma muore. Negli altri, correva da insuccesso a insuccesso, la speranza chiamava la vita ed era la stessa vita. Sul valore della vita, l'eroe di Chaplin non aveva neppure il tempo di riflettere, era giovane, prendeva quello che poteva. Erano tempi di miseria ma il mondo era ricco. In quasi tutti i film di Chaplin è l'idea di una immensa ricchezza che si spreca; soltanto che essa non tocca al protagonista se non per caso o errore. Del resto, egli non fa conto di che cosa sia la ricchezza, non la valuta, non la invidia, non la desidera neppure; è un concetto che non gli entra nella mente; essa è lontana da lui come è lontana la luce del sole che lo illumina e lo scalda; ne profitta ma non ne misura la forza e tanto meno il mistero.
In genere, nei film di Chaplin non c'è rivolta né critica sociale; le si trova in Monsieur Verdoux, un film velleitario del falso o ingenuo intellettualismo degli istintivi, ma non 'nel resto. L'eroe di Chaplin accetta la società quale è, e anzi cerca di inserirvisi. Soltanto che è maldestro, buffo, impresentabile. C'è una differenza di razza tra lui e il detentore della ricchezza e della fortuna, in genere tardo se non stupido, in cui l’educazione è una forma di debolezza; e nei momenti in cui è generoso, pazzo o distratto o ubriaco. L'eroe di Chaplin è un errante e un vagabondo che non riesce, con tutta la sua buona volontà, a inserirsi in un sistema. A modo suo, sogna sempre la fortuna. La vita è una selva di persone che egli capisce, sì, con le loro debolezze e magagne, con una fondamentale inconsistenza, solidi per complicità, ma cui egli non riesce ad adeguarsi. C’è molto disprezzo nel modo con cui 'l'eroe di Chaplin vede la vita. Egli può disprezzare anche se stesso per il suo stato sociale ma non per le sue possibilità. Si disprezza nella sua presenza contingente ma non per quello che potrebbe essere. Gli altri li disprezza per quello che sono, nel loro carattere immutabile e nel loro atteggiamento fisso. Se mai, le maschere sarebbero loro, i regolari, non lui, l’irregolare. Essi sono la società, e questa società bisogna vincerla, adeguarvisi sia pure ingannandola più o meno ingenuamente. I potenti, in Chaplin, sono in genere anche fisicamente schiaccianti, grossi animali sopravvissuti alla preistoria dell'uomo: sono i violenti e i malvagi e gli avari e gli ingenerosi al confronto di un prodotto più debole ma più interessante della civiltà: l'uomo dotato di intelligenza e di umanità, starei per dire l’intellettuale. E Ulisse contro Polifemo, Davide contro Golia. Del tipo debole e scaltro, Chaplin ci presenta spesso un altro lato del carattere: l’incapacità di reggere a una fortuna grande o piccola che sia, il fatto di tradirsi diventando più goffo e più inopportuno; è un nuovo fallimento, e si ricomincia daccapo.
Corrado Alvaro su:« Il Mondo», 3 gennaio 1953

In apertura - 1944: Invecchiato, dignitoso, in apparenza impenetrabile, Charlie Chaplin si reca al processo intentato da Joan Berry per il riconoscimento di paternità di una figlia . Attorno a lui non è più la folla entusiasta che lo idoleggia da trent'anni. Egli è solo.