lunedì 9 settembre 2019

The Almighty's accounts are out

One of the most rewarding screen experiences of our time.
Roger Ebert

That's the way it is.
All your life you sweat, trying to educate children, sowing the seeds of knowledge in their minds.
Then they go trotting off to become judges and magistrates, leaving you like an ox yoked to the mill.
So on one level...
I'm proud of my students, but I'm jealous too.
There's an injustice in it somewhere.
The Almighty's accounts are out of balance somewhere.

È così che va.
Una vita di fatica, cercando di educare i bambini, piantando il seme della conoscenza nelle loro menti.
Poi loro se la svignano diventano giudici o magistrati, ti lasciano come un bue legato al mulino.
E così via...
Sono orgoglioso dei miei allievi, ma sono anche invidioso.
C'è qualcosa di ingiusto in questo.
I conti dell'Onnipotente hanno un buco da qualche parte.
Satyajit RayMahānagar (La Grande Città),1963


Haren Chatterjee as Priyogopal

giovedì 5 settembre 2019

Maestro in Larissa,Greece



 Created by Asterios Laskaris, Christos Laskaris and Dimitra Kalogirou 
L'originale è qui: 
https://www.voanews.com/arts-culture/greek-town-loves-movie-score-maestro-morriecone-and-it-shows

LA CITTA' E LO SPAZIO in Vittorio De Sica - ontologia ed etica


Non vorremmo essere fraintesi. L'ottica con cui abbiamo in queste pagine osservato parte dell'opera cinematografica di De Sica non ha né la pretesa di porsi come l'unica possibile, né quella di essere — per come l'abbiamo condotta — esaustiva. Il lettore accorto noterà che più di una volta le singole conclusioni cui siamo pervenuti coincidono con altre precedenti di diversa metratura critica (e in questo senso abbiamo ritenuto opportuno non rilevare bibliograficamente tali coincidenze di risultati, che però ci guardiamo bene dal negare). L'unico bersaglio che ci eravamo proposti era, come si è detto in apertura, quello di dimostrare il preponderante ruolo che la città e ii suo spazio (o, se si vuole, Io spazio] giocano
nel cinema di De Sica, il modo in cui queste componenti si organizzano e si presentano, ed insieme la sfiducia che l'autore nutre nei loro confronti. Ci sembra ne sia uscita una piccola ontologia dello spazio strutturata secondo alcune evidenti opposizioni (nonché la immagine di un impegno tecnico spesso tutt'altro che casuale).
Un'ontologia che si configura, però, anche come una sorta di etica: lo spazio infatti diviene in questo cinema anche e soprattutto luogo morale, essenziale componente esplicativa delle linee umane centrali del discorso, segnale di una condizione dolorosa e sofferta. Certo, a parte la frammentarietà dell'analisi in sé, rimane da discutere approfonditamente l’aspetto sociologico del problema, che del resto, come abbiamo già detto più sopra, coinvolge un importante ulteriore problema — forse il più importante — relativo alla natura e alla matrice culturale del neorealismo cinematografico come fenomeno globale. Intanto, non è più possibile a questo punto affermare con Bazin che “le néo-réalisme ne connait que l'immanence “ e che in questo cinema (a dire il vero la frase riguarda UmbertoD.) e “le monde exterieur se trouve réduit au réle d'accessoire de cette action pure et qui se suffit é elle-méme " 17. Al contrario, il mondo esterno — almeno in De Sica —è parte integrante e non accessoria, riflesso preciso, spesso in modo dialettico, del mondo interiore del personaggio. E quindi tutta una concezione del neorealismo come pura fenomenologia va rivista criticamente.
Poi, come si è già detto, il rapporto fra cultura urbana e cultura rurale sembra uscirne caratterizzato da scelte di fondo pressoché inequivocabili. Scelte di cultura e di affetti che lasciano trasparire una visione del mondo spesso alquanto diversa da quella che in un primo tempo sembrava qualificare gran parte di quel cinema (si pensi — e qui l'errore è macroscopico — alla definizione di Ladri di biciclette come “film comunista” data da Bazin 18).
Non vorremmo sembrare troppo audaci accostando a queste scelte le pagine che Spengler ha dedicato al rapporto fra città e campagna in “Il tramonto dell'occidente" 19. Si rileggano quelle parole e si veda come per Io storico reazionario quel rapporto si ponga in termini di inevitabile mutamento ed evoluzione, non per questo però per lui meno esecrabile. L'ambiente urbano è l’ambiente dei traffici commerciali, dei profitti mercantili e dell'usura; esso è a fondamento del mondo moderno, ma è anche la negazione della natura, della spiritualità caratteristica delle culture rurali, e il suo stesso trionfo ha in sé i germi della propria fine. A parte la visione apocalittica conclusiva, non è difficile rilevare in questo tipo di pensiero alcune analogie di fondo con il modo in cui “malgré soi” parecchio cinema neorealista, ci ha presentato la campagna o il suo contrario, la città. Ma ancora una volta dobbiamo fermarci qui, attendendo il giorno in cui uno studio del neorealismo in questa chiave verrà tentato. E’ comunque certo che il cinema di De Sica, particolarmente fecondo ai fini di un’analisi sulla città e sui rapporti e i valori spaziali, sarà quel giorno punto di riferimento imprescindibili. *

17 Cfr. André Bazin: -“Ou'est ce que le cinéma? “, cit., pp. 76 e 89.
18 Ibid., p. 49.
19 Cfr. Oswald Spengler: “Il tramonto dell’occidente”. Milano, Longanesi. 1970, pp. 796-825.

* Desideriamo esprimere qui la nostra gratitudine alla Cineteca Nazionale e alla Cineteca del Comune di Bologna per l‘aiuto e l’assistenza che ci hanno prestato nel reperimento e nella visione dei film di Vittorio De Sica.
FINE
Franco La Polla, BN BIANCO NERO, MENSILE DI STUDI SUL CINEMA E LO SPETTACOLO 9/12, 1975


martedì 3 settembre 2019

Detective Thriller - The Simple Art of Murder

Rivoluzionario nello stile quanto nella scelta dell'ambiente e dei personaggi descritti, Hammett figura oggi come uno dei maggiori scrittori della letteratura americana di quel periodo. La sua preoccupazione maggiore era quella infatti di aderire nella forma alla realtà del suo tempo, e mai in modo esteriore o naturalistico.  Periodi ben calibrati, scene rifinite, solidi capitoli che procedono deliberatamente, vanno bene per lo scrittore che dice al suo lettore: Senti, queste cose sono avvenute, ora te le racconto. Non vanno bene per colui che dice: Guarda ti sto mostrando quel che sta avvenendo. Questo tipo di scrittore deve sapere come gli avvenimenti progrediscono, non come ci se ne ricorda più tardi, ed è in questo modo che egli deve scriverli, affermava nella sua comunicazione al Congresso degli scrittori americani. La scoperta del colpevole passava in secondo piano e ogni storia, invece di rispondere alle esigenze del « whodunit ››, mirava soprattutto a svelare le condizioni di possibilità e i modi di apparizione del delitto, l’aspetto sinistro della lotta per la vita, in un mondo, come scriveva Raymond Chandler, nella « Semplice arte del delitto», «in cui i gangsters possono guidare le nazioni e almeno guidano le città, in cui gli alberghi e le case d'appartamenti e i ristoranti alla moda sono proprietà di uomini che hanno fatto i loro quattrini con i bordelli, un mondo dove un giudice con una cantina piene di liquore può mandare in galera un uomo perché ne aveva una bottiglia in tasca, dove il sindaco della vostra città può aver condonato un omicidio come un mezzo per far quattrini, dove non si può camminare con sicurezza in un vicolo buio perché la legge e l'ordine sono cose di cui parliamo ma che ci asteniamo dall'attuare, un mondo dove potete assistere a una rapina per strada in pieno giorno e vedere chi l’ha compiuta, ma scomparirete subito dopo nella folla invece che parlarne, perché il malvivente può avere amici con pistole lunghe o la polizia può non gradire la vostra testimonianza, e in ogni caso l'avvocato difensore sarà autorizzato a insultarvi e maltrattarvi in tribunale, davanti a una giuria di scelti deficienti ». (continua)

Franco Ferrini, I GENERI CLASSICI DEL CINEMA AMERICANO, BIANCO E NERO, 1974 Fascicolo ¾


domenica 30 giugno 2019

The ties in the movies - tipologie



Esiste poi un'altra angolazione nel vedere la cravatta nel cinema: il vedere cioè come essa serva a meglio delineare la personalità di alcuni attori e ne sia riferimento costante e continuativo, contribuendo a crearne una tipologia.
- il tranquillo: James Stewart, con le sue cravatte perbene, seriose, con tanto di spilla, la sua riservatezza, la sua pacata ironia;
- il brillante: Jerry Lewis, con cravatta demenzial-pacchiana;
- l’amatore un po' retrò: Burt Lancaster, con raffinate cravatte in reps bianco con stemmino jacquard;
- il tenebroso: le cravatte nere, falliche di Humphrey Bogart, simbolo di ferma virilità;
- lo spaccone: la cravatta molle di Paul Newman nel film omonimo;
- il rubacuori: cravatta ostentata a pois del Clark Gable mito;
- il buono: cravatte sempre un po' spostate, da maternamente riassettare di Spencer Tracy;
- l'erotico: Jack Nicholson che ostenta in continuazione splendide cravatte in Chinatown;
- l’esibizionista; lo splendido Richard Gere che fa della sua vestizione una masturbomania;
- il nevrotico: la cravatta di James Dean, sfuggente come la sua vita.
E si potrebbe continuare.
Da questa tipologia può nascere anche un altro tipo di comparazione: come ad una certa fisionomia di uomo corrisponde una particolare forma ed anche un particolare tessuto di cravatte.
Ecco che il comico predilige il raion stampato ed i farfalloni, il raffinato il crêpe più classico a piccolissimi disegni, il gay certe cravattine allusivo-chic di canneté, il ribelle ostenta disprezzo anche nei materiali e nei colori.
E si potrebbero osservare anche altri tipi di correlazione: come un attore porta una cravatta e anche perché non la porta, se nel suo essere e nella sua identificazione questo non portarla serve ad evidenziare qualcosa, una libertà da certi schemi per esempio, o se invece il portarla “insistita” serva a ratificarne altri, tipo recherche e rivisitazioni culturali.
Tutto ciò non sembri troppo riferito ad una “semplice” cravatta: mai elemento del vestire maschile fu così denso di possibilità e significati e allusioni tanto che anche la donna che la indossa, (quelle sullo schermo ce lo insegnano) trae da queste possibilità e significati e allusioni, altre sue motivazioni e sfide.
Marina Nelli, VIETATO FUMARE tuttocinema & dintorni ANNO I – N. 1 – NOVEMBRE 1984

giovedì 6 giugno 2019

The tie in the movies - E le situazioni?



CASO A - La cravatta-sesso
c’è un lui, finito l’amore, che si rifà il nodo, già un po' assente.
variante 1) un lui, prima dell`amore, che si scioglie la cravatta o se la fa sciogliere;
variante 2) una lei che “saggia” la cravatta (vedi Greta Garbo in “Il Bacio”) ora timida, ora audace, comunque allusiva.
CASO B - La Cravatta-famiglia
marito che lavora, moglie casalinga e sottomessa, che non manca mai di aggiustargli, col bacio mattutino, il nodo della cravatta (Shirley Mac-Laine).
variante 1 stessa situazione in altre ore della giornata, sempre moglie o amica ombra dell’uomo protagonista.
CASO C - La cravatta-lite due lui che si afferrano per la cravatta in un alterco.
variante 1- il malvivente inchiodato al muro per la cravatta (tipo Grattacielo Tragico)
CASO D - La cravatta-gag La Vendetta Della Pantera Rosa” con la sua esilarante comicità.
CASO E - La cravatta-androgino il come sia, appaia o meglio non appaia, Julie Andrews in “Victor Victoria” ed anche la fascinosa Marlene Dietrich nel suo primo periodo hollywoodiano e perfino la patetica aggressività di Liza Minelli in New York-New York.
CASO F - La cravatta-sbornia come nei fumi dell'alcool slacciare, scomporre e far pendere la cravatta.
 (continua)
Marina Nelli, VIETATO FUMARE tuttocinema & dintorni ANNO I – N. 1 – NOVEMBRE 1984

lunedì 3 giugno 2019

LA CITTA' E LO SPAZIO in Vittorio De Sica - orizzontalità & verticalità



Per quel che riguarda invece i due complessi compositivi di carattere prospettico di cui si diceva, l'incontro di orizzontalità [normalmente il piano stradale] e di verticalità {normalmente un muro] dinamizzate dall'obliquità dell’angolo di ripresa, si presenta quasi subito nel film 15. Dopo |'avviso dei poliziotto in borghese che la manifestazione dei pensionati non è autorizzata compare immediatamente in scena la celere che si lancia con le jeep lungo una strada stretta e soleggiata sul cui fondo si nota la piccola, confusa massa nera dei vecchi. Fin dall'inizio il corteo ha una sua innocuità, una sua risibilità dei tutto evidente: si pensi solo alla scena in cui basta l'arrivo cli un tram a spezzare la fila vociante di dimostranti e cartelli 16. Ma l'arrivo della polizia porta il senso di triste ridicolo a proporzioni anche maggiori. L'inquadratura cui accennavamo denota, nella sua concezione figurativa totale, una forza, una velocità, una sicurezza quasi eccessive nei confronti del malandato gruppo per cui le jeep si sono scomodate. Basti pensare alla splendida galleria di volti colti durante la dimostrazione nella piazza: sdentati, rugosi, meccanicamente asciutti, i poveri vecchi di De Sica sono il controaltare dei bei volti rivoluzionari giovani e sicuri di certi primi piani di Eisenstein. Non per nulla, un poliziotto in piedi su una jeep cercherà con atteggiamento tutto sommato alquanto pacifico di far sfollare i dimostranti battendo le mani, come per spaventare e allontanare degli animali da cortile. Tutta la sequenza della dimostrazione, insomma, punta sin dall'inizio verso il suo acme di risibilità, ovvero le scene della piazza [si ricordi, ad esempio, ii vecchio che corre impaurito e scomposto inseguito a pochi centimetri da una jeep]. ln questo contesto la scena specifica di cui si è detto più sopra scopre il suo senso eccezionalmente dinamico in relazione ad un fatto che non la giustifica se non per mostrare, appunto, la sproporzione fra la causa e l'effetto. Ancora, uscito dall'ospedale, Umberto saluta il suo occasionale compagno di corsia con molta affabilità e amicizia (dopotutto, il suo vero, grande problema non e la solitudine?]: quindi si incammina lungo il muro esterno dell'ospedale le cui linee verticali, insieme a quelle orizzontali della strada, riprese ancora da un angolo oblique, corrono veloci in prospettiva. E Umberto sembra correre con loro, veloce, libero, felice nella giornata piena di sole {ciò che del resto farà poco dopo salendo nel verde di un piccolo parco con la sua valigia vuota.
Gli esempi di questo tipo di composizione prospettica si fermano qui. Essi sono infatti gli unici due momenti del film che denotano, nel bene e nel male, un dinamismo per il resto pressoché completamente assente nell'opera, caratterizzata, lo si vede a occhio nudo, da una dominante staticità. O meglio, da una sorte di opposizione fra staticità complessiva e dinamicità specifica. In altre parole, i personaggi centrali Umberto e la servetta si muovono quasi sempre davanti alla macchina da presa, ma ogni volta all‘interno di uno spazio statico. Naturalmente, non intendiamo soltanto la camera, la casa, ecc., anche se di fatto questo avviene spesso [si può immaginare una sequenza più statica nella sua apparente mobilita di quella, famosa, del risveglio della ragazza?). ln realtà, lo spazio statico di Umberto D. e molto più ampio. E' la strada, il refettorio, il giardino: tutto nel film, a livello di spazio, concorre a rendere l'impressione di una compressione, di un'impossibilita di movimento; di una reclusione, di una prigione, insomma, da cui è impossibile fuggire. L’unico memento, appunto, di effimera libertà è quello dell'uscita dall’ospedale: del resto subito frustrato dal ritorno nella casa e nella camera dove gli operai sono al lavoro e dove l‘unico amico di Umberto, il cane, manca all'appello. In questo senso non poco funzionali sono le inquadrature relative al secondo tipo di composizione prospettica cui si accennava.
La figura, l’edificio e il cielo, ripresi dal basso, compaiono più volte nel corso del film: quando Umberto, accusato dalla padrona di avere dei debiti, rimane fermo e indignato fuori del portone di casa; quando, dopo aver visto un povero all'angolo della strada, incomincia a nutrire il pensiero triste e vergognoso che lo porterà sotto il Pantheon; quando starà per incontrare il collega Battistini (e anche dopo che questi, frettoloso, si sarà lanciato sul tram); quando, in una scena simile, si allontanerà da lui anche il commendatore {e si noti la discrete qualità simbolica di queste partenze: tutti lasciano solo Umberto allontanandosi mentre lui resta fermo., immobile a guardarli]; quando, dopo aver salutato la servetta per l‘ultima volta [e non a caso l'ultima immagine di Umberto per le scale della casa sarà quella della sua ombra), esce nel mattino, e quando poco dopo arriverà il tram; quando il cane lo ritrova pietosamente nascosto dietro ii ponticello poco prima del tentativo di suicidio. ecc.
L’apparente funzione di questo tipo di composizione è quella di indicare i due spazi antitetici di costrizione e libertà, la presenza, sullo sfondo dell’uomo, della terra e del cielo, quella di bloccarlo nella sua staticità simbolizzando, o addirittura allegorizzando dietro a lui le altre due componenti del quadro.
Per il resto, l’uso della prospettiva risulta funzionale secondo canoni figurativi regolari; valga per tutti l'esempio evidentissimo dell‘immagine [l'ultima] della servetta che per la prima volta saluta il protagonista e non i due militari dall'alto delia casa (e da quella che è stata la camera di Umberto) nel primo mattino. Lontanissima, lassù, la sua distanza indica chiaramente come ormai tutto quel mondo sia di parecchio alle spalle dell'uomo.

15 Questo tipo cii composizione, a dire il vero, si era già notata in Ladri di biciclette, ad esempio nella scena del furto subito da Ricci [cfr. più sopra), ulteriormente evidenziata dalla strada in leggera discesa. O anche in quella in cui il protagonista ferma il vecchio sul ponte per domandare informazioni sul ladro. In genere, comunque, la qualità costantemente dinamica che ritroviamo in Umberto D. è pressoché assente in Ladri di biciclette. Normalmente, infatti, Ricci è, in queste scene, inquadrato sullo sfondo di un muro alto, assolato, prigioniero di una spazio non meno chiuso dei luoghi interni che scandiscono le tappe del suo viaggio [pulizia, chiesa, postribolo, casa della veggente, casa del ladro, ecc.]. Solo una volta l'atmosfera pesante, greve e ardua della città sembrerà dileguarsi, e non a caso solo in quell'occasione la macchina da presa scoprirà per un attimo immagini quotidiane di serenità e di tenerezza [specificamente, dopo la falsa morte del figlio, i due si riappacificano sul lungotevere alberato e sorridente, mentre dietro di loro una coppietta viene colta nella sua gioiosa intimità].
16 E’ un tram a spezzare simbolicamente il corteo sin dalle prime immagini in cui esso ci viene presentato, ed è un tram ad accompagnare Umberto verso il suo progetto di suicidio, dopo avere abbandonato la casa di via S. Martino della Battaglia (altro nome altamente simbolico, a volerlo osservare con attenzione. Inoltre, non si dimentichi che anche in Ladri di biciclette è proprio un tram a spezzare la tensione creatasi fra la folla dopo il furto della bicicletta compiuto da Ricci (a parte qualsiasi ulteriore considerazione, un'altra notazione psicologica magistrale). (continua)
Franco La Polla, BN BIANCO NERO, MENSILE DI STUDI SUL CINEMA E LO SPETTACOLO 9/12, 1975