I REGISTI (senza peli sulla lingua)
RAFFAELLO
MATARRAZZO
DI EUGENIO
GIOVANNETTI
Raffaello Matarazzo è un uomo che appartiene al più'
vulcanico regno della mia fantasia: a quello dei treni avviati verso lidi
marini, e delle città improvvisate. Ci siamo trovati, l'ultima volta, in un
treno per Ostia e
abbiamo parlato a lungo, soli, sul terrazzino del vagone. Su
quello storico terrazzino, il mondo
prediletto delle immagini matarazziane di Littoria e di Mussolinia
e di Treno popolare, s'incontrava con
quello dei miei sogni infantili più segreti.
L’Adriatico ha invase e trasformate tutte le immagini che
venivano organandosi nella mia fantasia di ragazzo. Poiché c'era da fare una
ventina di chilometri in ferrovia per giungere alla spiaggia, una delle mie
prime artistiche gioie fu il disegnare lunghi treni che intravedo ancora sui
quaderni lineati d`azzurro. Quei convogli, che si continuavano talvolta in più
linee l'una sotto l’altra, erano per me così splendenti di mare che, al ripensarli,
mi par di travederci anch'oggi il tremolar della marina e quasi nello stesso
odore in cui ella m`appariva, il più nitido tra quanti m'abbiano mai
rinfrescato l’anima.
Questo profumo dei profumi pervadeva, per me anche luoghi
graveolenti, purché connessi con l’idea dell'agognata spiaggia. La stazione del
mio paese, che vedevo dalle mie finestre ed in cui facevo ogni giorno una
capatina, era un luogo d’incanti. Lo stesso magazzino della piccola velocità, pieno
di trambusto d’acri odori, avevo trasformato in una specie di gioioso preambolo
d'un porto. Ci sentivo, ci vedevo brulicare già l’infinito del mare.
Il mare mi segui anche nell’interno del palazzotto in cui
vivevamo. Lo ebbi ben presto anche nella camera da letto, quasi a portata di
mano, nell'angolo in cui ardeva il lumino da notte. Avevo immaginato là, sotto
il comò, una città portuale, con grandi connessioni ferroviarie per ponti,
vialotti, gru. Nessun porto-capolavoro della meccanica riuscirà mai a stupire
chi abbi immaginato un simile nodo di vie nell'assurdo, al di fuori delle
categorie dello spazio e del tempo.
Toccai allora il culmine di coteste architetture immaginando
che l’angolo esterno della stanza in cui dormivo, volto a monte, fosse una
prova navigante all'infinito pel silenzio della notte. Io era così il dormente
della stiva, il nauta dell'immensità.
La pervicacia di cotesto infantile navigare è castigata
forse oggi da un sottile, quasi ironico incubo, quando avverto in sogno come
una fatalità l’assurdo d'una grande nave con cui risalgo per i più tenui fili d'acqua,
su per rigagnoli e grondaie e tetti, sino allo stillante
vertice d'una torre.
Il regista Matarazzo non si dorrà, io spero, quando gli avrò
confessato che i suoi film mi riconducono, sovente a questa zona infantile del
paesano e dello assurdo.
Il regista Matarazzo
ha esordito, con Littoria e Mussolinia nell'annata famosa dei buoni
documentari: il 1932. L'anno successivo vedeva il suo primo film, il più
giovanilmente fresco: Treno popolare.
Da allora ha fatto un po' di tutto, dissipando una tenue
vena idilliaca.
Il suo incontro con comici popolari i De Filippo, è stato
abbastanza felice nel 1938 (Sono stato io)
ed ancor più felice nel 1941 (Notte di
fortuna). Peppino De Filippo è qui forse alla sua miglior prova filmistica,
in un quarto d'ora di meridionale irresistibile foga. La vena idilliaca per
quanto assottigliata, rinfresca ancora questo film scapigliato.
L'indifferenza, l'apatia, la sciatteria, il musulmanesimo,
sono invece evidentissimi nell'Avventuriera
del piano di sopra: una cosa trascurata, trascicata, senza luce, tutta
insulsaggini e volgarità. Il Matarazzo, quando ci si mette, quando ripiega su
sé stesso, sa veramente che cosa sia dormire: è un piccolo mussulmano
sonnacchioso, svogliato, acidulo. Vi ricorda allora col suo cognome e con la
sua sbadigliante faccia, il gran verso meridionale:
o chiù bellu da vita è durmì.
Ecco un’immagine che mi ha portato lontano da quelle dei treni popolari e delle agognate spiagge e dei vulcanici terrazzini, in cui il regista Matarazzo ed io ci siamo un giorno incontrati. Qui i nostri sentieri divergono. Il matarazzo ci divide, poiché le navi vulcaniche dei miei sogni continuano ad arrampicarsi su per fili d’acqua, verso le grondaie e la punta stillante dei campanili; ed il regista Raffaello è invece un dormente che non sogna più nulla e trova che il più bello della vita è il dormire tra due guanciali.
Io non so s’egli abbia in questo tutti i torti. Quel
po’ di dubbio filosofico ch’è in me basta a farmi sospettare ch’egli possa aver
ragione. Dormi pure, o Raffaello, ma non mio sonniferare, perché se mi ci metto
a dormire, io … Tra letterati sonniferi
che m’opprimevano, io sono stato capace di dormire vent'anni, tutti d’un
fiato... Ma allo svegliarmi, esigo un ponce caldo, drogato, forte… Non mi
parlare d’Avventuriera del piano di sopra
ché sono 'cose di pretesa eleganza, che tu non sai fare, che non hai mai saputo
fare... Parlami, se vuoi, di paese, ma d’un paese indemoniato in cui la gente
rizzandosi dalla bara, voglia tornar subito a bere saporito ... Dov'è successo
questo? E' successo al camposanto di Firenze. Avevano mandato al custode, già
nella cassa, qualcuno che pareva morto ed era soltanto in catalessi. Eccoti
d`improvviso un gran fracasso nella sala mortuaria. Il morto s'è levato e
protesta. Il custode accorre e deve spiegare, ma il resuscitato continua a far
chiasso e a lagnarsi per lo stato in cui l'han ridotto. O che si fa? Per
rimetterlo di buona voglia e farlo uscire, il custode prepara un
famoso ponce.
Nel rimandare in municipio il certificato mortuario,
il buon custode si limita a notare in margine: mandateceli morti bene, se no si rizzano e vogliono il poncino.
Ma sono tutte
smanie ch'io racconto, tanto per guadagnar tempo. Ancora una volta, il Tetrarca
Doletti m'ha mandato a_ spasso. Voi capite che quella ch'io volevo non era
affatto la testa del girovago e sonnacchioso Raffaello, un buon diavolo tutto
sommato, che tocca, come me, sovente i vertici dell’assurdo. No, io insistevo,
ancora una volta per avere la testa del regista Jokannan, la sola per cui io mi
sia mosso e che, di rinvio in rinvio, di sostitutivo in sostitutivo di
diversivo in diversivo, ha finito col farmi disegnar tutta questa Villa dei registi.
Se Dio vuole, la prossima volta è la buona: la
prossima volta il mio cavilloso Tetrarca mi concederà finalmente la testa
autentica di Jokannan e non più un sostitutivo con cui gingillarmi.
E' ora di finirla. In fò qui la figura d’una Salomè
isterica e letteraria, che il Tetrarca pigli graziosamente in giro: non della
Salomè truculenta, musicata da Strauss, ma di quella trascendentale e ridicola,
ironizzata dal Laforgue: di quella ragazza, esasperante che fa dire
ai principi del Nord, ospiti del Tetrarca: “ma a che ora la mettono a letto
questa noiosa?”
Basta! La prossima volta avrò finalmente la vera
testa, quella del mio Jokannan. E sarà finita questa novella dello stento.
Eugenio Giovannetti.
film SETTIMANALE DI CINEMATOGRAFO
TEATRO E RADIO ANNO V - N. 7 14 FEBBRAIO
1942 XX
La testata si riferisce al film Un colpo di pistola diretto da Renato
Castellani con Assia Noris. Fosco Giachetti, Antonio Centa, Rubi Dalma (Prod. E
Distr. Lux)