lunedì 20 aprile 2020

QUESTO E’ CINEMA QUESTO NON E’ CINEMA



NEL suo saggio su Welles. Jean Cocteau fa coraggiosamente merito al 'autore di aver voluto conservare al Macbeth, il suo stile teatrale cercando di mostrare che il cinema è persino capace di disprezzare anche quello che si immagina debba essere il proprio ritmo cinematografico. « Cinema», dice Cocteau, «è un'abbreviazione, che io riprovo a causa di ciò che rappresenta. A Venezia, noi sentimmo ripetere questo "leit-motiv" assurdo: E' cinema questo oppure questo non è cinema? E allora Welles  ed io rispondevamo che sarebbe bello apprendere ciò che è un film-cinema, lieti di possedere la ricetta per metterla in pratica». Bisogna riconoscere che il preteso problema dei rapporti tra cinema e teatro non poteva essere piú lucidamente impostato. Per una curiosa coincidenza, una recente inchiesta di Les Nouvelles littéraires, nel constatare quanto siano arbitrarie le frontiere della specializzazione, reca proprio l'esempio di Cocteau, affermando che quando questi suddivide la sua opera in poesia di teatro, poesia di romanzo, poesia di cinema, egli non fa che affermare la comune filiazione di questi generi arbitrari, la quale coincide col desiderio di esprimersi in cui propriamente consistono l'orgoglio e l'onore degli uomini. Il numero di sequenze sul letterato e il cinema, mi offre l’occasione di riprendere, quanto prima, il discorso a  proposito dei rapporti tra il romanzo e lo schermo, scegliendo all'uopo il romanzo di un moderno scrittore, Guglielmo Petroni - La vita è una prigione - ove per converso appare evidente la assimilazione, da parte dell'arte narrativa, della stessa tecnica del racconto cinematografico. La verità è che l'estetica dello "specifico filmica" appare sempre più sorpassata e perciò, mantenere fermi certi postulati, «significa considerare il progresso della tecnica come un ostacolo e non ammettere la possibilità d'un ulteriore sviluppo di essa». Il che vale a fare ancora di più sentire la necessità di una revisione dell'attuale indagine critica, a proposito della quale Guido Aristarco non ha mai abbastanza il merito di insistere.
Premesse dunque queste considerazioni (sulle quali non sarebbe neanche il caso di soffermarsi se la giovinezza della esperienza cinematografica, non rimettesse di continuo in discussione problemi, già risoluti sul piano delle altre arti), io non riesco a capire perché un artista non possa fare del teatro sullo schermo, servendosi della "camera", secondo la cruda espressione di Marcel Pagnol, come d'una macchina tipografica, per stampare parecchie edizioni della rappresentazione originale. Perché quello che interessa è il risultato e cioè il vedere, se questo teatro in scatola, è o no opera d'arte. Ho citato l'esempio di Shakespeare, ma questa volta voglio approfondirlo a dovere. Poniamo, io dico, il caso che un giorno si faccia annunciare agli studi di Londra, Roma o Hollywood un personaggio, il quale dichiari di essere Guglielmo Shakespeare, tornato sulla terra per una speciale concessione divina, allo scopo di metter su una tragedia, ch'egli avrebbe certamente composta in versi, se la morte gliene avesse lasciato il tempo. Poniamo ora il caso che un produttore bene intenzionato come ha detto di essere, su queste colonne, il signor Filippo Del Giudice, conceda a Shakespeare, un teatro ancora caldo del fuoco dei proiettori e che Shakespeare, ignaro di tutte le leggi del vero cinema, faccia semplicemente registrare, con la "camera" immobile e inquadratura fissa, la rappresentazione teatrale. Io domando cosa faremo se, dopo che Shakespeare, sarà tomato in paradiso, noi dobbiamo constatare di trovarci di fronte ad un altro capolavoro del genio di Strafford: diremo che esso non è tale, perché non rispetta le leggi del vero cinema, o riterremo che la sua opera supera abbastanza tutti gli Oscar, le coppe e i primi premi di Venezia?
Questa è ancora una dimostrazione per assurdo. Noi però sosteniamo che a risultati non diversi si può giungere se si prende in esame il lato strettamente cinematografico della questione. «Questo è cinema, questo non è cinema», sentenziano ad ogni passo molti critici. Ed allora sorge naturale il desiderio di Cocteau di appurare cosa sia un film veramente cinematografico. Conosciamo la risposta: il cinema è arte di movimento, inteso naturalmente il movimento come "movimento ornato", secondo una vecchia definizione di Béla Balázs e cioè come composizione danzante, ovvero come movimento associativo (montaggio). E allora noi rispondiamo che tutto questo sta assai bene scritto, ma che contro il cinema arte di movimento, Chaplin aveva già obiettato che forse il vero segreto di un'arte consiste proprio nel porsi al polo opposto della sua apparente vocazione e c e quella del cinema potrebbe risiedere altrove che nel movimento. Anche Delluc aveva intuito questa posizione (pretesa) anticinematografica che può assumere il vero cinema, proclamando contro quella ch'egli chiamava la "estetica Westem", e cioè del movimento a tutti i costi, che i registi di avanguardia volevano applicare, ovunque e per ogni dove, la possibilità di un cinema di "immobilità". E come il meglio dell'emozione musicale, egli dice può esser racchiuso nelle pause dì silenzio, il meglio del cinema può consistere nella fissità e nel riposo dal movimento. Certamente noi siamo convinti che, di fronte all'indipendenza dell'opera d'arte, questo schema del cinema d'immobilità vale l'altro del cinema arte di movimento, e che entrambi sono inutili di fronte alla libertà dell'artista. Ma ciò non toglie che anche la teorica del cinema d' immobilità, possa essere valida (pertinente ai fini di classificare le tendenze degli artisti. E allora e sulla base di certe recenti esperienze non si può negare alla "camera" il suo diritto alla immobilità, abbattendo la principale frontiera che la separa dal teatro. Ricerche in tale senso sono state effettuate da von Stroheim e da Dreyer, e previste letteralmente, forse prima di ogni altro, da Jean Renoir, il quale sin dal 1925 aveva pensato che invece di far muovere continuamente la "camera", era il caso di svolgere la messa in scena, in profondità, allo scopo di dislocare i personaggi, contemporaneamente, su diversi piani, avanti l’apparecchio di ripresa immobile. (continua)
ROBERTO PAOLELLA
CINEMA quindicinale di divulgazione cinematografica  Anno III – Dicembre 1950





domenica 19 aprile 2020

Actual Lie


Billi 
There are things you must understand... you guys moved to the West long ago 
You think one's life belongs to oneself. 
But that's the difference between the East and the West. 
In the East, a person's life is part of a whole. 
Family. 
Society. 
You Want to tell Nai Nai the truth... because you're afraid to take responsibility for her.
If you tell her then you don't have to feel guilty. 
We're not telling Nai Nai because it's our duty to carry this emotional burden for her.

Billi...
Ci sono delle cose... che devi capire.
Voi vi siete trasferiti in Occidente tanto tempo fa.
Tu pensi che la vita dell'individuo appartenga all'individuo stesso.
Ma è proprio questa la differenza tra Oriente e Occidente.
In Oriente...
La vita dell'individuo fa parte di qualcosa di più grande.
E' della famiglia.
E' della società.
Tu vuoi dire la verità a Nai Nai...
Perché hai paura di prenderti questa responsabilità al posto suo.
Perché è un peso troppo grande.
Se glielo dici...
Allora non devi sentirti in colpa.
Non vogliamo dirlo a Nai Nai, perché è nostro compito portare questo carico emotivo al posto suo.
Lulu Wang, The Farewell, 2019

giovedì 16 aprile 2020

Virginia Genesi Cufaro dal negativo al positivo




La S. A. C. I. - Stampa Artistica Cinematografica Italiana - di Virginia Genesi Cufaro vide la luce nel 1925. Era uno stabilimento di sviluppo e stampa di pellicole cinematografiche attivo fino agli anni '50 del secolo passato. Trattò film come I promessi sposi di Mario Camerini del 1941, Quattro passi fra le nuvole di Alessandro Blasetti del 1942, Il delitto di Giovanni Episcopo di Alberto Lattuada del 1947, Gioventù perduta di Pietro Germi del 1948, Catene di Raffaelo Matarazzo del 1949, Il mondo dei miracoli di Luigi Capuano del 1959.

mercoledì 15 aprile 2020

Ingrid Bergman a Messina





PER LA CONSEGNA DEI «DAVID» DI DONATELLO
Ingrid Bergman il 27 luglio a Messina
per la Rassegna Internazionale del Cinema
La manifestazione sarà inaugurata dal Presidente della Regione siciliana
e dal sottosegretario Resta - Presenti molti attori


Il Sottosegretario per lo spettacolo alla Presidenza del Consiglio, on. Raffaele Resta, ed il Presidente della Regione siciliana, on. La Loggia, inaugureranno sabato 27, nel ritrovo a mare della Fiera Internazionale, di Messina la III Rassegna Internazionale del Cinema che si concluderà, dopo una settimana di proiezioni, a Taormina, nella suggestiva cornice del Teatro Greco romano, con la consegna da parte di Donna Carla Gronchi, consorte del Capo dello Stato, dei «David di Donatello».
Il festival di Messina ha quest'anno assunto nel mondo del cinema una funzione di rilievo, dato l’alto tono di mondanità che l'Ente Provinciale del Turismo e l'AGIS sono riusciti a creare, assicurandosi la partecipazione non soltanto dei premiati dalla Giuria dell'Open Gate Club di Roma, ma di attori e di attrici di fama internazionale liberi da impegni di lavorazione nel periodo della manifestazione.
Ingrid Bergman che ha ricevuto l'Oscar per «Anastasia» ha confermato la sua presenza a Taormina ed alla Rassegna. Giungerà a Catania con un aereo della LAI ed una macchina dell'Ente Provinciale per il Turismo di Messina sarà pronta per portarla nel ritrovo della Fiera.
Purtroppo, Sir Laurence Olivier, interprete e regista di «Riccardo III», non potrà venire in Sicilia. In una lettera al comm. Michele Ballo egli ha espresso il suo rammarico di non potere essere presente alla cerimonia della consegna del «David» che considera alla stregua dell'Oscar americano.
L'aurea statuetta sarà ritirata in sua vece, dall'Ambasciatore del Regno Unito a Roma Sir Ashley Clarke. 
Dei premiati saranno pure a Messina in anticipo sulla serata conclusiva, il regista Federico Fellini e Giulietta Masina, il produttore Dino De Laurentis che sarà accompagnato dalla moglie, la nota attrice Silvana Mangano, Alberto Lattuada e la moglie Carla Del Poggio, il regista palermitano De Seta, il produttore Gualino per la Lux Film ed il Direttore Generale per l'Italia della Warner Bros. in rappresentanza di Jack Warner al quale è stato consegnato il «David di Donatello» per il film «Il gigante» l’ultima interpretazione di James Dean, prima della sua tragica scomparsa.
Hanno assicurato inoltre al comitato organizzatore la loro presenza la coppia Franco Interlenghi - Antonella Lualdi, la deliziosa Jacqueline Sassard interprete di «Guendalina», Madeleine Fischer, Giovanna Ralli, Marisa Allasio, Sandra Milo, Isabel Corey, Marisa Merlini, ed il cast di «Nonna Sabella», il film che la Titanus
invierà alla Rassegna, e cioè Tina Pica, Paolo Stoppa, Peppino De Filippo e Silva Koshina, l'indimenticabile attrice de «Il ferroviere».
Turisti d'eccezione, saranno pure presenti a Messina, il Principe Massimo e la consorte Dawn Addams.
Fra qualche giorno nei locali dell'Ente Provinciale per il Turismo di Messina funzionerà una segreteria speciale per la «Rassegna» diretta dalla signora Elena Valenzano dell'Open Gate di Roma.
La Radiotelevisione italiana ha assicurato il suo intervento con riprese che saranno irradiate ogni sera nel «cinegiornale».
GAZZETTA DEL SUD, Domenica 18 Giugno 1957


martedì 14 aprile 2020

Un leone a Culver City - Victor Sjöström, sometimes Seastrom


THE WIND, a masterpiece

Fra gli ultimi capolavori del cinema silenzioso negli Stati Uniti, accanto a La folla (1928) di Vidor, Sinfonia nuziale (1927-28) di Stroheim, Aurora (1927) di Murnau; e Il circo (1928) di Chaplin, un altro ancora venne prodotto dalla M.G.M.: The Wind (Il vento, 1928) di Victor Sjostrom (Seastrom). Ma prima di riuscire a dirigerlo, lo svedese doveva dedicarsi anche lui ad altre esperienze, certo secondarie in senso assoluto, ma ugualmente interessanti. Due film soprattutto meritano di essere ricordati: The Scarlett Letter ("La lettera rossa", 1926) e Masks of the Devil (La maschera del diavolo, 1928), tratti rispettivamente dai romanzi di Nathaniel Hawthorne e di Jacob Wassermann.
Il primo (grazie al quale Sjostrom fu giudicato nel 1947 uno dei dieci migliori registi del momento) era un accurato e spesso ispirato film in costume, sorretto fra l'altro da una risentita interpretazione della Gish - all'apice della carriera - (accanto alla quale era Lars Hanson), ma finiva in sostanza per strozzare in due ore di proiezione, puntellate da non poche e prolisse didascalie, le profonde risonanze del grande romanzo; il secondo - di solito ignorato o trascurato dai manuali di storia del cinema, forse perché meno vistoso del precedente non mancava certo di coraggio e di spregiudicatezza, narrando - pur se m un clima da realtà romanzesca - la. cupa vicenda di un "viveur" viennese (John Gilbert) convinto di aver assunto - a un certo momento della sua vita dissoluta - le sembianze del demonio: entrambi i film comunque riuscivano a staccarsi dal livello della produzione corrente, con un linguaggio di notevole raffinatezza, che nei più bei momenti creava intorno ai personaggi - sempre agitati da complessi problemi di coscienza - un'atmosfera di intensa suggestione. Ma è con Il vento che Sjostrom diede forse il meglio di sé in America.
Il film, tratto da un romanzo di Dorothy Scarborough, narrava la spiacevole storia di una ragazza di buona famiglia, giunta in una zona del West come domestica, la quale sposava - senza amarlo – un cow-boy, rude e del tutto diverso da lei, e ossessionata dall'incomprensione del marito e dall'ambiente poco accogliente spazzato in continuazione da un vento ossessionante, finiva per impazzire uccidendo un uomo che durante una tempesta di sabbia voleva violentarla. Una profonda e continua relazione veniva stabilita fra i personaggi e gli aspetti della natura considerata non già quale idillico o contrastante sfondo a una convenzionale storia d'amore bensì come un'entità ostile e ribelle, una presenza chiaramente simbolica che influiva sul dramma determinandone gli sviluppi e la conclusione: per questo essenzialmente e per analoghi motivi di carattere stilistico, Il Vento è forse l'unico film americano che sia possibile riallacciare con assoluta sicurezza alla migliore tradizione del cinema scandinavo. Da ricordare, a proposito di tale film (uno dei più importanti di tutta la storia del cinema), un assai istruttivo episodio marginale: mentre la troupe si trovava nel deserto, per effettuarvi - fra fatiche inaudite - la maggior parte delle riprese, giunse improvvisamente al regista il seguente telegramma (oggi conservato, quale prezioso cimelio, nel Museo del Cinema di Stoccolma): " V. Seastrom - M. G: M. Company - Kingston Hotel - Mojave, Calif. – Dopo parecchie discussioni con Frances (Marion: la scenarista) ed altri, abbiamo assolutamente deciso che Hanson deve essere completamente rasato nella scena in cui la donna lava i piatti e fino alla fine del film altrimenti non appare naturale l'amore che si risveglia in quel momento e siamo certi che il pubblico non lo
vuol vedere con la barba stop. Noi rischiamo anche troppo in questo film e non vogliamo sciupare una sola possibilità di farlo riuscire economicamente eccellente stop Non inquietatevi per queste righe. Irving Thalberg ".
Era l'epoca in cui il "Valet AutoStrop Safety Razor (Made in U.S.A.) " assicurava una depilazione perfetta - se non radicale - perfino dalle pagine dei "fansmagazines", destinati più che altro alle giovanette e agli imberbi: neppure un attore e un regista di fama come Hanson e Seastrom potevano sottrarsi alla furia depilatoria. Ma nonostante l'intervento in extremis del rasoio di sicurezza di Mr. Thalberg, Il vento riuscì così bello e sgradevole; così intenso e inconsueto da meritarsi un solenne insuccesso: il pubblico era inoltre troppo distratto dall'avvento del sonoro e la Gish passava di moda. Sjostrom venne chiamato intatti a dirigere, nel film successivo (uno dei ·suoi peggiori), La donna divina (1928), la "star,, del momento: Greta Garbo. (continua)
FAUSTO MONTESANTI 
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10-25 DICEMBRE

In apertura Lilian Gish in The Scarlet Letter 1926 e The Wind, 1928 


giovedì 9 aprile 2020

Dive con autografo


Francesca Bertini
1892 - 1985


Giovanna Terribili Gonzales
1882 - 1940

mercoledì 8 aprile 2020

Raffaello Matarazzo


I REGISTI (senza peli sulla lingua)
RAFFAELLO MATARRAZZO
DI EUGENIO GIOVANNETTI

Raffaello Matarazzo è un uomo che appartiene al più' vulcanico regno della mia fantasia: a quello dei treni avviati verso lidi marini, e delle città improvvisate. Ci siamo trovati, l'ultima volta, in un treno per Ostia e
abbiamo parlato a lungo, soli, sul terrazzino del vagone. Su quello storico terrazzino, il mondo  prediletto delle immagini matarazziane di Littoria e di Mussolinia e di Treno popolare, s'incontrava con quello dei miei sogni infantili più segreti.
L’Adriatico ha invase e trasformate tutte le immagini che venivano organandosi nella mia fantasia di ragazzo. Poiché c'era da fare una ventina di chilometri in ferrovia per giungere alla spiaggia, una delle mie prime artistiche gioie fu il disegnare lunghi treni che intravedo ancora sui quaderni lineati d`azzurro. Quei convogli, che si continuavano talvolta in più linee l'una sotto l’altra, erano per me così splendenti di mare che, al ripensarli, mi par di travederci anch'oggi il tremolar della marina e quasi nello stesso odore in cui ella m`appariva, il più nitido tra quanti m'abbiano mai rinfrescato l’anima.
Questo profumo dei profumi pervadeva, per me anche luoghi graveolenti, purché connessi con l’idea dell'agognata spiaggia. La stazione del mio paese, che vedevo dalle mie finestre ed in cui facevo ogni giorno una capatina, era un luogo d’incanti. Lo stesso magazzino della piccola velocità, pieno di trambusto d’acri odori, avevo trasformato in una specie di gioioso preambolo d'un porto. Ci sentivo, ci vedevo brulicare già l’infinito del mare.
Il mare mi segui anche nell’interno del palazzotto in cui vivevamo. Lo ebbi ben presto anche nella camera da letto, quasi a portata di mano, nell'angolo in cui ardeva il lumino da notte. Avevo immaginato là, sotto il comò, una città portuale, con grandi connessioni ferroviarie per ponti, vialotti, gru. Nessun porto-capolavoro della meccanica riuscirà mai a stupire chi abbi immaginato un simile nodo di vie nell'assurdo, al di fuori delle categorie dello spazio e del tempo.
Toccai allora il culmine di coteste architetture immaginando che l’angolo esterno della stanza in cui dormivo, volto a monte, fosse una prova navigante all'infinito pel silenzio della notte. Io era così il dormente della stiva, il nauta dell'immensità.
La pervicacia di cotesto infantile navigare è castigata forse oggi da un sottile, quasi ironico incubo, quando avverto in sogno come una fatalità l’assurdo d'una grande nave con cui risalgo per i più tenui fili d'acqua, su per rigagnoli e grondaie e tetti, sino allo stillante vertice d'una torre.
Il regista Matarazzo non si dorrà, io spero, quando gli avrò confessato che i suoi film mi riconducono, sovente a questa zona infantile del paesano e dello assurdo.
 Il regista Matarazzo ha esordito, con Littoria e Mussolinia nell'annata famosa dei buoni documentari: il 1932. L'anno successivo vedeva il suo primo film, il più giovanilmente fresco: Treno popolare.
Da allora ha fatto un po' di tutto, dissipando una tenue vena idilliaca.
Il suo incontro con comici popolari i De Filippo, è stato abbastanza felice nel 1938 (Sono stato io) ed ancor più felice nel 1941 (Notte di fortuna). Peppino De Filippo è qui forse alla sua miglior prova filmistica, in un quarto d'ora di meridionale irresistibile foga. La vena idilliaca per quanto assottigliata, rinfresca ancora questo film scapigliato.
L'indifferenza, l'apatia, la sciatteria, il musulmanesimo, sono invece evidentissimi nell'Avventuriera del piano di sopra: una cosa trascurata, trascicata, senza luce, tutta insulsaggini e volgarità. Il Matarazzo, quando ci si mette, quando ripiega su sé stesso, sa veramente che cosa sia dormire: è un piccolo mussulmano sonnacchioso, svogliato, acidulo. Vi ricorda allora col suo cognome e con la sua sbadigliante faccia, il gran verso meridionale:
o chiù bellu da vita è durmì.
 Il giorno in cui, per una comica fantasia, tutti i mobili essenziali d’una camera da letto si caratterizzassero in forme umane, l`omomorto spilungone assumerebbe forse la testa d'Antongiulio Bragaglia, il comodino quella di Massima Bontempelli, il comò quella di Rosso di San Secondo, la poltrona quella della Borboni: ma il matarazzo non avrebbe alcun bisogno di prendere a prestito una testa: troverebbe la sua bell`e pronta e battezzata e impastata di grasso e di sonno e sbadigliante già all'infinito nel regista Raffaello dall'ironico nome. 
Ecco un’immagine che mi ha portato lontano da quelle dei treni popolari e delle agognate spiagge e dei vulcanici terrazzini, in cui il regista Matarazzo ed io ci siamo un giorno incontrati. Qui i nostri sentieri divergono. Il matarazzo ci divide, poiché le navi vulcaniche dei miei sogni continuano ad arrampicarsi su per fili d’acqua, verso le grondaie e la punta stillante dei campanili; ed il regista Raffaello è invece un dormente che non sogna più nulla e trova che il più bello della vita è il dormire tra due guanciali.
Io non so s’egli abbia in questo tutti i torti. Quel po’ di dubbio filosofico ch’è in me basta a farmi sospettare ch’egli possa aver ragione. Dormi pure, o Raffaello, ma non mio sonniferare, perché se mi ci metto a dormire, io …  Tra letterati sonniferi che m’opprimevano, io sono stato capace di dormire vent'anni, tutti d’un fiato... Ma allo svegliarmi, esigo un ponce caldo, drogato, forte… Non mi parlare d’Avventuriera del piano di sopra ché sono 'cose di pretesa eleganza, che tu non sai fare, che non hai mai saputo fare... Parlami, se vuoi, di paese, ma d’un paese indemoniato in cui la gente rizzandosi dalla bara, voglia tornar subito a bere saporito ... Dov'è successo questo? E' successo al camposanto di Firenze. Avevano mandato al custode, già nella cassa, qualcuno che pareva morto ed era soltanto in catalessi. Eccoti d`improvviso un gran fracasso nella sala mortuaria. Il morto s'è levato e protesta. Il custode accorre e deve spiegare, ma il resuscitato continua a far chiasso e a lagnarsi per lo stato in cui l'han ridotto. O che si fa? Per rimetterlo di buona voglia e farlo uscire, il custode prepara un famoso ponce.
Nel rimandare in municipio il certificato mortuario, il buon custode si limita a notare in margine: mandateceli morti bene, se no si rizzano e vogliono il poncino.
Ma sono tutte smanie ch'io racconto, tanto per guadagnar tempo. Ancora una volta, il Tetrarca Doletti m'ha mandato a_ spasso. Voi capite che quella ch'io volevo non era affatto la testa del girovago e sonnacchioso Raffaello, un buon diavolo tutto sommato, che tocca, come me, sovente i vertici dell’assurdo. No, io insistevo, ancora una volta per avere la testa del regista Jokannan, la sola per cui io mi sia mosso e che, di rinvio in rinvio, di sostitutivo in sostitutivo di diversivo in diversivo, ha finito col farmi disegnar tutta questa Villa dei registi.
Se Dio vuole, la prossima volta è la buona: la prossima volta il mio cavilloso Tetrarca mi concederà finalmente la testa autentica di Jokannan e non più un sostitutivo con cui gingillarmi.
E' ora di finirla. In fò qui la figura d’una Salomè isterica e letteraria, che il Tetrarca pigli graziosamente in giro: non della Salomè truculenta, musicata da Strauss, ma di quella trascendentale e ridicola, ironizzata dal Laforgue: di quella ragazza, esasperante che fa dire ai principi del Nord, ospiti del Tetrarca: “ma a che ora la mettono a letto questa noiosa?”
Basta! La prossima volta avrò finalmente la vera testa, quella del mio Jokannan. E sarà finita questa novella dello stento.
Eugenio Giovannetti.

Opere di Raffaello Matarazzo: Littoria e Musssolinia (1932) - Treno popolare (1933) - Kikì, Frutto acerbo (1931) – Il serpente a sonagli (1935) -- Anonima Roylott, Joe il rosso, E' tornato carnevale (1936) – Sono stato io, L'albergo degli assenti, Il marchese di Ruvolito (1938) – Trappola d’amore (1939) – Giù il sipario (1940) – Notte di fortuna, L'Avventuriera del piano di sopra (1941).

 film SETTIMANALE DI CINEMATOGRAFO TEATRO E RADIO ANNO V - N. 7  14 FEBBRAIO 1942 XX

La testata si riferisce al film Un colpo di pistola diretto da Renato Castellani con Assia Noris. Fosco Giachetti, Antonio Centa, Rubi Dalma (Prod. E Distr. Lux)