lunedì 20 febbraio 2017

Lardani unforgettable


Ballata per un pistolero è un film di 

 Alfio Caltabiano 
(1932 - 2007)
alias Al Norton altre volte  Alf Randal o Alf Thunder, egregio stunman del fu cinema italiota. I titoli di Iginio Lardani (uncredited) scorrono per un pugno di secondi e, come vedete, lasciano il segno.


domenica 19 febbraio 2017

VITA DI HOLLYWOOD - LE COMPARSE

Vi sono leggende che è onesto sfatare e tutte le volte che le nostre funzioni ci mettono a contatto con i
capi d'una Casa americana, essi ci invitano a dire tutta la verità al pubblico sulla vita dei debuttanti a Hollywood. Troppa gente crede che negli studi californiani si guadagni bene, e non serve che le autorità americane diffidino il pubblico, giacché ogni giorno sbarcano degli illusi. Le porte rimangono ostinatamente chiuse e coloro che le sorvegliano non si lasciano intenerire. Ogni studio è un tempio in cui si elaborano i films nel più grande mistero e la disciplina permette ai direttori di lavorare in pace.
La prima impressione dello straniero che gira per le vie di Hollywood è quella che vi sono molte donne graziose, e chi non è bene informato le crede tutte vedette. Invece non sono altro che debuttanti chiamate qui “extra” e che cercano di far da comparse attendendo meglio. Certo si gira molto ad Hollywood, perché non tutti i films vengono esportati, ma ciò non impedisce che migliaia di comparse siano senza lavoro, dato che vengono impiegate a caso, i “ metteurs en scène» non sono mai imbarazzati e finiscono sempre col trovare il tipo che cercano. D'altro conto, non hanno questa preoccupazione, giacchè in ogni «studio» vi è un «casting-director›› incaricato di reclutare il personale artistico. Gli si dice prima che occorrono due o trecento comparse corrispondenti a date condizioni. Non vi è che l'imbarazzo della scelta. Infatti, tutte le mattine gli “extra” si presentano al suo ufficio, che è costruito in modo speciale. Egli è separato dal mondo esteriore da chiusure solide e coloro che vogliono farsi scritturare devono comparire uno alla volta dinanzi ad uno sportello o ad una barriera.
Non si scambiano parole inutili.
L’artista piace o non piace. Un “casting director” è un uomo che il più delle volle si rinchiude in un mutismo assoluto. l-la delle idee precise e non ritorna mai sulle sue decisioni. Tuttavia nei periodi di calma.riceve la visita dei sollecitatori. Prende nota delle loro capacità su un modulo e domanda fotografie. Un debuttante che si sente rispondere: « Voi non avete alcuna probabilità di riuscire. Non scrivo il vostro nome né voglio la vostra fotografia, non ha che da andarsene e non più tornare, perché il direttore ha buona memoria.
I moduli sono classificati in un determinato ordine. ll giorno in cui l’ufficio ha l`incarico di ingaggiare diversi «extra» non ha che da ricercare tra i moduli.
Da questo punto di vista, Hollywood è un paese straordinario. Lo si è comparato alla Corte dei miracoli, e in ciò vi è qualcosa di vero. Vi sono dei debuttanti che sono disgraziati di natura e che non disperano di comparire dinanzi all'apparecchio. Qualche volta sono ricompensati, perché gli americani ricercano la verità anche nei minimi dettagli. Sanno di poter trovare, all’occorrenza, un gobbo o uno storpio. I senza impiego non l’ignorano e sfilano dinanzi al «casting director›› e si fanno iscrivere.
Del resto gli americani non si stupiscono di nulla. Se un essere completamente deforme chiede di «girare› lo iscrivono. E' curioso constatare che un essere con un'infermità, diremo così, originale ha più probabilità di lavorare che non una bella figura elegante, dal sorriso delizioso.
Ho detto più sopra che le giovani belle abbondano ad Hollywood. Si è tanto raccontato come debuttano le grandi artiste, che le sconosciute sognano di avere la stessa fortuna. Queste donne graziose vengono da tutte le parti. Si scoprono, fra le belle sollecitatrici, delle piccole impiegate stanche di stare negli uffici; qualche figlia di buona famiglia, che non ha voluto ascoltare i consigli dell'esperienza; danzatrici o comparse del “music hall”; signorine che hanno obliato ogni cosa per sperare in un avvenire migliore. Le une e le altre non sono molto felici, perché non simpatizzano fra di loro, sono gelose e devono dar prova di una costanza ammirevole. Se le interrogate singolarmente, vi accorgerete presto che hanno una grande opinione di sé stesse, e saprete che la loro capacità è uguale a quella di Mary Pickford, Gloria Swanson o Pola Negri. D’altronde sembrano dotate di ottime qualità e vi stupite che possano lavorare ad intervalli tanto lunghi. Ma è che il numero è troppo grande e che è impossibile farle lavorare tutte. E, poiché sono uguali, dal punto di vista della bellezza e della fotogenia, devono fidare soltanto nella loro fortuna personale. E' come alla lotteria: o guadagnano o perdono. Vi sono di quelle che invecchieranno facendo sempre le comparse, pur avendo le qualità di coloro che arriveranno.
A Hollywood si osserva pure che non tutti i debuttanti hanno la stessa costanza. Certuni insistono alcune settimane, altri mesi, altri lunghi anni. Bisogna distruggere anche la leggenda che la vita a Hollywood sia a buon mercato. Invece è molto cara e spesso una comparsa ch'è graziosa e ben vestita si accontenta di colazioni poco sostanziose. Spesso girano male. Gli uomini hanno la risorsa di impiegarsi nelle amministrazioni, sebbene non vi si rassegnino se non forzati dal bisogno. In quanto agli incorreggibili, si direbbe che hanno preso gusto alla miseria.
Hollywood non è un paradiso per tutti, ed è da augurarsi che questa verità penetri bene in coloro i quali s'immaginano che il cinema sia accessibile a chiunque sogna la gloria e la fortuna.
I. P.
CINE SORRISO ILLUSTRATO PER IL PUBBLICO CINEMATOGRAFICO Anno VI – N. 15 – 13 Aprile 1930 (VIII)



domenica 12 febbraio 2017

Racconto letterario e racconto iconico


«Per šukšin letteratura e cinema erano in sostanza un unico processo. E proprio in questa unità veniva alla luce, nella sua forza dirompente, il suo talento››.
La testimonianza di Sergej Gerasimov («lskusstvo kino», 1975, 1, p. 146-149, passim) sancisce la triplice modulazione espressiva della Erlebnis dello scrittore siberiano: interpretazione scenica, letteratura, cinema d'autore.
Un’interpretazione scenica è però accidentale rispetto al suo ruolo di autore, sulla pagina e sullo schermo. Accidentale nel senso di mediativa: la letteratura - testimonia ancora Gerasimov - è stata per lui il tramite più prossimo e immediato per spiegarsi col proprio lettore sugli avvenimenti che turbavano il suo animo: ed
ecco perché le sue pagine si distinguono per l`inconsueta leggerezza e libertà, sia nella scelta del tema e del materiale, sia nella forma dell'espressione artistica ››. E sono sceneggiature, racconti e romanzi (verbali e iconici), quelli di šukšin, che mancano totalmente di letterarietà, nel senso sveviano del termine: inutile e dannoso orpello, raffinata tautologia.
Essi sono scanditi in una lingua quella paesana arcaica, nella sua regione del'l'Altaj - cosi diversa da quella standardizzata del cittadino medio che vive in città: una lingua «bella, flessibile a cantilena », come lui la chiamava (intervista con C. Benedetti in « Nuova 'Generazione ››, n. 179, 28.9.1975, passim) e serrati in una sintassi essenzialmente paratattica. Hanno una struttura piana, elementare, quasi salmodica, cioè rincalzante, mai ellittica. Una struttura che da un lato ripropone i moduli della cultura contadina, lineare e continuativa, fatta di esperienze sedimentate nei secoli e prolungata e accresciuta di generazione in generazione con metodica chiarezza; e che dall'altro espone le condensazioni dell'Erlebnis, cioè la somma del vissuto di Vasilij Makàroviö: e non solo il vissuto “storico”,l'agglutinamento già sciolto delle sperimentazioni culturali, istituzionali, immaginative, oniriche, sentimentali; ma tutto quanto alla fine converge, attraverso il filtro della sensibilità, nella coscienza e che diventa _-per usare parole di šukšin -«forza del cuore » (C. Benedetti, int. cit.)
E la sensibilità, instimolata dall'ispirazione, torna ad attivare le fondazioni della coscienza e le « risolutive » forze del cuore nell'espressione artistica. In šukšin avviene con maturità e interdipendenza di manifestazioni - il racconto verbale e iconico e la mediazione drammaturgica - e con una piana saggezza che possiamo definire esiodea.
Di Esiodo šukšin ha la stessa forza di convinzione. La convinzione profonda di chi si sente portatore e custode d'una saggezza antica e insieme di una fede nuova che esige però mediazioni prudenti.
Per Esiodo il termine di fede fu la dike democratica che sottentrava alla società omerica, aristocratica, feudale e guerriera; per šukšin è la metanoia socialista che ha sgominato la società aristocratica feudale e guerrafondaia degli zar: e di questo fa argomento di discorso, e infine di poesia.
Come il sistema teologico-morale che Esiodo annuncia «è agganciato alla dike -personificazione numinosa del costume che fonda un ordinamento sociale come necessità, e insieme personificazione giustificatrice della vittoria di Zeus, che è il nume della serenità pacificatrice, tutore delle leggi tradizionali, della liberta politica e delle norme morali - così il sistema etico di šukšin verte sulla riconferma del valore decisamente storico e storicamente decisivo del socialismo nella terra russa; e sulla necessità di comporre e armonizzare, nel quadro di cambiamento di mentalità che ogni rivoluzione comporta, nuove forme di vita associata in cui la saggezza secolare degli uomini della terra «[nei primi anni della rivoluzione ancora l`ottanta per cento dei russi eran contadini) non sia travolta e guastata dalle irrequietudini e dagli scompensi che seguono all'inurbamento e al brusco aggiornamento industriale e tecnologico.
Ma non c’è antagonismo - šukšin ha ripetutamente insistito su questo anche nella intervista pubblicata postuma da Benedetti, proprio per rintuzzare quei critici che lo censuravano con queste motivazioni [in: «Nuova generazione ››, n. 179, cit., passim) - tra città e campagna. E' una semplificazione di comodo, dice Vasilij Makàrovic. Una riduzione che non regge.
« Quando i critici mi chiamano “scrittore contadino" non hanno ragione perché con una etichetta del genere rendono più stretto del reale il senso e l'importanza di questo fenomeno. Comunque a me piacciono quei cosiddetti "scrittori contadini" perché sono persone oneste. So bene che se arrivano in alto, ad occupare posti di scrittore o letterato, è perché hanno talento. Cioè la loro promozione non avviene a caso. Anzi, mi sembra che si possa parlare di un vero e proprio corso obbligatorio. L'arrivare, nel campo della letteratura, è una conclusione logica e necessaria. Forse, per questo, sono scrittori più naturali e piacciono al nostro lettore di oggi. Certo, ora, io non voglio fare dei confronti. Non sostengo intatti che gli scrittori "cittadini" non sono in grado di creare veri valori letterari. E del resto non voglio nemmeno usare questo termine di “scrittori cittadini" che, come quello di “scrittori contadini" è troppo stretto, offensivo ››.
Epperò -- fatto salvo questo "distingue" - è presente indubbiamente in šukšin, nella sua opera letteraria come in quella cinematografica, una tenace e appassionata “religione”. La religione tutta esiodea della terra che nasce dall'amore per essa e che la madre terra nutre di generazione in generazione a misura del sudore ch'essa riceve.La fertilità della terra insemina questa religione - religione intesa nel senso di una struttura solidale di credenze e di valori vissuti che hanno il potere di religare una certa comunità umana - la quale nutre, accanto alla custodia di tradizioni vetuste, una profonda esigenza di giustizia, e l'amore al lavoro, e la costanza della fatica; ed anche quel sobrio e burbero portamento, che questa gente si reca addosso e che Vasilij Maikàrovië allega alla quieta faccia dolorosa dei suoi ultimi anni, quando già il male mortale lo insidiava e quando una tranquilla inquietudine gli trascriveva sul viso la domanda più volte ripetuta: «perché vivere se non si sa quando si muore? ”
Bruno De Marchi, BIANCO E NERO, Anno XXXVII, luglio/agosto 1976

giovedì 9 febbraio 2017

Vittorio Cramer off off voce per Fritz Lang

Clip tratte da
Anche i boia muoiono (Hangmen Also Die) (1943) 
voce fuori campo
e
Maschere e pugnali (Cloak and Dagger) (1946)
voce soldato tedesco

mercoledì 8 febbraio 2017

Marion Davies o Renée Adorée

Il film a colori favorisce le bionde

Il sistema «technicolor››, largamente applicato nella cinematografia d’oggi, riesce negli effetti luminosi più
vantaggioso alle bionde che alle brune. Queste esigenze tecniche hanno originato fra le artiste una proporzione di due bionde contro una bruna. Fra le bionde, le più in vista sono: Marion Davies, Vivian e Rosetta Duncan, Edwina Booth, Mary Doran, Leila Hyams, Kay Johnson, Carlotta King, Gwen Lee, Bessie Love, Helene Millard, Catherine Dale Oven e Anita Page. Fra le brune figurano in prima linea: Renée Adorée, Julia Faye, Dorothy Sebastian, Sally Starr e Raquel Torres.

CINE SORRISO ILLUSTRATO PER IL PUBBLICO CINEMATOGRAFICO Anno VI – N. 15 – 13 Aprile 1930 (VIII)



giovedì 2 febbraio 2017

Diario di un soggettista - La personalità dell'artista

Ogni presupposto di film, svolto logicamente, dà una soluzione fissa, come la somma di due numeri dà invariabilmente lo stesso risultato. Quasi tutte le soluzioni sono state trovale, come in arte tutti i soggetti sono stati trattati, e da secoli l’umanità ricanta sempre le medesime favole.
C’é una sola differenza fra tante opere, ed è la personalità dell’artista, la sua prospettiva, la sua concezione del mondo e della realtà. Queste cose le sanno i letterati. Ma al cinema la notizia non è ancora arrivata.
  CORRADO ALVARO
(Da “Scenario “, Marzo XV).
BIANCO E NERO  Anno I –  N. 3 –  31 Marzo 1937 -  XV


 FINE

mercoledì 1 febbraio 2017

Cattivi di classe

Dan Duryea (1907 – 1968)

Dan Duryea era uno di quelli che sullo schermo rubavano le scene ai protagonisti; bastano, per ricordarlo, solo le volte con Fritz Lang: La donna del ritratto (The Woman in the Window), nel 1944, Strada scarlatta (Scarlet Street), nel 1945 e prima ancora nel 1944 in Il prigioniero del terrore (Ministry of Fear); ma sopratutto disturbava lo spettatore in Winchester '73, del 1950, diretto da Anthony Mann. La violenza in lui scaturiva dalla sua natura di simpatico e gioviale.