Come tutte le cinematografie anche il cinema in Giappone ha guardato,
dagli inizi, al mito, alla tradizione e alla letteratura del passato. A partire
da Teinosuke Kinugasa fa di più, esplora il fondo tenebroso della mente. Con A page of madness (Kurutta ippeiji, 1926) e
Crossroads (Jūjirō, 1928), riportiamo i titoli in inglese perché
più facile il loro reperimento, non è altro che uno sprofondare nelle zone nere
del cervello ma anche della fotografia. La trama serve da base per poter sperimentare
all’infinito con la grammatica del cinema. Il resto in Giappone lo facevano i Benshi (弁士) che, in sala, durante la proiezione, conducevano gli
spettatori alla visione dei film . Agli spettatori di oggi che li guardano
senza didascalie, o se vi compaiono sono negli ideogrammi originali, è lasciata
la libertà di immergersi a loro piacimento nel caos delle immagini carpendo
un’esile canovaccio per collegare il tutto. Gli studenti di cinema, per parte loro, scorgono delle influenze di
volta in volta francesi, tedesche e russe. Secondo noi solo per il motivo di
aver assistito prima ai capolavori venuti fuori da quei paesi. Questa tesi la
si può rovesciare a favore del cinema “
made in Japan “.
Mimmo Addabbo - Lolli,Ubaldo Vinci, Gianni Parlagreco,Catalfamo,Fabris, Valentino,Margareci,Crimi,Fano e i Sigilli
mercoledì 18 novembre 2015
lunedì 16 novembre 2015
domenica 15 novembre 2015
Jean Prévost e Robert Brasillach scoprono il cinema 2
Spianate le tende dei nuovi profeti, la polemica, come
s'è detto, è continuata sotterranea nella Francia moderna. Essa è arrivata alla
luce del sole tutte le volte che il paese è stato squassato da una ideologia,
da una passione, o dal piede dello straniero. Il problema s'è posto con Zola durante
l'affare Dreyfus; con Jaurès e con Péguy al principio dell'altra guerra; s”è
ripresentato con i nostri due morti nel corso della lotta civile che ha opposto
sanguinosamente le due Francie negli anni del1°occupazione tedesca.
Il dovere s'è atteggiato, per chi era in buona fede,
per chi si è buttato nella lotta col cuore, in due modi' diversi. Tanto
Brasillach come Prévost hanno pagato con la vita la fede alla loro giovinezza;
ma uno è morto alla luce del sole e l'altro negli incerti mattini che assistono
alle esecuzioni.
Non è lecito ricercare nei due, oltre la polemica che non
tocca uno straniero educato, il punto del loro avvicinarsi?
Questo punto è, ancora una volta, il cinematografo. Il
cardinale di Retz, che era stato un protagonista della prima Fronda e che era
quindi in grado di intendersene, ha lasciato scritto che << la più grande
disgrazia delle guerre civili è che si è responsabili anche del male che non s'è
fatto >>. Ricordiamoci che la pagina innocente nella cultura di questi due
scrittori, come si dice con termine alla moda, << impegnati >>
nelle passioni e nelle fazioni del loro tempo è stato il gusto delle sale
oscure, dove esseri silenziosi, che non si
conoscono, che sono stati lì condotti dal caso,
assistono con interesse, con noia e qualche volta con disgusto, ad azioni, fantasticherie,
atteggiamenti di ombre che si muovono nel fondo, proiettate da un fascio di
luce, sulla bianca tela dello schermo.
Questo fatto enorme che è stato il cinematografo per i
moderni, s’è incontrato in due intelligenze, votate per tutto il resto alle
differenze più complete, ma, in questo piacere, all’unisono. Per questo piacere
le due esistenze hanno avuto un momento di abbandono e di quiete. Avvicinati
dal gusto del cinema, Roberto e Giovanni hanno trovato momenti di calma, di
tranquillità, di sogno, in anni che non promettevano nulla di buono. Forse
anche una conferma e un incoraggiamento al loro egoismo. Forse Brasillach e
Prévost hanno trovato la forza della penosa ultima ora nel
ricordo degli incantevoli, innocenti film in cui una civiltà lontana, e per tanti
lati ancor fanciullesca, rievocava le storie del passato prossimo. Con l’infallibile
<< Colt» impugnata dalla mano ferma, William Hart abbatteva, uno dopo
l'altro, gli indiani o i banditi assalitori; Douglas, nelle vesti di Zorro, sfidava
i più incredibili pericoli; più umanamente, con più profonda poesia, armato solo di una bombetta, di
scarpe sformate, di un ridicolo bastoncino, Carletto Chaplin affrontava le
miserie dell’esistenza e le delusioni d’amore. Nel buio, due giovani, ancora
felici, che avevano successo nella vita, i cui libri erano apprezzati, la cui
salute era buona, assistevano commossi a così innamoranti finzioni di vita. Mai
avrebbero pensato che sopra di loro incombeva un nembo ben più tremendo, che il
cinema, come le antiche arti, avrebbe conquistato le sue patenti di nobiltà
insegnando le cose supreme.
Nelle paginette eleganti della «Nouvelle Revue Française >> e della << Revue Universelle >> Prévost e Brasillach stendevano, acutamente, amorosamente, sul cinema le loro intelligenti riflessioni critiche. Forse il cinema li ha premia ti insegnando loro', non solo a vivere, ma a morire.
giovedì 12 novembre 2015
Jean Prévost e Robert Brasillach scoprono il cinema
ROBERTO E GIOVANNI
I due destini, come si è detto, ci angosciano. Quello
che è successo a Prévost e a Brasillach poteva succedere a noi e ai nostri
amici. E gli interessi culturali dell'uno e dell’altro ci erano tanto vicini,
da aver l’impressione, leggendoli, di intendere la voce di un compagno di
banco, di un collega di università o di redazione. Si intende che la fine di Brasillach,
per quel moto del cuore per cui i peccatori puniti ci sono più vicini della
gente meno avventurosa, ci è vicina con maggior urgenza di quella di Jean
Prévost; eppure, per uno straniero disinteressato, forse per lo storico futuro,
i binari del loro destino, cosi divergenti nella cronaca contemporanea, finiscono
per unirsi. Per ciò che riguarda il cinematografo, la
testimonianza di Prévost come quella di Brasillach è una testimonianza preziosa.
Sono, nel primo dopoguerra, degli intellettuali che si avvicinano al cinematografo,
non più per sfruttarlo o per un labile divertimento. ma per comprenderlo,
amandolo. Per molti uomini di lettere, usciti, adolescenti o ragazzi, dalla
vittoria del '19, il cinematografo fu davvero una scoperta vitale, una finestra
spalancata su panorami e vie sconosciute, una magica possibilità offerta a un
romantico desiderio di cose nuove, di nuove esperienze, di conturbanti scoperte.
Questa testimonianza è affidata sia nell'uno che nell’altro scrittore a due delicati
romanzi, in cui la parte autobiografica ha, come accade, un accento più puro e
pagine rivelatrici.
In
<< Diciottesimo anno >> Prévost ha fatto il racconto della sua
giovinezza studiosa, del suo incontro con la politica attiva e con l’insegnamento
di uno dei cervelli più lucidi, dei caratteri più fermi, delle coscienze più
singolari di Francia, il filosofo Alain, Prévost vi racconta che, diciottenne,
andò incontro, portando la bandiera rossa, alle << matraques ›› dei
poliziotti. Con lo stesso animo, vent'anni più tardi affronterà le pallottole
naziste. Ne << I sette colori >> Brasillach narra
In Francia, paese cattolico alle frontiere con le
nazioni protestanti, vige dal ”6oo, da quando il Re Sole fece abbattere i muri
degli eremi di Port Royal, una sotterranea polemica che è la polemica
giansenistica. I solitari pensatori di Port Royal volevano immettere nella
coscienza cattolica la sottile angoscia della Grazia. Perché alcuni di noi
saranno eletti nel cielo ed altri condannati alle tenebre eterne? Perché Dio,
che sa tutto, ha deciso lui di scegliere nella paurosa lotta della salvazione?
E come ammettere il velo di oscurità, la cortina fumogena, diremmo noi moderni,
che l'autorità di Roma ha voluto porre, schivando le pagine di Sant”Agostino,
su tale problema?
Spianate le tende dei nuovi profeti, la polemica, come
s'è detto, è continuata sotterranea nella Francia moderna. Essa è arrivata alla
luce del sole tutte le volte che il paese è stato squassato da una ideologia,
da una passione, o dal piede dello straniero. Il problema s'è posto con Zola durante
l'affare Dreyfus; con Jaurès e con Péguy al principio dell'altra guerra; s”è
ripresentato con i nostri due morti nel corso della lotta civile che ha opposto
sanguinosamente le due Francie negli anni del1°occupazione tedesca.
Il dovere s'è atteggiato, per chi era in buona fede,
per chi si è buttato nella lotta col cuore, in due modi' diversi. Tanto
Brasillach come Prévost hanno pagato con la vita la fede alla loro giovinezza;
ma uno è morto alla luce del sole e l'altro negli incerti mattini che assistono
alle esecuzioni.
Non è lecito ricercare nei due, oltre la polemica che non
tocca uno straniero educato, il punto del loro avvicinarsi?
continua
Pietro Bianchi, Maestri del cinema, 1972mercoledì 11 novembre 2015
L' amaro Averno
OGGI
Il mito greco è sempre stato riplasmato ad uso e convenienza latina. Se
ne impossessò dapprima la letteratura – non tutti sono Ste fano D’Arrigo – ed il
cinema vi si adeguò da par suo. Sullo schermo i personaggi della mitologia
greca sono stati rivisitati, corretti e adattati a soggetti per un pubblico
vasto e senza pretese di correttezza. Non sono
sfuggiti a questo procedimento né Ercole e Deianira così come Teseo,
Giocasta, la Sibilla e le Esperidi in questo Ercole al centro della terra di Mario Bava del 1961. La novità è
nella commistione dei generi cinematografici di più facile presa sul pubblico:
il peplum ed il macabro. Ancora nuovo è l’uso espansivo di effetti speciali e
luci, e chi meglio di Mario Bava si poteva districare con gelatine, fantocci e
modellini? Agli attori si chiedeva poco: prestanza fisica e qualche acrobazia,
mentre a Cristopher Lee la solita perfidia di classe made in England.
Questi prodotti alla fine del loro viaggio nelle sale laiche finivano
sgonfiati in 16 mm per la gioia del pubblico infantile delle sale parrocchiali,
sottacendo i guadagni dei parroci come dei distributori di film a passo
ridotto.
lunedì 9 novembre 2015
Iginio Lardani Express
Ci sono molti indizi per attribuire questo prossimamente per il film di Michele Lupo del 1976 ad Iginio Lardani come la grafica e le animazioni
domenica 8 novembre 2015
La casa sulla collina
Sai, costruiremo la nostra casa
proprio in cima a una collina.
Noi giapponesi abbiamo sempre avuto
l'abitudine di costruire le case...
...in terreni bassi, o magari
nelle valli, tra le montagne...
...o nei boschi,
sui bordi dei laghi.
Sì, è vero.
Ho visto dei quadri,
una volta, di paesi stranieri.
E lì, le case
erano tutte in alto.
Invece, da noi, le case
di solito le fanno in basso.
C'è una ragione per questo sai?
In Giappone abbiamo
terremoti, i grandi tifoni.
Le case di legno in luoghi alti
vengono facilmente distrutte...
...da terremoti e tifoni.
Quindi fecero le case in basso
perché fossero più al sicuro.
Però, vedi,
questa non è l'unica ragione.
Noi giapponesi amiamo di più
la luce morbida e diffusa...
...piuttosto che
quella violenta del sole.
Noi preferiamo l'ombra.
E poi, a noi piace, sopra ogni
cosa, vivere in mezzo alla natura.
È per questo che non ci siamo
mai adattati alle case di pietra.
Sì, è giusto. Neanche a me
piacciono le case di pietra.
Sono troppo fredde per me.
Comunque non dobbiamo
dimenticare una cosa.
È vero che ci piacciono
le case di legno,...
...ma per questa nostra
tradizionale preferenza...
...rischiamo di restare gente debole.
senza profonde capacità di resistenza.
Gli stranieri
sono duri e aggressivi...
...principalmente perché
da tempo vivono...
...in grandi case
fatte di pietra e di cemento.
Ma adesso è venuto il momento
di costruire la nostra casa.
Noi dobbiamo pensare
al nostro futuro.
Al nostro
e a quello dei tuoi figli.
E a quello
dei tuoi nipoti e pronipoti.
Trovo che è giusto.
Dialogo tratto da Dodes'ka-den (1970) di Akira Kurosawa
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