venerdì 15 novembre 2013

Briganti?

Il brigante di Tacca del Lupo (1952) non dovrebbe rientrare in questa retrospettiva dedicata ai film che trattano della Calabria. I riferimenti che le azioni danno collocano la vicenda nella Lucania, a Melfi, nell’estremo nord di quella regione, accanto alla provincia di Foggia.
La lavorazione, invece, per gli esteri, si svolse nel reggino: riconoscibile tra tutti la fiumara di S. Elia presso Melito Porto Salvo con Pentedattilo , il cui sfondo ricorre spesso anche da angolazioni diverse. Ma anche S. Stefano d’Aspromonte, paese natale di don Peppino Musolino e ancora le Rocche Prastarà di Montebello Ionico. Senza notare che in quegli anni non si badava alla filologia e nei film gli attori che interpretavano personaggi calabresi, lucani o pugliesi  venivano doppiati tutti col siculo-partenopeo.
Le vicende di briganti, ex borbonici, contro i nuovi arrivati piemontesi è comune a tutto il Regno delle due Sicilie. Vi passò don Peppino Garibaldi, e con lui vi passarono le speranze; tutto rimase come sotto Francesco II. Questo lo aveva anticipato e chiarito meglio di me don Fabrizio, principe di Salina, noto come il Gattopardo.
Si è detto molto sulla pellicola di Germi, il primo a vedere il sud italiano senza abbellimenti di sorta, spartano, come lo era il regista nella vita e nella professione. Si è detto del meridionalismo come dei riferimenti filmici cui il lavoro rende omaggio : John Ford ed i film con il seventh Cavalry; su tutti il più noto, quello che qui si riprende, Il massacro di Fort Apache (Fort Apache, 1948) interpretato da Henry Fonda e John Wayne, ambedue riveduti sotto la mano di Germi con i volti di Amedeo Nazzari e Fausto Tozzi.  Del resto il Regno delle due Siciliè è l’unico paese al mondo assieme all’ovest americano dove realtà, miti e leggende si confondono e impastano.
Non viene messa in luce, ancora oggi è così, nel film come nelle critiche ad esso rivolte, l’intera vicenda del brigantaggio come lotta dei poveri. Nell’opera di Germi, ed è quello che maggiormente dispiace e non convince, l’intero episodio è risolto con la vendetta-salvezza dell’onore coniugale che adombra il motivo per il ricongiungimento delle regioni italiane.
Forse il brigantaggio deve ricondursi alle lotte partigiane che scossero l’intero globo terrestre, dall’America del sud alla Russia, alla Cina e via col vento. Forse il brigantaggio deve essere associato al terrorismo che insanguinò ed insanguina le nazioni ed i terroristi manovrati ora da questo ora da quel governo, che se ne serve buttandoli infine in pasto ai tribunali se non vengono fatti tacere per sempre.
In Calabria dei briganti si servirono tutti, governanti e latifondisti, armando i poveri per difendere i loro interessi, per poi lasciarli ai boia. I poveri non si resero conto di niente, passarono di mano in mano, per essere sempre manovrati dai Borboni ai Piemontesi, dai bianchi (il papato) ai neri ai rossi, strumentalizzati per sempre. Così avvenne che il meridione italiano fu, con ingegno, fatto restare nell’arretratezza e sotto il giogo dei militari come della polizia di stato. Del resto questi signori in armi ( in questi ultimi tempi diplomati e laureati, senza contare le signorine )vengono dal proletariato e contro di esso mandati a soggiogarlo, come i bersaglieri nel film di Pietro Germi che erano contadini del nord scagliati contro i contadini del sud.

giovedì 7 novembre 2013

Billy, Doc, Pat, Rio and the horses

OGGI



The outlaw (1943) Billy (the kid) e Doc (Holliday) vanno a letto con Rio e montano lo stesso cavallo. Pat (Garret) vorrebbe andare a letto con Billy, i cavalli non lo interessano per niente. Rio in quanto donna non conta nulla vale più come scalda letto.
Il film appartiene a due Howard: Hawks che iniziò il lavoro ad Hughes che lo tose di mano al primo e firmò.
Le uniche cose ragguardevoli, assieme al sostegno del cinematographer  Gregg Toland, sono gli esterni del villaggio (tutto adobe) ed appartengono al primo Howard; il resto, pur essendo un’opera forte rimane allo stato grezzo per la verbosità  (picaresca) infinita e le poche azioni che si contano sulle dita di una mano.
Gli attori se la cavano benissimo per la caratterizzazione dei personaggi: Jack (Beutel) ha il fisico del ruolo, Jane (Russell) il petto generoso, Walter (Huston) sa arrotolare cartina e tabacco, Thomas  (Mitchell) cova rabbia verso Billy.
Ah … dimenticavo, se la cavano benissimo pure i cavalli.

lunedì 4 novembre 2013

domenica 3 novembre 2013

Enrico Ghezzi's diary


Jim McBride autore del capolavoro David Holzman’s diary a Taormina
con Enrico Grezzi affabulatore

giovedì 31 ottobre 2013

Amore e rifiuto della realtà

I film italiani recenti sono perlomeno pre-rivoluzionari: tutti rifiutano, implicitamente o esplicitamente, con l’umorismo, la satira o la poesia, la realtà sociale di cui si servono, ma sanno, anche nelle prese di posizione più chiare, non trattare mai questa realtà come un mezzo. Condannarla non obbliga alla cattiva fede. Essi non dimenticano che prima di essere condannabile, il mondo, semplicemente, è.  … ma ditemi se, uscendo dopo aver visto un film italiano, non vi sentite migliori, non avete voglia di cambiare l’ordine delle cose, ma di preferenza persuadendo gli uomini, almeno quelli che possono esserlo e che solo l’accecamento, il pregiudizio o la sfortuna hanno condotto a fare del male ai loro simili.
Per questo quando se ne legge il riassunto, la storia di molti film italiani non resiste al ridicolo. Ridotti all’intrigo, molto spesso, non sono che melodrammi moraleggianti. Ma nel film tutti i personaggi esistono con una verità sconvolgente. Nessuno è ridotto allo stato di cosa o di simbolo, il che permetterebbe di odiarli senza dover superare preliminarmente l’equivoco della loro umanità.

Per il momento il cinema italiano è molto meno politico che sociologico. Voglio dire che delle realtà sociali così concrete come la miseria, il mercato nero, l’amministrazione, la prostituzione, la disoccupazione non sembrano ancora aver ceduto il posto nella coscienza del pubblico ai valori a priori della politica. I film italiano non ci informano quasi per niente sul partito a cui appartiene il regista, e neppure su quello che accarezza. Questo stato di fatto deriva senza dubbio dal temperamento etnico, ma anche dalla situazione politica italiana e dallo stile del partito comunista della penisola.
André Bazin, op. cit.

mercoledì 30 ottobre 2013

San Rocco patrono dell'Aspromonte

Rivalità in Aspromonte
Regia   Giuseppe De Santis
Sceneggiatura  Corrado Alvaro, Ivo Perilli, Steno, Vincenzo Talarico, Giuseppe De Santis
liberamente tratta  da La festa di San Rocco di Nicola Misasi.
Fotografia Aldo Tonti
Musiche Enzo Masetti
Montaggio Adriana Novelli

Amedeo Nazzari  massaru Giovanni
Silvana Mangano  Stella
Vittorio Gassman  Peppino
Jacques Sernas  Luigiuzzu
Rocco D’Assunta  massaru Peppe
Guido Celano  massaru Cola
Edoardo Nevola Santuzzu
Olga Solbelli moglie di massaru Giovanni

Dino De Laurentis propose a Giuseppe De Santis di riprendere il cast de Il Lupo della Sila visti i clamorosi risultati al botteghino di Riso amaro,del lo stesso Lupo, e de Il brigante Musolino.
De Santis convoca Corrado Alvaro ed assieme a Ivo Perilli, Steno e Vincenzo Talarico sceneggiano una novella di Nicola Misasi, La festa di San Rocco, scrittore cosentino della fine dell’800.
E’ la storia di Peppino e Luigiuzzo che rivaleggiano per la mano della bella Stella, con un finale rusticano il giorno della festa di S. Rocco, promessa sposa al primo sebbene avuta già dal secondo.
Gli attori nelle mani del regista si affannano quanto basta per portare a casa il dovuto, come da contratto. La Mangano in più cerca, in questo aiutata dal neo marito De Laurentis, di rafforzare la sua carriera con ruoli di tragica popolana.
Infine il direttore De Santis convinto di essere l’unico a saper manovrare  dolly ( all’epoca si chiamava gru ) e carrelli, li porta a spasso  a salire e scendere sugli altopiani aspromontani ed il dì della festa di San Rocco.
Il critico Johnny Carteri di Brancaleone sulla fanzine Calabria Forever, che si pubblica a New York incriminò il film di plagio ed affermò che Howard Hughes con Jane Russell aveva fatto di meglio ne Il mio corpo ti scalderà (The outlaw).  A suo sostegno André Bazin asserì a proposito del film di De Santis: Peppino e Luigiuzzu si contendono la stessa donna ma amano lo stesso San Rocco.


martedì 29 ottobre 2013

Delenda Carthago

OGGI



Carmine Gallone (1886 – 1973)  non contento dei romani e di Cartagine, dopo aver raso al suolo quest’ultima sotto il regime fascista la riedifica e la brucia definitivamente sotto il regime democristiano, sempre per opera di Scipione, africano nel fascio, Emiliano in epoca pre-centrosinistra.
Ancora. Nella prima pellicola Scipio era un pezzo di legno sotto le fattezze di Annibale Ninchi, nel secondo è uno spauracchio alle porte della città che fu l’alcova di Didone ed Enea.
Ancora. In bianco e nero il film reggeva molto bene per virtù della giovinezza di Carminello  e le luci di Ubaldo Arata e Anchise Brizzi. Di poi, vecchiotto, Carminello, non bastano il technicolor ed il technirama di Piero Portalupi a salvarlo, tanto è senza sale ciò che si agita dentro, compreso il Mario, Terence, Hill, Girotti, il più insipido degli attori nostrani, qui alle prime … armi.
Ancora. Fine. Dei due disastri cartaginesi ricordiamo Camillo Pilotto nel primo, sotto le spoglie di Annibale, non Ninchi, e nel secondo Erno Crisa che fa Asdrubale.
Il resto sono masse di carne umana ed equina spostate avanti e indietro per mare e per terra con cartapesta sullo sfondo, un po’ come erano i regimi sopra menzionati.