« Nd'ebbiru alligrizza chiddu jornu
quandu i giurati cundannatu m'hannu...
ma si per casu a lu paisi tornu
chidd'occhi chi arridiru ciangirannu »
quandu i giurati cundannatu m'hannu...
ma si per casu a lu paisi tornu
chidd'occhi chi arridiru ciangirannu »
Se avete mai assistito ad un’opera dei pupi vi potete fare un’idea di questo film, Il brigante Musolino di Mario Camerini. Il pupo protagonista muovendosi a scatti, voce grossa grassa, bastona tutti, ma è anche innamorato; i carabinieri fanno da contorno.
Nella realtà Giuseppe Musolino ( 1876 – 1956 ) accusato di un crimine non commesso, esasperato, non riconoscendo né la giustizia di Dio, tanto meno quella degli uomini, scappa e con un serbatoio di sangue freddo in corpo uccide quanti lo hanno fatto condannare. Compiuta la vendetta, povero ed infelice, comprende che l’unico posto dove può rifugiarsi è il carcere. Lo stato senza riaprire il precedente processo e riconoscere i torti commessi sulla sua testa, lo condannò all’ergastolo a vita, causandogli con ciò l’infermità di mente.
Nel film di Camerini, il secondo sulle gesta di don Peppino, dopo quello di Elena Notari del 1924, come nell’opera dei pupi, l’ambiente dove i personaggi si muovono è del tutto assente, nessuna descrizione che colloca in un contesto preciso le azioni sceniche, come riconosciuto a Il lupo della Sila, anche se vengono nominati, da Nazzari, San Luca e il Santuario.
Le pecche del film, recitato discretamente, provengono tutte dal soggetto e principalmente dalla sceneggiatura a cui prese parte un mucchio selvaggio di nomi che diventeranno molto attivi, in seguito, nella regia. Camerini in fase di realizzazione farà ulteriormente di testa sua mischiando il melodramma all’opera pupara. Questo non toglie che il film vada bene con gli incassi e le presenze nelle sale disseminate in tutta la penisola, isole comprese. Del resto in quegli anni il pubblico, fatto per la maggior parte, dal popolo delle periferie, di qualsiasi origine, urbana come della provincia, non chiedeva che fango, sudore e polvere da sparo, verniciati con un po’ di erotismo. Se cercate qualcosa di calabrese nel film ne troverete poca, anche la parlata è viziata di siculo-campano. Rimane Calabresella mia, accennata nella colonna sonora di Enzo Masetti e nella scena della vendemmia cantata dalle popolane, ma in realtà registrata in studio e sovraimpressa in bocca alle vendemmiatrici.
Tra gli attori voglio segnalare Gino Morisi nella parte del capo ‘ndranheta don Pietro Solemi. In certi momenti, per altro pochi, mi ricorda il Jason Robards di C’era una volta il west di mastro Sergio Leone, uno degli assistenti di Musolino. Pardon, di Camerini.