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domenica 17 maggio 2020

Un leone a Culver City - Lon Chaney



Il re del trucco

Del tutto al di fuori dell'imperante "Star System" si svolse invece l'attività di Lon Chaney, uno dei più grandi attori del muto. Nel cinema dal 1913 come attore, ed anche - intorno al 1915 - come regista e soggettista, passato dall'Universal alla Paramount, dalla prima Metro a Goldwyn, a partire dal 1924 (col già ricordato film di Sjostrom), tranne un breve ritorno alla Universal (con The Phantom of the Opera: (Il fantasma dell'Opera,1925), rimase negli studios di Culver City fino alla sua morte avvenuta nel 1930, in seguito a un cancro alla gola. Ostile per principio ad ogni forma di pubblicità, e interamente dedito al proprio mestiere, egli non rispondeva mai alle lettere degli ammiratori e a chi voleva frugare nella sua vita privata soleva rispondere che "fra un film e l'altro Lon Chaney non esiste". Divenuto famoso specie per le sue fantasiose e terrificanti truccature, che egli stesso inventava e realizzava sottoponendosi a fatiche e a sofferenze inaudite, nei suoi ultimi film apparve quasi sempre col suo vero volto, dando forse in tal modo le prove più convincenti del suo istintivo e forte talento di attore. Dei diciotto films cui prese parte alla M.G.M., vanno soprattutto ricordati i seguenti: The Tower of Lies (1925), diretto nuovamente da Sjostrom, Tell It to the Marines (I fanti del mare", 1927) di George Hill, Mister Wu (1927) di William Nigh, Mockery (1927) i Benjamin Christensen, The Big City (1928) di Tod Browning, Laugh Clown Laugh (Ridi pagliaccio, 1928) di Herbert Brenon e The Unholy Three (1925) di Browning, in cui sosteneva la doppia parte di un ventriloquo e di una vecchia: lo stesso soggetto venne ripreso nel 1930 da Jack Conway e costituì il debutto di Chaney nel film parlato, alla vigilia della sua morte. (continua)
Fausto Montesanti 

CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10-25 DICEMBRE

In apertura Williams Haines e Lon Chaney in Tell It to the Marines, di seguito con Renée Adorée in Mister Wu

giovedì 23 aprile 2020

Un leone a Culver City - Più stelle che in cielo



Oltre alla Garbo, alla Gish e a Mae Murray (le ultime due già in declino), la M.G.M. poteva contare, negli ultimi anni del muto, su un gruppo di "stars" di indiscutibile richiamo, tanto che lo slogan del suo ufficio pubblicità affermava perentoriamente che nei film della casa c'erano " More Stars Than There Are in Heaven" (cioè "più stelle che in cielo"): Alice Terry, la moglie di Ingram, da questo Lanciata nei Quattro cavalieri dell'Apocalisse, un tipo di donna elegante e raffinata; Renée Adoreé, la francesina di La grande parata, i cui vezzi continentali parevano porsi in polemica con le esuberanze della  "flapper" di moda; Marion Davies, la "protetta" di Hearst, una delle stelle pili popolari del periodo, che era riuscita a rinnovare il cliché della Pickfordcon una serie di "biricchinate" meno leziose e più impertinenti, sorrette da una recitazione vivacissima; Norma Shearer, la "star" in ascesa - nonché moglie di Thalberg -, la preferita dalle signore di mezza età per la distinzione del suo comportamento e la sacrosanta intangibilità dei personaggi; Pauline Stark e Aileen Pringle, repliche in formato ridotto ma spesso intelligenti della  " sophistication" messa di moda dalla Swanson; Geltrude Olmstead, un'ingenua non priva di aspetti piccanti; Carmel Myers, la "maliarda " di Ben Hur, che continuava a vampeggiare con sistemi un po' demodés, ma ancora accettabili specie in provincia; Anita Page e Dorothy Sebastian  due attricette non prive di fascino, rispettivamente lanciate come i "prototipi delle bionde e delle brune"; Eleanor Boardman, dal profilo da cammeo e dallo sguardo limpido come i suoi personaggi; e infine persino la messicana Dolores Del Rio, passata da Culver City per un solo film, The Trail of '98. Ma la scoperta più importante del periodo, dopo la Garbo e la Shearer, fu senza dubbio quella di Joan Crawford, la quale, dopo alcuni film di minore importanza, quale "prototipo delle rosse", venne lanciata con grande impegno in una serie di film fortunati;' divenendo in breve la "flapper" ufficiale, destinata a un grande avvenire anche come attrice.
Nel campo maschile, accanto a Gilbert, Novarro, Moreno, Nagel, Asther e Cody, non va certo dimenticato lo svedese Lars Hanson che pur senza raggiungere una grande popolarità, si affermò come un attore di classe. Persino Jackie Coogan, ormai cresciutello, lavorò a Culver City in quegli anni; mentre Tim Mc Coy otteneva un buon successo con, vari westerns di seconda categoria. Ma le cronache dei "fans-magazines" trascuravano in fondo tutti questi nomi per pettegolare soprattutto sugli amori della coppia del giorno: Greta Garbo e John Gilbert, che una curiosa istantanea del 1928 ritrae spensierati e in amichevole colloquio. Essi non sanno forse che lo sguardo pungente di Louella Parsons li sta spiando, implacabile, fuori campo. (continua)
FAUSTO MONTESANTI
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10-25 DICEMBRE

Nelle foto: Alice Terry e Ramon Novarro, Marion Davis e Nils Ashter, Renée Adoreé e Ramon Novarro, Geltrude Olmstead e Lew Cody. 

giovedì 16 aprile 2020

Virginia Genesi Cufaro dal negativo al positivo




La S. A. C. I. - Stampa Artistica Cinematografica Italiana - di Virginia Genesi Cufaro vide la luce nel 1925. Era uno stabilimento di sviluppo e stampa di pellicole cinematografiche attivo fino agli anni '50 del secolo passato. Trattò film come I promessi sposi di Mario Camerini del 1941, Quattro passi fra le nuvole di Alessandro Blasetti del 1942, Il delitto di Giovanni Episcopo di Alberto Lattuada del 1947, Gioventù perduta di Pietro Germi del 1948, Catene di Raffaelo Matarazzo del 1949, Il mondo dei miracoli di Luigi Capuano del 1959.

martedì 14 aprile 2020

Un leone a Culver City - Victor Sjöström, sometimes Seastrom


THE WIND, a masterpiece

Fra gli ultimi capolavori del cinema silenzioso negli Stati Uniti, accanto a La folla (1928) di Vidor, Sinfonia nuziale (1927-28) di Stroheim, Aurora (1927) di Murnau; e Il circo (1928) di Chaplin, un altro ancora venne prodotto dalla M.G.M.: The Wind (Il vento, 1928) di Victor Sjostrom (Seastrom). Ma prima di riuscire a dirigerlo, lo svedese doveva dedicarsi anche lui ad altre esperienze, certo secondarie in senso assoluto, ma ugualmente interessanti. Due film soprattutto meritano di essere ricordati: The Scarlett Letter ("La lettera rossa", 1926) e Masks of the Devil (La maschera del diavolo, 1928), tratti rispettivamente dai romanzi di Nathaniel Hawthorne e di Jacob Wassermann.
Il primo (grazie al quale Sjostrom fu giudicato nel 1947 uno dei dieci migliori registi del momento) era un accurato e spesso ispirato film in costume, sorretto fra l'altro da una risentita interpretazione della Gish - all'apice della carriera - (accanto alla quale era Lars Hanson), ma finiva in sostanza per strozzare in due ore di proiezione, puntellate da non poche e prolisse didascalie, le profonde risonanze del grande romanzo; il secondo - di solito ignorato o trascurato dai manuali di storia del cinema, forse perché meno vistoso del precedente non mancava certo di coraggio e di spregiudicatezza, narrando - pur se m un clima da realtà romanzesca - la. cupa vicenda di un "viveur" viennese (John Gilbert) convinto di aver assunto - a un certo momento della sua vita dissoluta - le sembianze del demonio: entrambi i film comunque riuscivano a staccarsi dal livello della produzione corrente, con un linguaggio di notevole raffinatezza, che nei più bei momenti creava intorno ai personaggi - sempre agitati da complessi problemi di coscienza - un'atmosfera di intensa suggestione. Ma è con Il vento che Sjostrom diede forse il meglio di sé in America.
Il film, tratto da un romanzo di Dorothy Scarborough, narrava la spiacevole storia di una ragazza di buona famiglia, giunta in una zona del West come domestica, la quale sposava - senza amarlo – un cow-boy, rude e del tutto diverso da lei, e ossessionata dall'incomprensione del marito e dall'ambiente poco accogliente spazzato in continuazione da un vento ossessionante, finiva per impazzire uccidendo un uomo che durante una tempesta di sabbia voleva violentarla. Una profonda e continua relazione veniva stabilita fra i personaggi e gli aspetti della natura considerata non già quale idillico o contrastante sfondo a una convenzionale storia d'amore bensì come un'entità ostile e ribelle, una presenza chiaramente simbolica che influiva sul dramma determinandone gli sviluppi e la conclusione: per questo essenzialmente e per analoghi motivi di carattere stilistico, Il Vento è forse l'unico film americano che sia possibile riallacciare con assoluta sicurezza alla migliore tradizione del cinema scandinavo. Da ricordare, a proposito di tale film (uno dei più importanti di tutta la storia del cinema), un assai istruttivo episodio marginale: mentre la troupe si trovava nel deserto, per effettuarvi - fra fatiche inaudite - la maggior parte delle riprese, giunse improvvisamente al regista il seguente telegramma (oggi conservato, quale prezioso cimelio, nel Museo del Cinema di Stoccolma): " V. Seastrom - M. G: M. Company - Kingston Hotel - Mojave, Calif. – Dopo parecchie discussioni con Frances (Marion: la scenarista) ed altri, abbiamo assolutamente deciso che Hanson deve essere completamente rasato nella scena in cui la donna lava i piatti e fino alla fine del film altrimenti non appare naturale l'amore che si risveglia in quel momento e siamo certi che il pubblico non lo
vuol vedere con la barba stop. Noi rischiamo anche troppo in questo film e non vogliamo sciupare una sola possibilità di farlo riuscire economicamente eccellente stop Non inquietatevi per queste righe. Irving Thalberg ".
Era l'epoca in cui il "Valet AutoStrop Safety Razor (Made in U.S.A.) " assicurava una depilazione perfetta - se non radicale - perfino dalle pagine dei "fansmagazines", destinati più che altro alle giovanette e agli imberbi: neppure un attore e un regista di fama come Hanson e Seastrom potevano sottrarsi alla furia depilatoria. Ma nonostante l'intervento in extremis del rasoio di sicurezza di Mr. Thalberg, Il vento riuscì così bello e sgradevole; così intenso e inconsueto da meritarsi un solenne insuccesso: il pubblico era inoltre troppo distratto dall'avvento del sonoro e la Gish passava di moda. Sjostrom venne chiamato intatti a dirigere, nel film successivo (uno dei ·suoi peggiori), La donna divina (1928), la "star,, del momento: Greta Garbo. (continua)
FAUSTO MONTESANTI 
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10-25 DICEMBRE

In apertura Lilian Gish in The Scarlet Letter 1926 e The Wind, 1928 


domenica 29 marzo 2020

Un leone a Culver City - Un director impegnato



Il caso di King Vidor indice di un sistema

Il caso di Vidor può servire a illustrare forse meglio di tanti altri - data la personalità del regista e l'indiscutibile fiducia che si doveva fin da allora avere in lui - l'implacabilità di un metodo ormai divenuto sistema: può infatti apparire curioso che l'autore di La grande parata abbia potuto dirigere subito dopo due film nettamente plateali e di assai relativo impegno: La Bohème (1926), ispirato a " La vie de Bohème " di Murger (in cui la Gish, Gilbert e la Adorée vestivano rispettivamente i panni di Mimi, Rodolfo e Musetta), un film tuttavia alla cui ambientazione non mancava un certo profumo; e Bardelys the Magnificent (Bardelys il Magnifico, 1926) da un romanzo di Sabatini, con John Gilbert e Eleanor Boardman, una volgare e  poco convinta replica dei film di Douglas Fairbanks, assolutamente indegna della firma del regista. Ma basta osservare ad esempio con attenzione un "si gira" di La Bohème  in cui il giovane Thalberg, a braccia conserte, " controlla " affettuosamente la ripresa di un primo piano della protagonista (Vidor è il secondo da sinistra), per rendersi conto dell'importanza acquisita in quegli anni dalla figura ormai determinante dell'executive producer. Solo con The Crowd (La folla, 1928), uno degli ultimi e più convincenti esempi di cinema muto, Vidor riuscirà a prendersi una netta rivincita sulla produzione in serie. La folla, film palesemente influenzato dai migliori prodotti del realismo psicologico tedesco, narrava con spoglio vigore l'umile vicenda di una coppia di sposi (James Murray e Eleanor Boardman), soffocati dal bisogno e incapaci di elevarsi al disopra dell'anonima marea di gente che popola la grande città: l'ingenuità di certi sviluppi e la schematica struttura dello scenario (avvilito per giunta da un posticcio quanto detestabile " happy end ") venivano tuttavia riscattate dalla toccante attualità del tema, dalla coraggiosa impostazione dei personaggi e degli ambienti costruiti e descritti con inusitata obiettività, e infine dal sapientissimo uso della macchina da presa. Nonostante l'accoglienza entusiasta della critica, il film ottenne un mediocre successo: il pubblico americano - distratto e volubile - pareva poco propenso a interessarsi di problemi umani e sociali che lo riguardavano direttamente e preferiva piuttosto evadere dalla realtà quotidiana attraverso le avventure impossibili, gli amori travolgenti e le "revues " in bicromia. E mentre i primi rintocchi della crisi (la cui dura realtà, le poco gradevoli immagini di La folla con il loro eloquente silenzio, mettevano straordinariamente a fuoco) venivano sopraffatti dal gracidare del " Vitaphone " e del " Movietone '', Vidor era costretto a tornare alle esperienze minori dirigendo Marion Davies in Patsy (1928) e Show People (Maschere di celluloide, 1928).(continua)
Fausto Montesanti
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10 NOVEMBRE 

In apertura King Vidor e Irving Thalberg osservano Lilian Gish sul set de La Bohème, di seguito James Murray e Eleanor Boardman in The Crowd

domenica 22 marzo 2020

Giovanna Ralli sogna

 


UN’ATTRICE CHE ATTENDE FIDUCIOSA L’ORA FATALE
I sogni si avverano
per Giovanna Ralli
Dal teatro al cinema con crescente successo – Aspetta il matrimonio

Roma, giugno

Riveli pure la mia età - ha cominciato col dirmi Giovanna Ralli – Sono nata a Roma nel 1935, e perciò posso ancora permettermi il lusso di certe indiscrezioni. Forse col tempo ciò non mi sarà possibile, e allora dovrò fingere che le lancette del mio quadrante vadano indietro anziché avanti. E se ci tiene a saperlo, le dirò anche che io ai sogni ci credo.
Insomma, questa giovane attrice che ha soli vent'anni può già vantare una buona notorietà in Italia e all'estero, chiacchiera volentieri e non attende che le si facciano molte domande. Ricordate la romana alquanto sbarazzina di «Villa Borghese» accanto a -De Sica? Bene, fu appunto con quella interpretazione che Giovanna si guadagnò definitivamente del pubblico, ma non fu quello il suo primo film.  L'esordio sullo schermo, infatti, avvenne quando era appena una ragazzina quattordicenne con la serie della «Famiglia Passaguai» in cui sostenne il ruolo della figlia di quella coppia mattacchiona che rispondeva ai nomi di Ave Ninchi e Aldo Fabrizi. In seguito fu chiamata in Francia dal noto regista Christian Jacques che le affidò una parte di rilievo in «Madamè Bovary». Tra i suoi ultimi film si ricordano particolarmente «Le signorine dello 04» e «Le ragazze di San Frediano», attraverso i quali il suo «personaggio» di ragazza ingenua e bella, credulona e sognatrice, si è imposto all’attenzione della critica del pubblico come una delle migliori promesse del nostro cinema.
I genitori di Giovanna Rulli che in un primo tempo non volevano assolutamente permetterle la carriera artistica, si sono ormai ricreduti, ma vorrebbero che si sposasse e desse loro di nipotini. Questo però è un aspetto della vita cui Giovanna per il momento non può pensare. «Bisognerebbe che avessi un pò più di tempo libero - ella dice – ma il lavoro non me lo permette. Anche in queste ultime settimane sono stata molto occupata perché «Un eroe dei nostri tempi» con Alberto Sordi e Franca Valeri, mi ha tenuta costantemente impegnata, costringendomi a rinviare la soluzione di quello che i miei genitori definiscono «il problema».
Diretta da Monicelli, Giovanna ha ritrovato ii suo abituale personaggio: ragazza del popolo, commessa di un parrucchiere per signora e fidanzata di un giovane disoccupato, per aiutare il quale sfrutta la simpatia che nutre, per lei Alberto Sordi, il quale le dà ad intendere di essere «dottore» e capoufficio. Giovanna rappresenta, il tipo di ragazza che ogni uomo ha incontrato almeno una volta in vita sua. «Marcella - afferma Giovanna Ralli - è una ragazza bella, dolce, un tantino sguaiata, innamorata e pronta a sacrificare tutto al suo uomo. E' un ruolo che mi piace più d'ogni altro, e spero di renderlo al massimo».
Le prime esperienze artistiche di Giovanna risalgono al teatro, in quanto 'prima di debuttare nel cinema recitò alcuni mesi nella Compagnia di Peppino De Filippo, i cui insegnamenti -- ella dice - le si dimostrarono oltremodo preziosi.
Giovanna è ormai un'attrice che sa quello che vuole. Preferisce i ruoli brillanti perché vi si, trova perfettamente a suo agio, ma anche perché interpretandoli, si diverte: «Ritengo che il miglior segreto di un'attrice, sia appunto quello di vivere la pro pria parte, cercando di renderne anche le più riposte sfumature.  D'altra parte è evidente che il soggetto del film deve piacere, anche sotto questo aspetto sono molto soddisfatta per «Un eroe dei nostri tempi», nel quale accanto ad Alberto Sordi, divento protagonista di una singolare vicenda. Il film narra la storia di un giovanotto, impiegato in una fabbrica di cappelli. La sua vita, apparentemente tranquilla e monotona, si svolge sotto il segno della paura; la paura di mettersi nei pasticci con ragazza che ama, Marcella, perché è minorenne; paura di trovarsi coinvolto in guai immaginari. Tutti i suoi gesti sono dettati dalla preoccupazione di non compromettersi, e quindi non ha mai il coraggio di affrontare alcuna difficoltà. Naturalmente egli tenta di nascondere la sua inettitudine e la viltà che lo  distinguono ostentando una certa superbia, ma proprio per quel suo morboso timore di trovarsi - come egli dice -- «incastrato» in grossi guai, finirà con l'esservi coinvolto veramente, attraverso tutto un susseguirsi di imprevedibili vicende, sottolineata dalla comicità dello stesso Sordi nelle vesti del povero impiegato Menichetti».
Sugli ammiratori di Giovanna Ralli, uno scrittore umoristico potrebbe ispirarsi, per scrivere un volumetto molto curioso. Dal timido e giovane poeta romano che, ogni mese le manda pochi versi a lei dedicati, ad alcuni focosi siciliani che le inviano continuamente cassette di arance e bottiglie di marsala, dal pingue ed anziano industriale milanese che le ha proposto di sposarla, allo studente liceale di Trieste che le ha suggerito per iscritto una romantica fuga in un'isola dei mari della Sonda! Nel frattempo, in attesa che giunga anche per lei l'ora fatale del matrimonio, Giovanna non si monta la testa e lavora sodo. 
Piero Prossenda 
GAZZETTA DEL SUD, Mercoledì 20 aprile 1957


domenica 15 marzo 2020

Un leone a Culver City - The Divine Woman



GRETA GARBO: 
LA PIU' SPETTACOLARE ATTRAZIONE DELLA METRO GOLDWYN MAYER

Assonnata e scontrosa, giunse un bel giorno del 1926 a Culver City una timida ragazza svedese che aveva preso parte ad un paio di film in Europa e che il grande Mauritz Stiller (invitato ad Hollywood dalla Metro dopo i successi di Sjostrom) aveva portato con sé, obbligando la casa a farle un contratto. Al suo arrivo nessuno avrebbe mai supposto che nel giro di un anno o due l'insignificante ragazza - il cui nome era Greta Garbo - con i suoi lunghi e lisci capelli biondi, il languore delle palpebre pesanti e la piega amara delle labbra pallide, avrebbe dato il colpo di grazia alla "garçonne" sbarazzina, allo sguardo petulante e bistrato alla bocca a cuore all'inchiostro di China di Clara Bow e di Colleen Moore, di Billie Dove e di Lya De Putti. D'altra parte il tipo della " vamp " tradizionale, la donna bruna e vogliosa, destinata a sconvolgere la mente e i sensi degli uomini, la rovina delle famiglie, insomma, era ormai in pratica tramontato con Theda Bara che era stata la prima e più autorevole rappresentante del genere. Tracce affievolite di quell’impostazione - anche allora considerata fuori moda - erano apparse ad esempio in Nita Naldi e in Barbara La Marr: ma la prima, afflitta da un'incipiente pinguedine, era partita per l'Europa a fare dei film, e la seconda, dopo una serie di successi (anche alla Metro, fra cui The Prisoner of Zenda del 1921), che l'avevano fatta soprannominare "la troppo bella", era morta da poco, a soli ventotto anni. La Murray era in declino; la Swanson e Pola Negri, entrambe all'apice della carriera, erano più che mai orientate verso la "sophistication"; mentre Alla Nazimova - che del resto non era stata mai una " vamp " - era tornata al teatro. Mancava insomma al cinema americano una figura d'eccezione, dal fascino indiscutibile, la cui sola presenza in un film fosse capace di determinare il successo, (come era accaduto forse solo per Valentino, che moriva improvvisamente proprio nel 1926). Che cosa spinse i dirigenti della M.G.M. a puntare tutto sulla Garbo? Nel suo primo film americano, The Torrent (Il torrente, 1926) di Monta Bell, tratto da un romanzo di Ibanez, la sua personalità non era ancora facilmente definibile, e pareva uniformarsi al tipo "latino", di cui Dolores Del Rio era allora il "cliché" ufficiale. Nel film successivo, The Temptress (La tentatrice, 1927: tolto di mano a Stiller alle prime scene e finito da Fred Niblo) vi era già qualche cosa di più: la Garbo assisteva - fra l'altro - con un sinistro sorriso d'indifferenza (e forse di sadismo) ad un duello alla frusta fra due uomini che se la contendevano a torso nudo: ma a parte questa episodica reminiscenza dei fasti di Theda Bara, il film ricavato anch'esso da un romanzo di Ibanez - non dava ancora un'idea precisa e inequivocabile della personalità della nuova attrice. Tuttavia il pubblico, per ragioni forse indefinibili logicamente e dettate solo dall'infallibile intuito della psicologia collettiva, aveva cominciato a drizzare le orecchie. L'eco dei primi incassi e i commenti della stampa specializzata, fecero capire alla M.G.M. che la protetta di Stiller poteva essere un grosso affare, pur non essendo ancora possibile individuare con esattezza in quale precisa direzione. Non era certo prudente rispolverare per lei la formula della "vamp" ma semmai tentare di rimodernarla, rendendola più sottile e complessa: il calcolo -· di cui non è dato oggi conoscere l'astuto responsabile: ma giurerei che c'era lo zampino di Thalberg - riuscì alla perfezione. Flesh and the Devil (La carne e il diavolo, 1927) presentava una Garbo dibattuta fra John Gilbert e Lars Harson, vittima lla medesima del proprio fascino, una " donna fatale " sfortunata e per nulla odiosa, la cui tragica fine fra i ghiacci non faceva tirare un sospiro di sollievo agli spettatori, ma anzi versare fiumi di lacrime. Da quel momento, la Garbo, passò avvolta in una nube di inguaribile stanchezza e di tristi presagi, dlle braccia di Gilbert e di Hanson, a
quelle di Conrad Nagel e di Nils Asther, destinati a struggersi invano per lei, irraggiungibile e incontaminata. Love (Anna Karenina) di Edmund Goulding, The Divine Woman (La donna divina, 1928) di Seastrom, The Misterious Lady (La donna misteriosa, 1928) di Niblo, The Single Standard (La donna che ama, 1928), A Woman of Affairs (Destino, 1929), di Clarence Brown, Wild Orchids (Orchidea selvaggia, 1929), di Sindney Franklyn, e The Kiss (Il bacio, 1929) di Jacques Feyder, furono le tappe della sua fortunata carriera fino alle soglie del sonoro. Con la Garbo, la Metro Goldwyn Mayer aveva trovato senza volerlo la più spettacolare attrazione di tutti i suoi trent'anni di vita. (continua)
Fausto Montesanti
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954  25 NOVEMBRE 

In apertura Greta Garbo in The Torrent,1926 di Monta Bell