mercoledì 23 gennaio 2019

LA CITTA' E LO SPAZIO in Vittorio De Sica

Bleston, ville de tisserands et de forgerons, qu'as-tu fait de tes musiiciens?

Michel Butor,  L‘emploi du temps”

II decennio dal 1946 al 1956 presenta nel cinema di De Sica (1) caratteristiche meno facilmente rilevabili in altri momenti — precedenti e posteriori — dell'attività dei regista. Intanto, è il periodo delle sue cose migliori: Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo a Milano, Umberto D. si distanziano di soli due anni l'uno dall’altro. Inoltre, esso rientra, soprattutto per i quattro i citati, in quella linea estetica cinematografica a torto o a ragione definita neorealista (pure, si potrebbero concepire film esteticamente più diversi non dico di Caccia tragica e Ladri di biciclette — tutto sommato, opere di autori differenti — ma persino degli adiacenti Miracolo a Milano e Umberto D.?). E la lista dei possibili denominatori comuni potrebbe proseguire.
Ma in termini di presenza non imposta, epperò quasi ossessiva (nel senso, almeno, in cui Jean Paul Weber intende l’ossessione sottesa a un'opera 2) nella sua immanenza, nella sua presenzialità apparentemente indifferente ma in sostanza significante in una prospettiva di {spesso variata) iterazione, un'innegabile protagonista non dei film ma del cinema di De Sica in questo periodo è la Città, insieme a ciò che dialetticamente e strutturalmente le si oppone. Naturalmente una statistica ci direbbe che Io sfondo urbano non è certo prerogativa dei cinema di De Sica: basti pensare, per Rossellini, a Roma, città aperta o Germania anno zero (ma anche, molto più tardi, Era notte a Roma, tutto giocato sulla presenza-assenza del tema 3].
Del resto, per il cinema di un dopoguerra non è certo strano che lo sguardo, volta a volta o contestualmente, impietoso, triste, oggettivo o addirittura, e paradossalmente, surreale della macchina
da presa neorealista si muova in un ambiente urbano. Termometro del costume e del progresso, o quanto meno dei mutamento, la città è per ovvie ragioni la prima entità umana e geografica a risentire nel modo più vistoso e atroce della barbarie bellica. Ma non è tanto l'origine sociologica e psicologica di questa presenza che qui ci interessa, seppure in seguito avremo modo di utilizzare anche quest'ottica. La città nel cinema di De Sica in questo periodo sarà presente anche per queste ragioni, ma quel che importa è che essa assume un ruolo che a ben vedere non è esterno, ma, pur sotto le pieghe del narrato, tematicamente centrale. (continua)

1 - Va da sé, una volta ancora, che quando nel testo compare il nome di De Sica ad esso va sempre idealmente affiancato quello di Zavattini, anche se sarebbe ormai il momento di fare un serio studio filologico delle componenti squisitamente zavattiniane nel cinema di De Sica. 2 - Cfr. Jean-Paul Weber: Genése de l'oeuvre poétique , Paris, Gallimard, 1961 e Dornaines thématiques, Paris. Gallimard, 1963, passim. 3 - Bazin avrà anche ragione quando definisce la città italiana “teatrale e decorativa” , ma e chiaro che il discorso relativo all'ambiente urbano nel cinema neorealista  include aspetti e motivazioni di ben atra portata. Cfr. André Bazin: Ou'ést-ce le cinema? IV. Une esthétique de Ia réalité: Ie néoréalisme . Paris, Les Editions du Cerf, 1962. p. 24. nota 1.

Franco La Polla, BN BIANCO NERO, MENSILE DI STUDI SUL CINEMA E LO SPETTACOLO 9/12, 1975

Franco La Polla (1943 - 2009) è stato principalmente un cultore del cinema americano. Suoi studi apparvero su BN, Cinema Nuovo e Cinema & Cinema.






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