Bleston, ville de
tisserands et de forgerons, qu'as-tu fait de tes musiiciens?
Michel Butor, “L‘emploi
du temps”
II decennio dal 1946 al 1956 presenta nel cinema di De Sica (1) caratteristiche meno facilmente
rilevabili in altri momenti — precedenti e posteriori — dell'attività dei
regista. Intanto, è il periodo delle sue cose migliori: Sciuscià, Ladri di biciclette,
Miracolo a Milano, Umberto D. si distanziano di soli due
anni l'uno dall’altro. Inoltre, esso rientra, soprattutto per i quattro i
citati, in quella linea estetica cinematografica a torto o a ragione definita
neorealista (pure, si potrebbero concepire film esteticamente più diversi non
dico di Caccia tragica e Ladri di biciclette — tutto sommato, opere
di autori differenti — ma persino degli adiacenti Miracolo a Milano e Umberto
D.?). E la lista dei possibili denominatori comuni potrebbe proseguire.
Ma in termini di presenza non imposta, epperò quasi
ossessiva (nel senso, almeno, in cui Jean Paul Weber intende l’ossessione sottesa
a un'opera 2) nella sua
immanenza, nella sua presenzialità apparentemente indifferente ma in sostanza
significante in una prospettiva di {spesso variata) iterazione, un'innegabile
protagonista non dei film ma del cinema di De Sica in questo periodo è la
Città, insieme a ciò che dialetticamente e strutturalmente le si oppone.
Naturalmente una statistica ci direbbe che Io sfondo urbano non è certo
prerogativa dei cinema di De Sica: basti pensare, per Rossellini, a Roma, città aperta o Germania anno zero (ma anche, molto più
tardi, Era notte a Roma, tutto
giocato sulla presenza-assenza del tema 3].
Del resto, per il cinema di un dopoguerra non è certo strano
che lo sguardo, volta a volta o contestualmente, impietoso, triste, oggettivo o
addirittura, e paradossalmente, surreale della macchina
da
presa neorealista si muova in un ambiente urbano. Termometro del costume e del
progresso, o quanto meno dei mutamento, la città è per ovvie ragioni la prima
entità umana e geografica a risentire nel modo più vistoso e atroce della barbarie
bellica. Ma non è tanto l'origine sociologica e psicologica di questa presenza che
qui ci interessa, seppure in seguito avremo modo di utilizzare anche
quest'ottica. La città nel cinema di De Sica in questo periodo sarà presente
anche per queste ragioni, ma quel che importa è che essa assume un ruolo che a
ben vedere non è esterno, ma, pur sotto le pieghe del narrato, tematicamente
centrale. (continua)
1 - Va
da sé, una volta ancora, che quando nel testo compare il nome di De Sica ad
esso va sempre idealmente affiancato quello di Zavattini, anche se sarebbe
ormai il momento di fare un serio studio filologico delle componenti squisitamente
zavattiniane nel cinema di De Sica.
2 - Cfr. Jean-Paul Weber: Genése de l'oeuvre poétique , Paris, Gallimard, 1961 e Dornaines thématiques, Paris. Gallimard,
1963, passim.
3 - Bazin avrà anche ragione quando definisce la città
italiana “teatrale e decorativa” , ma e chiaro che il discorso relativo
all'ambiente urbano nel cinema neorealista
include aspetti e motivazioni di ben atra portata. Cfr. André Bazin: Ou'ést-ce le cinema? IV. Une esthétique de Ia réalité: Ie néoréalisme
. Paris, Les Editions du Cerf, 1962. p. 24. nota 1.
Franco La Polla, BN
BIANCO NERO, MENSILE
DI STUDI SUL CINEMA E LO SPETTACOLO 9/12,
1975
Franco La Polla (1943 - 2009) è stato principalmente un cultore del cinema americano. Suoi studi apparvero su BN, Cinema Nuovo e Cinema & Cinema.