Per
un`antica depravata disposizione ad amare i destini più spenti, o forse perché
nel baratto di una diva
o divo contro quattro comparse mi sentivo di far mercato,
non collezionai Greta, Marlene, Ramon Novarro, ma Una Merkel, Eric Blore, Elsa
Lancaster. Ancora oggi, se mi piace immalinconirmi, non mi chiedo dov’è sepolta
la «famiglia reale» di Broadway, dove sono Gloria, Norma, Pola, né dov'è Flora
la bella Romana, Archipiade, Taide; ma penso all’erba che copre l’amabile naso di
Jimmy Durante, alla cassa di quercia dove s’allunga in divisa di gala Aubrey
Smith; immagino Donald Meek che offre whisky, timidamente, sopra un traghetto
del Lete; Misha Auer che urla in russoski d'avere freddo, di non capire come d'un
tratto tanta terra gli sia entrata negli occhi. Talvolta, d'estate, li rivedo
in tv. Già dai titoli di testa mi salutano fiocamente: il postiglione Andy Devine,
il gangster Lloyd Nolan, il maggiordomo Edward Everett Horton, il poliziotto
Nat Pendleton. E ancora gli svaniti, le svanite, quel bambolotto di ciccia che
invita sempre a ballare la Hepburn... Tutti con modi e facce di totale
innocenza, benché, quando cominciano a muovere le labbra, sia subito chiaro che
sanno d'esser morti, e non una, ma due volte. Sanno di vivere ormai solo la
vita fuggiasca della mia mente, e che quanto prima usciranno di scena una terza
volta, e per sempre.
Gesualdo Bufalino, Museo d’ombre, Sellerio editore, Palermo
1982