domenica 14 maggio 2017

On ne verra que leur traces sur le sable

Impronte sulla sabbia
Bernardo Bertolucci

Negli ultimi anni il nome di Bresson è diventato una semplice parola, un’entità, una sorta di manifesto cinematografico del rigore poetico. Bressoniano significava per me e per i miei amici l’estrema, morale, irraggiungibile, sublime, punitiva tensione cinematografica. Punitiva perché i suoi film sono forti esperienze sensuali senza sollievo (a parte il sollievo estetico, che è di per un piacere devastante).
Un giorno ho saputo che Bresson era a Roma per un incontro al CSC. Sono corso, e sono arrivato nel bel mezzo della lezione. In piedi dietro un muro di studenti, riuscivo a vedere solo l’immacolata corona bianca della testa che si muoveva lentamente. Non ha mai usato la parola “cinema” ma “le cinématographe”. Tutto il resto era “theatre filme“. Quando ho potuto vederlo in faccia, forse solo per tre secondi, mi ha fatto pensare a un coniglio ipnotico. Le mie gambe tremavano di ammirazione. Era il 1964 o il 1965? Quel pomeriggio Mauro Bolognini mi invitò a una cena in onore di Robert Bresson, che era a Roma da alcune settimane per preparare un episodio della Bibbia, un film prodotto da Dino De Laurentiis con vari registi.
Bresson aveva scelto L’arca di Noè. Prima di essere presentato, Bolognini mi disse che Bresson era piuttosto di cattivo umore, e mi spiegò perché. Quella mattina, mentre Bresson faceva la sua lezione, Dino De Laurentiis era andato in teatro di posa e aveva visto grandi gabbie con dentro coppie di animali selvaggi: due leoni, maschio e femmina, due giraffe, maschio e femmina, due ippopotami, maschio e femmina, ecc. Qualche ora dopo, Dino disse a Bresson di sentirsi eccitato all’idea di essere l’unico produttore al mondo capace di far scendere in terra l`eccelso Maestro, producendo un film con autentici valori produttivi e commerciali … «On ne verra que leur traces sur le sable» (si vedranno solo le loro impronte sulla sabbia), bisbigliò Bresson a Dino. Un’ora dopo veniva licenziato.
Eccomi, di fronte a Bresson. È l'inizio dell'estate e stiamo su una terrazza in via San Teodoro. Dietro di lui lo sfondo dei colli palatini, pezzi di bianche rovine nel buio. Devo aver borbottato qualcosa come «prima di mettere una bomba nel teatro di posa di De Laurentiis... posso chiederle se …  forse c’è qualcuno... nella storia di... “le cinematographe”... che le piace di più... c’è un film che preferisce... o più di uno...?›.
Guardò altrove, “no”. Poi, con straordinario spirito di precisione, si corresse.
«Forse, qualche inquadratura di Chaplin. Ma quando non è in scena». Gli dissi che adoravo Les dames du Bois de Boulogne. Non aveva ancora realizzato Au hasard Balthazar, Mouchette, Une femme douce, Quatre nuits dun rêveur, Lancelot du lac, Le diable probablement, L’argent. Scrivendo questo testo adesso, Bresson è d'improvviso nuovamente il nome di una persona. Francese. O taoista?

Testo apparso in James Quandt (a cura di), Robert Bresson, Cinémathéque Ontario, Toronto, 1998.
Bianco & Nero, Gennaio/febbraio 1999


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