Mimmo Addabbo - Lolli,Ubaldo Vinci, Gianni Parlagreco,Catalfamo,Fabris, Valentino,Margareci,Crimi,Fano e i Sigilli
giovedì 27 aprile 2017
Walker/Parker
Era un tipo massiccio e villoso, dalle spalle diritte e quadrate, le braccia troppo lunghe in un paio di maniche troppo corte. Indossava un vestito grigio stazzonato dal tempo e dalla trascuratezza ...
Richard Stark, The Hunter, 1962
John Boorman, Senza un attimo di tregua, 1967
mercoledì 26 aprile 2017
Gli dei sono dei, gli uomini sono uomini
Sia nella serenità
Che nella malattia
Nessuno
può essere valutato.
Io vi accederò
Per osservare
Le profondità del cuore.
Finché questo mondo, questi corpi,
questi paesi esisteranno,
in ogni angolo della terra,
in ogni regno,
consenti a questo figlio di Dio
di vedere e di non trascurare nulla.
Gli dei sono dei,
gli uomini sono uomini.
Chiunque egli sia
Io lo servirò.
Ti ringrazio.
Naomi Kawase, 2つ目の窓 Futatsume no mado - StillTheWater
domenica 23 aprile 2017
Ваш сын и брат
Vostro figlio e fratello
Vašm syn i bratz che si ebbe anch'esso e ancora prima di
uscire le stroncature di « Literaturnàja Gazeta ›› - prosegue e approfondisce
alcuni motivi dell’Erlebnis di šukšin già presenti in Zivët takòj paren senza che vi intervenisse la preoccupazione di un
giudizio morale, che qui, invece, è esplicita.
E' domenica. Le ragazze di un piccolo villaggio
in Crimea sono a passeggio in riva al fiume Katun in disgelo. Le donne
puliscono i tappeti, gli uomini fanno crocchio, bevono o brigano con ii piccoli
lavori di casa.
Steipàn Voevodin torna a casa da lontano.
In anticipo. Era atteso per l’autunno. E' stato in carcere perché ha menato
pugni quando non era il caso. Stepàn
racconta a suo padre della vita del carcere: si stava bene, si mangiava a
sufficienza, si vedevano due film alla settimana.
La sera nei corso dell’animato convivio
per il suo ritorno, vecchi e giovani cantano assieme la gioia, l'amicizia e
l'amore. Si balla. Nel pieno dell'allegria, però, si viene a sapere che Stepàn
è scappato di prigione. Gli mancavano appena tra mesi per scontare la sua
condanna. Ora gli toccheranno altri due anni
di carcere...
Suo fratello Maksìm, « il ragazzo che non
da retta a nessuno ›, è operaio in un cantiere edile nei sobborghi della grande
città. Riceve una lettera. Sua madre gli scrive di soffrire di radicolite. Ha
sentito dire che il veleno di vipera fa miracoli. Gli chiede di trovarglielo
nella grande città.
Maksim comincia la lunga caccia: nelle
farmacie, nei laboratori, il veleno non c’è. Alla fine affronta risoluto il
direttore della farmacia principale e ottiene quel che vuole, il Vipratox.
Ignati vive anch'egli in città. Fa il
professore di educazione fisica e dirige una palestra. Ha sposato la bella
šula. Dopo cinque anni decide di tornare a casa, a visitare i suoi. Porta con
sé un monte di regali per tutti. Suo padre lo trova cambiato: « E' venuto per
darsi delle arie: ha portato dei regali ». Tra i due comincia una sottile
schermaglia che si accende ancora quando Vasilij, il fratello piú giovane,
torna dal suo lavoro di carpentiere.
Vassia saluta con impaccio la sua bella cognata.
l due fratelli vanno al fiume a bagnarsi. Il padre rimprovera a Ignatl di
sprecare il suo vigore fisico in città e stimola invano Vassia a misurarsi col
fratello piú vecchio. Agli occhi dei padre, Vassia rappresenta la fedeltà alla
terra che l'ha nutrito.
Arriva una lettera. E' di Stepàn. «
Carissimi genitori, sto bene e lavoro sodo. E' presto per dirlo, ma spero di
tornare in autunno. Vi saluta. vostro figlio e fratello: Vaš syn I brat ››.
Il tema della ricerca dell’identità di un giovane che vive in campagna
negli anni dei secondo dopoguerra moltiplicando le occasioni di comunicazione
con la gente e le opportunità di conoscere le diversità del mondo che cambia
intorno a lui, avvalendosi della mobilità nuova che vien ampliandosi anche
fuori dai centri urbani (il camion per i lavori tra i kolchozy] si amplifica e si precisa qui nel confronto
tra vita di campagna e vita di città e nel riscontro degli esiti che hanno le
vite di quattro fratelli che hanno fatto scelte esistenziali diverse: il piú
giovane restando fedele alla terra
Vassia lavora col legname - i maggiori scegliendo la strada del|'inurbamento.
-
« La campagna è uscita sulla strada, anzi sull’autostrada ›› dice
šukšin [C. Benedetti, int. cit.]. Le distanze si sono talmente accorciate che
ora i due mondi, prima impermeabili, si trovano in pieno processo di osmosi. Ma
in questo processo è la campagna e la sua gente a non guadagnarci dal punto di
vista etico ed esistenziale. Certo questa gente ha acquisito nuove tecnologie e
la meccanizzazione del lavoro agricolo ha corretto la sua assillante fatica; in
una parola i contadini sono decollati verso prospettive meno faticanti. Ma la
gente che ha abbandonato la terra, cioè le sue radici, si trova ora a dover
compiere una scelta ben piú "radicale", dopo quelle banali dei
portamento e del comportamento convenzionato urbano.
Vaš syn i brat è il primo severo discorso di šukšin sul che fare? di questa gente che ha ‘
tradito ‘ la campagna e si trova appena nella prima fase di confusa e malaccorta
assuefazione alla città e nella città.
šukšin traspone anche questa volta dai suoi racconti - e lo fa di film
in film con una padronanza espressiva piú composta e ilare - il grande motivo
del confronto dialettico tra i due mondi. E lo personalizza nella vicenda plurima
che coinvolge la vecchia casa di campagna presieduta e presidiata dal padre (e
accanto gli sono, come ulteriori dimensioni di quel mondo di affetti, la madre,
una sorellina sordomuta che sprizza joie de vivre, e il figlio “fedele”, il piú
giovane, il piú flessibile al fascino del padre) e i tre fratelli piú anziani
che hanno scelto la città, accettandola a livelli diversi di integrazione.
Il primo, Stepan, è quello che ne ha sofferto piú dolorosamente l'impatto:
la rissa che gli ha meritato il carcere è segno della sua indisponibilità e
insofferenza ad accettare tout court le regole altre della vita urbana. Stepàn è un onorato ribaldo che si fa i
suoi mesi di prigione ma non resiste fino infondo alla nostalgia della sua casa
e scappa, stupidamente, solo tre mesi
prima che spiri la condanna. Accortamente šukšin ci rivela questo particolare in meclias res, quando ha già coinvolto
il suo lettore nell'onda di simpatia schietta e spontanea con cui la sua gente,
in una sequela di conviti, di canti, di brindisi e di danze festevoli, abbraccia
Stepàn tornato a casa prima del previsto. La ‘stupidità’ che l'uomo della
polizia gli rinfaccia le in fondo dello stesso spessore di quella che Paška
ribatteva alla giornalista in ospedale. La gente di città (luogo dell'esprit de géométrie e manifesto della
razionalizzazione) è gente accorta, sia fare i suoi calcoli, conosce
a memoria le leggi della convenienza. Ma ignora la nostalgia, perché
non saprebbe neanche dove tornare.
Stepan sí, in qualche modo ha tradito la terra madre, lo spirito autentico
della Russia; e la vita gli ha imposto il suo - e qui torna - uno dei Leit-motiven
di šukšin, quello della inevitabilità della pena dopo ogni errore --
contrappasso. Sta pagando, è disposto a pagare fino in fondo, persino - stupidamente
- di piú di quanto basterebbe. Infatti,
quando gli manca l'aria, non può fare a meno di tornarsene a tirar il fiato
nella casa del padre. «Dovevo riprendermi. Ora son pronto a farmi tutto il
carcere che volete ››.
Dopo l’integrato “a forza", c'è un secondo livello di
integrazione. E' quello di Maksìm che sente la città, nella quale ha scelto un suo
lavoro “sicuro”, se non straniera e ostile, certamente fredda e indifferente.
Non cerca l'inserimento perché ne avverte la differenza. Fa parte per se stesso
esorcizzando così l`idea di esser
respinto. E quando è costretto, dalla malattia della madre e dalla necessità
di trovarle quella medicina speciale che solo quel mondo custodisce, a
confrontarsi con le insensibilità e le indolenze della città e della sua gretta
parte burocratica, soffre ad una ad una le stazioni della sua estraneità.
šukšin suggerisce qui esplicitamente l`idea che la società socialista può
ignorare la solidarietà e la sollecitudine, sociale quanto e piú delle società
borghesi.
E che, come e piú che nelle società borghesi, ciò che “sblocca” è poi
la conoscenza influente, la raccomandazione di chi conta.
Ignati rappresenta il terzo e non superabile grado dell'integrazione.
Della città ha accettato in pieno la logica e le sue conformità, a cominciare
dal codice linguistico « neutro, senza sfumature, quasi da gazza ladra, da uccello
che cinguetta velocemente ››. E' un pezzo d'uomo: i suoi muscoli che potevano
fecondare la terra sono qui messi al servizio di uno dei miti compensativi
nella debosciante civiltà dei confort, il culturismo. La sua casa, le sue
abitudini, la moglie sbozzacchita e sussiegosa, costituiscono tutto un mondo
di « oggetti ›› acquisiti col suo lavoro, cosí insolito e quindi cosí
ben remunerato. Se torna dal padre dopo tanto tempo non tè per nostalgia, come
per Stepàn. E' per la curiosità di misurare la distanza che lo separa dalle sue
origini, è per un inconfessato desiderio di ostentazione del suo acquisito
decoro. I regali che reca con sé e con tanta profusione da infastidire il suo
vecchio sono l'accertamento del proprio successo e l'indice di ciò che si può
avere in città.
Significativamente il suo vecchio gli oppone, per un confronto fisico
che non avrà luogo, l'intatta e incorrotta vigoria fisica - che è proiezione
della sanità morale - del fratello piú giovane, Vassia. Il confronto dovrebbe
essere la verifica della sua ammonizione a lgnati: « Dov'è che hai preso la tua
forza? Qui. E qui la devi spendere ››. Ma proprio ora la “persuasione” del
padre si spunta. Il no di Vassia a confrontare la sua forza con quella di
Ignati è omologo, per energia ed autorità, alla eccitazione del padre che ama
tutti i suoi figli e tutti critica (con partecipazione Stepàn, con sarcasmo
Ignati, con indulgenza Vassia) ma senza debolezze perché cerca il loro bene,
seguendo il sistema di valori che la terra gli ha respirato in faccia come ha
fatto con altri prima di lui, da sempre, per millenni.
Il rifiuto di Vassia è - per usare un linguaggio sportivo – come il
passaggio del testimone in una staffetta. Il padre ha finito il suo tratto di
corso, ha accettato di *perdere* tre dei suoi figli che han seguito altre
piste, e ora consegna il “bastoncino” a chi ha riconosciuto vigoroso e vitale,
cioè capace di fare un tratto eguale al
suo, nella stessa corsia. La stanchezza del vecchio che reclina il capo
sulla tavola della sua casa dopo aver parlato, scherzato, bevuto con i suoi
figli in un costante confronto, «è la pace di chi ha avuto la felicità di
riconoscere e cogliere il suo tempo per riposare. La felicità di chi ha trovato
un alter ego in cui continuare e in cui ostinarsi a far vivere la propria
cultura.
Bruno De Marchi, BIANCO E NERO, Anno XXXVII, luglio/agosto 1976
giovedì 20 aprile 2017
mercoledì 19 aprile 2017
martedì 18 aprile 2017
Film accontenta tutti
La leggenda del santo bevitore riassumeva un po' tutte le caratteristiche che andavamo cercando: girato con grande maestria, brillantemente interpretato e così internazionale nella storia, ma soprattutto nella struttura, da combaciare quasi perfettamente con l'atmosfera e lo spirito dei grandi festival cinematografici. Ed oltre a tutto quello che è già stato detto e scritto sui pregi del film, non dimentichiamoci che un regista italiano racconta una storia ambientata a Parigi, usa un protagonista olandese facendolo parlare in inglese e che il film ha quel tanto di ermetico da accontentare persino il giurato indiano dal nome impronunciabile.
giovedì 13 aprile 2017
e LUX fu
Il Cinema Lux
Inaugurato ieri sera
In meno di un anno tre nuovi locali hanno avuto il battesimo inaugurale
nella nostra città e questa è una evidente dimostrazione non soltanto
dell’intraprendenza e della volontà di ricostruzione dei messinesi, ma segno di
intensificarsi del tono della vita cittadina.
Il cinema Lux che ieri sera ha presentato il suo primo spettacolo
dinanzi ad un numeroso pubblico di invitati ed autorità si allinea per eleganza
con gli altri locali. E’ stato costruito dall’impresa del comm. Giovanni Caruso
su progetto degli ingegneri Sterrantino e Crisafulli e dispone di tutti i
servizi della moderna tecnica, rispondendo a tutte le esigenze del pubblico.
E’ dotato di schermo luminosissimo e di nuovi impianti meccanici
forniti dalla ditta Prevost di Milano. Le pareti riccamente ornate di stucchi
acquistano maggiore effetto nell’indovinato sistema di illuminazione a tubi fluorescenti
che lasciano cadere una luce diffusa, limpida e gradevole. Il materiale usato
per le pareti è termoacustico assorbente mentre una tettoia parzialmente mobile
oltre a rispondere a requisiti di carattere pratico conferisce all’intonazione
generale dell’ambiente una maggiore eleganza ed una linea di efficace
morbidezza, nella sobrietà dello stile.
Pur non disponendo il locale di sistemi di areazione condizionata la
ventilazione è ottenuta in base al principio della depressione dovuta al diverso
orientamento dei prospetti delle pareti.
Il locale che ha una capacità di 700 posti a sedere è costituito da una
sala ampia e da una tribuna comoda con perfetta visuale. Le poltrone sono in
legno curvo su modello viennese.
Alla cerimonia inaugurale hanno partecipato l’on. Gaetano Martino
vice-presidente della Camera, il vice Prefetto comm. Alvino; il col. Morone
comandante interinale della Legione dei Carabinieri con il cap. Mannucci ed il
ten. Moghetti e numerose altre autorità.
Il cinema Lux sorge tra la piazza del Popolo e via Cesare Battisti in
un edificio moderno.
LA TRIBUNA DELO MEZZOGIORNO, Domenica 3 gennaio 1954
lunedì 10 aprile 2017
François Villon here and now
La Foresta Pietrificata (The Petrified Forest), Archie Mayo 1936
Tanto è il bene che ti voglio
Che il mio animo s’infiamma
Al ricordo del nostro primo incontro
Ora che ho conosciuto l’amore
Non potrò più immaginare
di esistere senza di te
nessuna ragione o farsa
mi impedirà d’amarti
per quale motivo infatti
io sono in vita
se non per cercarti e
un giorno ritrovarti
perché questo è il destino
che lega due anime gemelle
dentro il tuo campo
i semi del mio raccolto prospereranno
e il frutto della mia anima
germoglierà di nuovo
Such good I
wish you
Yea, and
heartily I'm fired with hope
Of true
love's meed to get
Knowing
love writes it in his book
For why,
this is the end
For which
we twain are met
Seeing
reason wills not
That I cast
love by
Nor here
with reason
Shall I
chide and fret
Nor cease
to serve
But serve
more constantly
This is the end
For which
we twain are met
Thus in
your field
My seed of
harvestry will thrive
For the
fruit is like me that I set
God bids me
tend it with good husbandry
This is the
end for which
We twain
are meant
Offrir vous veuil
à ce Désir
m'allume joyeusement
ce qu'aux
amants bon semble
Sachez
qu'Amour l'écrit
en son
volume
Et c'est la fin pour quoi
nous sommes
ensemble
Raison ne
veut que je désaccoutume
Et en ce veuil
avec elle m'assemble
De vous servir
mais que
m'y accoutume
Et c'est la fin pour quoi
sommes ensemble
En votre champ
quand le fruit me ressemble.
Dieu m'ordonne que le fouïsse et fume
Et c'est la fin pour quoi
sommes
ensemble.
François Villon, Ballade pour Robert d'Estouteville
Nel film, mentre la versione francese del film mantiene il testo originale, quella americana subisce un adattamento da cui dipende la traduzione italiana.
Himizu, Sion Sono 2011
Riconosco le mosche nel latte.
Puntini nel bianco.
Lo so.
Lo so.
Riconosco un uomo dai suoi abiti
Anche questo so molto bene
Riconosco il bel tempo da quello brutto
Lo so.
Riconosco una mela dall'albero.
Io lo so.
So chi lavora e chi ozia
So tutto.
Tutto mi tiene in vita.
Conosco ogni cosa.
Riconosco le guance rosa da quelle pallide.
Conosco la morte che tutto divora.
So qualsiasi cosa.
Tutto tranne me stessa.
giovedì 6 aprile 2017
The Arrangment
Il Compromesso (The Arrangment, 1969) è un
film-cerniera: rappresenta il momento della frattura dell'io, la rivelazione di
una vocazione autobiografica che si rovesciava in ossessione. Perciò un film
frantumato, stralunato, di un godimento immenso, per il numero sterminato di
codici che attraversa, di scandali stilistici che commette, di slittamenti (dal
teatro naturalista al poema underground) che compie. L’uomo e il regista
esplodevano in un film schizofrenico sulla schizofrenia, pauroso di qualunque
unità, dunque di ogni stile unitario, fino a diventare la prova fertile che
distruzione e contaminazione sono a loro volta uno stile.
Con questo film anticlassico, in cui sembrava liberarsi per
sempre, con un'autoanalisi brutale, del mito della propria biografia, Kazan
entrava nel silenzio.
Enzo Ungari, Schermo delle mie brame, Vallecchi 1978
In questo film di Elia Kazan, la voce di Vittorio Cramer, qui esilarante, veniva utilizzata come molto spesso era accaduto, off, da un apparecchio radiofonico, o da uno schermo televisivo.
mercoledì 5 aprile 2017
SETTE PERSONAGGI IN CERCA DI SPETTATORI
Il
teatro?
Il << cinemascope » è la realizzazione alla quale si guarda come
l'ancora di salvezza per il cinema di domani.
Due locali l’hanno adottato nella nostra città con risultati positivi
grazie alla perƒezione delle macchine di
proiezione e degli amplificatori; tutti gli altri gestori hanno
annunciato a breve scadenza l’importante innovazione,
Messina - ed i proprietari intervistati l'hanno confermato - ha un
pubblico evoluto, con una sensibilità artistica molto affinata ed esigenze di
pari entità.
Speriamo che anche il «teatro» abbia il suo pubblico, quello di prosa
in particolare. E' con questo auspicio che abbiamo accolto con sommo piacere la
notizia di una recita nel mese prossimo del « Cyrano de Bergerac » con Gino
Cervi. La « rivista non ha rivali ed in
questo mese la Osiris - Macario ne darà una riprova.
Gazzetta del Sud Martedì 16
marzo 1954
L’inchiesta è stata curata, da Nino Calarco
Nella foto il Teatro Vittorio Emanuele alla fine degli anni settanta del XX secolo.
lunedì 3 aprile 2017
La letteratura della terra e Vasilij Šukšin - pt. 3
Dal
punto di vista della militanza politica la posizione di šukšin era tuttavia ben
diversa. Era iscritto al partito - fu anche segretario di un Komsomol regionale
-e lavorava nell'ambito della produzione cinematografica di stato. Eppure lo
qualificavano « non allineato ›› quella sua religione della campagna, quella
sua sorniona diffidenza verso « certi valori che valori non sono ›› e che
vengono mediati da un sistema di segni tutto urbano e tecnologico, in un
linguaggio « neutro, senza sfumature, quasi da gazza ladra, da uccello che
cinguetta velocemente ›› (C. Benedetti, intervista cit.`],-quella sua ferma proclamazione
dei diritti/doveri della coscienza individuale, quel suo incessante invito alla
prudenza per non essere travolti dal filisteismo indettato dalla cultura
urbana' (C. Benedetti, int. cit.): « Alcuni miei lettori pensano che io
contrappongo la città alla campagna sostenendo che in campagna va tutto bene e
che la vita è bella. In città, invece va tutto male. Questo giudizio è
sbagliato. Ma devo dire con tutta sincerità che io mi sento molto piú agio tra
le cose che conosco bene. Ecco, forse ci vuole una nuova
saggezza per capire anche la città. Io infatti sento la necessità di salire un
altro gradino per apprendere anche il materiale cittadino. E qui bisogna incominciare
a fare qualche distinguo. Bisogna cioè comprendere che la città non è soltanto
una forza nemica. Nella città, infatti, abita molta gente, è nella città spesso
che si scrivono libri interessanti, si fanno film. «Nella città vi sono esempi
di arte. Ciò vuol dire che anche la città può essere la base per dare vita a
tutte queste cose. « Forse, per me, questo processo di comprensione «è
troppo lungo. Forse sono troppo prudente per comprendere queste cose. Ma nello stesso
tempo credo fortemente che anche i protagonisti dei miei racconti nelle stesse situazioni sarebbero prudenti.
Bisogna essere prudenti in varie occasioni: per scegliere un libro giusto, per
trovare la persona giusta, per non sbagliare in città, per non pensare che l'uomo
che ha fatto un paio di istituti è l'uomo piú saggio del mondo. E' necessario,
quindi, cercare in modo profondo, proprio cosí come fanno i contadini, alla
contadina. Ebbene,se si resta all'interno di questa concezione, la città non
sarà piú un guaio. Io ritengo che lasciando la radice in campagna si lascia
anche la radice nell'anima. Al contadino cioè deve restare dentro qualcosa
perché non divenga, in città, un filisteo. Ma non sempre avviene cosi ». ln una
parola, è stata la sua 'alterità' rispetto alla cultura ufficiale che lo ha
reso inevitabilmente non già sospetto ma certamente «<atipico
››: un tollerato insomma nel ben atticciato conformismo delle istituzioni.
Resta un mistero, per esempio -potrebbe essere solo un
caso tecnico; e lo si può anche pensare -perché mai non sia stato inviato a
Venezia, con gli altri film di šukšin, Peãki-Iavoški
(l'espressione che letteralmente vale 'stufe-panchine' nel sottocodice
linguistico della regione dell'Altaj vale come vera e propria proposizione
esclamativa ellittica enfatizzata dall'allitterazione; e denota stretta amicizia;
ed è rapportabile, in qualche modo, all'espressione veneta cul e camisa] con
ogni probabilità la piú tipica delle sue opere.
Si è ipotizzato che il "colore locale" del
film sia apparso ai funzionari ragione sufficiente per ritenerlo incapace di
destar l'interesse.
Dimenticando il principio luikacsiano della
"particolarità del rispecchiamento" che assai probabilmente - a quel
che si dice – trova in questo film una prova esemplare.
Ma è soprattutto il contraddittorio ironico e
graffiante, sempre indiretto, di šukšin nei confronti della burocrazia e delle
sue sciocche onnipotenze; soprattutto la polemica garbata ma ferma contro gli
arrivisti e i conformisti 'scaltri', che san trar partito da ogni situazione e
che in ogni caso inventano il modo di adattarsi alle circostanze - šuikšin nei
racconti li tratta da lemuri, non da uomini - e i monitori insistenti contro le
tentazioni borghesi del proletariato urbano a porlo in prossimità delle
tensioni di Zòšcenko.
E poi, anche, la lingua. La struttura della sua
narrativa, sia verbale che iconica, è una struttura, dicevamo, paratattica: è
una sequela di monologhi - resi visivamente attraverso il ricorso ai campi lunghi,
alle carrellate, alle panoramiche “interiettive" -- e di dialoghi nei
quali sprizzano inequivoci il mondo spirituale di šukšin, il suo Erlebnis e le destinazioni
del suo discorso. Che non scivola mai nel moralismo ma si regge invece su un
sostanziale sforzo di comprensione della gente, delle situazioni, della storia.
E' per queste tensioni, per queste intonazioni e per
l'importanza che šukšin dà al linguaggio dei suoi personaggi - sembra che Vasilìj Makàrovic segua alla
lettera il parere di Ralph Emerson per il quale il linguaggio è "poesia fossile"; o meglio
si può dire ch'egli enfatizza, per usare un linguaggio sossuriano, la parole rispetto alla Iangue; parole intesa come primum di ogni fenomeno evolutivo, progressivo
della comunicazione - che non ci sembra improponibile, dunque, l’accostamento
del nostro autore a Zòšceniko.
Quel romantico sentimentalista che fu Zukòvskij sembra
abbia lasciato un motto, che si può rammentare a proposito di šukšin: quei che
si scrive con fatica, si legge con facilità. La lettura di šukšin romanziere
verbale e/o iconico è diretta e agevole. E' diretta perché sul piano
del'espressione la denotazione - quella
che si ricava dal codice lessicale in funzione _-è
nettamente prevalente sulla connotazione,la quale invece rinforza il proprio
senso in ordine al contesto in cui si pone. šukšin lo si legge senza ambiguità,
nettamente, come il fondo d'un fiume attraverso la sua acqua chiara.
l significati aggiunti non mancano, ma non sono
tracimanti. Emergono dalla totalità del discorso espressivo e si propongono
come termine ad quem del messaggio poetico. La metafora vi è bandita, la
metonimia accettata: quando serva a indicizzare il mondo ideale dell'autore.
Eppure questa facilità, questa immediatezza di
comunicazione è frutto d'una fatica appassionata, di un provare e riprovare
instancabile: il magistero di Romm, in quest'ordine, è stato rispettato fino
all'ultima energia.
La fatica nutre la saggezza. NihiI sine magno vita Iaborededit mortalibus, sentenziava Orazio. E
chi meglio e piú della gente dei campi conosce la pena e la verità di questa
legge? E una generosa saggezza, anzi - dice šukš in (C. Benedetti, intervista
cit.) - una saggezza «superiore ›› è quella che deve cavar fuori un autore
(cosí come fa un padre che deve farla valere in faccia
a quella dei coetanei del suo figliolo] per far opera che resta. E questo
appunto è, per šukšin, il destino e il compito dell'arte: epifania, appunto, di
bontà e di sapienza.
Bruno De Marchi, BIANCO E NERO, Anno XXXVII, luglio/agosto 1976
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