lunedì 9 aprile 2012

Turiddhu Giulianu non abita qui

Michael Cimino il siciliano, oriundo nella terra dei padri

Il Regno delle due Sicilie, l’unico paese al mondo assieme all’ovest americano, dove la realtà sconfina nella fantasia e la fantasia sconfina nella realtà. L. Sciascia

La storia la si può ribaltare – lo chiamano revisionismo -  come si vuole ed i personaggi storici pure; al cinema è accaduto spesso. Martin Scorsese ha riscritto, ammesso che sia esistito, Gesù di Nazareth, considerato fino ad allora un intoccabile; John Ford, maestro di scuola Michael Cimino, ha camuffato il generale George Armstrong Custer in un buon padre di gaie donzelle in età da marito.
Cimino reinventa un pezzo di storia sicula, ed uno dei suoi personaggi più famosi dopo Polifemo, ammesso che anche quest’ultimo sia esistito.
L’obiettivo dei nostri tre registi, come di altri, è stato quello di dare qualcosa in cui credere, a danno della realtà, agli americani.
Il Siciliano di Michael Cimino è un film per gli americani del New Jersey come per quelli di una qualsiasi Contea del Kansas.
Come il fordiano Massacro di Fort Apache il film di cimino è ottimo, per alcuni aspetti molto personale e ciò è dovuto alla sensibilità del regista.
Quello che mi piace di più e che il nostro Michael ha fatto vedere la Sicilia per come la vedevo io nei miei giri e rigiri: la terra del Mito. L’ha rappresentata come fosse l’altra terra del Mito, la sua patria, l’America, non quella urbana di Ore disperate ma quella della frontiera ne  I Cancelli del cielo, quella dei nativi, di cui lui è un cittadino onorario.
Di più: meglio di qualsiasi altro ha saputo ritrarre per il grande schermo la più bella città del mondo, Palermo.  Quella scena girata lungo la via Maqueda all’alba, con le camionette della polizia che in assetto di guerra, come uno squadrone del  7° cavalry, la percorrono rombanti e facendo tremare le tazzine di caffè, la poteva comporre solo lui con l’aiuto del fido Alex Thompson, nel prossimamente, sotto, ne appare qualche tratto.
Durante la visione del Siciliano mi tornava in mente Giuseppe Tomasi di Lampedusa che ne Il Gattopardo per bocca di don Fabrizio, principe di Salina, definisce l’isola, l’ America per Fenici, Ioni e Dori.



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