mercoledì 5 febbraio 2020

Nero Pasolini



Venti atroci giorni chiuso in un alberghetto a lavorare come un cane.
Pier Paolo Pasolini, 1960

Tanto è affascinante (e tormentata) la genesi di "La Nebbiosa", quanto fallimentare sarà lo sbocco cinematografico.
Roberto Curti, ‎Alessio Di Rocco, Visioni proibite: I film vietati dalla censura italiana (1947-1968), 2014



giovedì 30 gennaio 2020

CINE ma POPolare



AL PUBBLICO POPOLARE
PIACCIONO I MELODRAMMI

Nella produzione qualitativamente "minore'', quali elementi si
riscontrano conformi alla psicologia popolare che fanno di tanti
film artisticamente negativi degli ottimi successi di cassetta?

Leggendo i primi due servizi della interessante inchiesta promossa da " Cinema" sui film di categoria B, ci è sembrato opportuno intervenire ampliando il discorso a tutta la produzione qualitativamente minore, ai film cioè non impegnati sul piano artistico o, quanto meno, culturale. Accogliendo la classificazione "economica" proposta da Redi e Rinaudo, rientrano nella categoria B quei film prodotti con pochi mezzi da piccole società e distribuiti sul mercato senza l'ausilio del lancio pubblicitario: "sono film fatti in casa'', ignorati dalla critica ufficiale dei quotidiani e dei periodici, con registi ed attori sconosciuti o mal noti al pubblico delle prime visioni e, talora, anche a quello delle seconde. La sorte commerciale di questi film è affidata alle sale periferiche delle grandi città e, soprattutto, alle semplici platee dei mille e mille villaggi d'Italia. Appartengono al gruppo film come questi: Amore è smarrimento, prodotto dalla Filmosa, diretto da Filippo W. Ratti e interpretato da Flora Lilla, Piero Palermini e Manuel Roero; François il contrabbandiere, prodotto dalla Marte Film, diretto da Gianfranco Parolini e interpretato da Doris Duranti, Vira Silenti, Roberto Mauri, Luigi Tosi e Peter Trent; Cuore forestiero, prodotto dalla De Paolis Film diretto da Armando Fizzarotti e interpretato da Maria Piazzai, Piero Lulli e Aldo Nicodemi. Quest' ultimo film è da ascriversi al compatto e caratteristico sotto - gruppo delle produzioni ambientate a Napoli ed ispirate per lo più a motivi celebri del canzoniere partenopeo. Ricordiamo, fra gli altri, Vedi Napoli e poi muori; Rosalba, fanciulla di Pompei; Solo per te, Lucia; Munasterio 'e Santa Chiara; Monaca Santa; Luna rossa; Pentimento e il recente Città canora con Maria Fiore, film che, a tutt'oggi, ha incassato oltre trecento milioni. I film della serie "napoletana" vengono distribuiti, di regola, solo nell'Italia centromeridionale ed esclusivamente nelle sale di periferia e nei centri minori della provincia. Tuttavia, tenuto conto del basso costo di produzione (25-30 milioni), il rendimento di questi film è, nella media, soddisfacente; anzi, talvolta, straordinario: si pensi ai 300 milioni di Vedi Napoli e poi muori (programmato nel 1952) contro i 250 di Ladri di biciclette, apparso negli ultimi mesi del '48! Questa, la realtà delle cifre pubblicate dalla Società degli Autori e riferite da "Cinespettacolo".


(continua)
CARLO SANNITA
CINEMA quindicinale di divulgazione cinematografica Volume XII Terza serie  Anno VII 1954 10 Novembre

mercoledì 29 gennaio 2020

Un leone a Culver City - Buster "Saltarello" Keaton


Buster Keaton l'uomo che non ride mai

Grande fortuna ebbe in quegli anni la ·produzione comica: siamo nell'epoca d'oro della comedy", la quale anzi, proprio in quel periodo cessa gradualmente di essere un semplice complemento di programma (con le "comiche" in due bobine) per divenire l'attrazione principale dello spettacolo. Accanto a Chaplin, Harold Lloyd e Harry Langdon, tutti passati definitivamente al lungometraggi si colloca ora la figura di un nuovo comico, proveniente dal teatro di rivista: Buster Keaton, scoperto da Joseph M. Schenck (fratelli di Nicholas), il quale, dopo averlo fatto debuttare in The Butcher Boy (1917), lo aveva lanciato in una lunga serie di "two reels". I film di Keaton, che con la sua impassibile maschera aveva immediatamente conquistato il pubblico, vennero da un certo momento prodotti e in qualche caso diretti da lui stesso, sotto l'egida naturalmente di Joseph M. Schenck e della M.G.M. che li distribuiva. Uno dei suoi primi film di metraggio normale (sei bobine) fu Seven Chances (Sette probabilità, 1925), che Keaton stesso aveva tratto da una commedia di Roy Cooper Megrue, presentata sulle scene da David Belasco . La carriera dell'attore (che in Italia venne soprannominato "Saltarello") si arrestava praticamente pochi anni dopo l'avvento del sonoro: e i film parlati cui prese parte - sempre alla M.G.M. - non riuscirono a raggiungere il mordente della sua migliore produzione muta. Dopo aver lavorato anche in Francia e al Messico, e dopo aver diretto o prodotto film di cortometraggio per la Metro ed altre case, da vari anni egli si limita ad apparire - col suo volto stanco, ma sempre impassibile - in qualche film, da Hollywood Cavalcade a Sunset Boulevard, e più recentemente ha persino preso parte ad un film in Italia. (Continua)
Fausto Montesanti
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10 NOVEMBRE 
In apertuta Buster Keaton in Seven Chances (Le sette probabilità) del 1925, di James Shannon

lunedì 27 gennaio 2020

Né sere né giorni di festa saranno per me liberi e beatamente vuoti.


Dopo circa cento, centocinquanta settimane in cui regolarmente ho scritto ogni settimana un «pezzo» su un libro, prendo congedo dal mio lettore, per un periodo di sosta. Per alcuni mesi sarò occupato a fare un film. È vero che mentre ero occupato a girare, a montare e a doppiare Il fiore delle mille e una notte, ho continuato puntualmente a scrivere le mie recensioni. Ma ciò si spiega prima di tutto col fatto che avevo da poco tempo iniziato questo lavoro, e c’era dunque in me uno slancio che non poteva brutalmente essere interrotto. Inoltre il film che stavo facendo, anche se terribilmente faticoso e avventuroso, era molto gradevole, e mi lasciava dunque, la sera, quasi sempre, in un’ottima disposizione di spirito. Infine ero lontano dall’Italia, in luoghi dove, appunto, la sera, o nei giorni di festa, leggere e scrivere era l'unica possibile occupazione. Ora invece mi accingo a girare quando è già il terzo anno del mio lavoro di critico militante: e mi accingo a girare un film estremamente sgradevole (De Sade e la Repubblica Sociale mescolati insieme) che certamente la sera mi lascerà sfinito e magari nauseato di lavoro; e lo girerò, oltre tutto, nel cuore dell’Italia, tra Salò e Marzabotto: né sere né giorni di festa saranno per me liberi e beatamente vuoti.
Pier Paolo Pasolini, Settimanale «Tempo» 24 gennaio 1975

domenica 26 gennaio 2020

Emilio "el Indio" Fernandez - Leitmotiv



Questa disorganizzazione narrativa, questa gratuità dell'analisi filmica si ripercuotono su tutta l’impostazione del linguaggio di Fernandez, determinando incertezze stilistiche ed ingenuità sintattiche. Il montaggio di Fernandez è generalmente sconclusionato manca di una base cronologica. Si veda per esempio in Enamorada, la sequenza, potenzialmente stupenda, del coro dei fanciulli nella chiesa. Fernandez escogita lente carrellate sulle volte floreali della chiesa, con accompagnamento del coro: sarebbe bellissimo se alcuni inserti di attacco, non distruggessero, con la loro gratuita brevità, il ritmo della sequenza.  In genere il montaggio di Fernandez tende alle clausole lunghe, ad un ritmo lento, eccessivamente analitico, in linea col ritmo sfilacciato dell'impostazione, narrativa. Donde quel senso di lentezza sciropposa, di freddezza che è caratteristico di tanti film di Fernandez e che è stato unanimemente segnalato dalla critica. In questo ritmo lento si inseriscono poi, oltre a rigonfi dialogici, anche certe preziosità figurative, certe ricerche fotografiche talvolta fini a se stesse f che raggelano ulteriormente il tono del racconto. Questo calligrafismo fotografico (la cui responsabilità è indubbiamente condivisa per buona parte da Figueroa) è forse una delle caratteristiche più appariscenti del cinema di Fernandez e su di esso la critica si particolarmente accanita, traendone tuttavia deduzioni talvolta inesatte. Si è creduto infatti da parte di alcuni che la povertà ritmica di Fernandez e la sua debolezza narrativa derivino appunto da ricerche figurative, mentre secondo noi queste ricerche non rappresentano che il momento culminante e conseguente di una particolare ispirazione, di un particolare abito narrativo, effetto e non causa.
La fotografia di Figueroa è infatti, nel suo complesso e coi suoi limiti, sostanzialmente coerente all'assunto lirico e al temperamento elegiaco di Fernandez. E' una fotografia dolce, languida a volte, che usa volentieri del filtro, ricca di toni sfumati e sfrangiati, una fotografia edonistica che si adegua naturalmente ad un ritmo rilassato di racconto e di montaggio. A nostro avviso Figueroa è però un fenomeno più modesto di quanto generalmente si crede. La sua fotografia deriva da quello standard fotografico che gli americani e francesi hanno derivato, in moneta speciale, dall`espressionismo tedesco e che tende ad effetti chiaroscurali in funzione psicologica. Su questo standard Figueroa innesta poi, conformemente al suo temperamento romantico, ricerche cromatiche, ricorrendo specialmente ad effetti di filtro e di flou; ma sostanzialmente la sua fotografia non differisce molto, come impostazione, da quella d'un Gregg Toland o, se vogliamo, d'uno Schüítan. E ne è la prova The Fugitive in cui il plasticismo di John Ford assimila con tutta naturalezza la fotografia di Figueroa, proprio perché questa fotografia costituisce la naturale conclusione di certe ricerche che Ford aveva condotto con operatori americani. Fra Long Voyage Home, fotografia di Gregg Toland, e The Fugitive, fotografia di Figueroa, non c'è che una differenza di grado, non di direzione.
L'esperienza di Figueroa - che è caratterizzata da un'assoluta mancanza di autosuperamento - si svolge quindi nell'ambito di una maniera, sia pure vivificata da un'eccezionale bravura tecnica, ed è ben lontana dall'originalità inventiva, per citare a caso, d'un Maté o d'un Aldo o, con riferimento proprio al Messico, d'un Tissé. D'altronde è proprio la sua bravura tecnica, non sempre superata in poesia, che finisce talvolta per pesare come un artificio ('l'abuso del filtro, per esempio, o del panfocus).
Anche per Figueroa, del resto, può valere quanto si è detto per Fernandez e cioè che il suo temperamento lirico gli concede scarse attitudini di racconto; cosicché certi artifici e certe forzature (per esempio certi sterili effetti di panfocus) derivano non tanto da acribia fotografica, quanto dallo sforzo di adeguarsi ad esigenze narrative che gli rimangono estranee. La fotografia di Figueroa ci sembra insomma perfettamente coerente alla regia di Fernandez e tale da smentire certe insinuazioni della critica circa un preteso influsso negativo, in senso calligrafico, di Figueroa su Fernandez. Al contrario, ci sembra che le loro personalità siano perfettamente affini: ciò spiega il loro affiatamento divenuto ormai proverbiale.
Del resto tutta l’opera di Fernandez appare, dentro i suoi limiti e le sue incoerenze pregiudiziali, improntata ad una sostanziale coerenza di tutti i suoi elementi.
Anche la recitazione è in linea. E' una recitazione, improntata ad un naturalismo lirico, che raggiunge il suo acme in certi atteggiamenti elementari, in espressioni distese di stati d'animo e che scade invece nella retorica più vieta quando tenta schemi convulsi di azione e di psicologia.
Recitazione estremamente discontinua, che passa dalla pura bellezza dei primi piani di Maria Felix in Enamorada alle insopportabili contorsioni di Dolores del Rio in Las abandonadas. A Fernandez va tuttavia riconosciuto il merito di aver saputo plasmare nell'ambiente provinciale messicano, privo di una tradizione e di un insegnamento recitativi, un nucleo di ottimi attori: Pedro Armendariz, Maria Felix, Columba Dominguez, Maria Elena Marquez. Alcuni di essi si impongono oggi anche all'estero: Pedro Arrnendariz lavora a Hollywood e Columba Dominguez a Cinecittà.
Questi, a grandi linee, i motivi tipici del cinema di Emilio Fernandez: esso ci appare come una singolare avventura sbocciata all'intersezione di civiltà contrastanti e nutrita di esigenze diverse. C’è nella
sua opera una ricerca di cultura e di tecnica tesa ad un esito di istinto e viceversa un fondo primitivo che cerca di chiarirsi e di esprimersi in termini di cultura e di eccellenza tecnica. Da quest’antinomia  costitutiva della sua personalità deriva la contaminazione che Fernandez compie fra i dati genuini della sua ispirazione lirica e la metodica corrente del racconto cinematografico.
Esperienza contrastata quindi, quella di Fernandez, che sotto una apparente facilità di canto cela uno sforzo doloroso di chiarificazione e di maturazione. Esperienza sincera, sofferta.
E' a questa sincerità soprattutto che si affidano gli elementi di una conclusione critica su Fernandez. La sua opera nasce dall'esigenza d'un clima assoluto, umano e geografico, e ci porge la suggestione d'un paesaggio mitico, l’immagine d'una evasione di cui, già prima di Fernandez, S. ,M. Eisenstein e André Breton avevano sentito il richiamo. A questo richiamo ha risposto recentemente sia pure con scarsa sincerità John Ford in The Fugitive. Si accinge ora a rispondervi anche Luis Bunuel.
Nel quadro odierno della produzione cinematografica mondiale ciò che Fernandez ci ha dato finora rimane un'affermazione latente di poesia che, per esplicarsi in pieno, attende, da una parte, una più matura coscienza del proprio temperamento e, dall'altra, una condizione produttiva più propizia ad un libero esercizio d'ispirazione.
Franco Venturini in BIANCO E NERO ANNO XII – N. 4 -  APRILE 1951

Nota Bibliografica
Per una bibliografia su Fernandez rimane ancora valida quella indicata per il cinema messicano da Mario Verdone in appendice al suo studio «Aspetti del cinema messicano» in «Bianco e Nero» aprile 1949. Ad essa è solo da aggiungere, ch'io sappia, la recensione di Massimo Mida su La Perla («Bianco e Nero ››, giugno 1949) e la già citata recensione di Glauco Viazzi su Enamorada, («Bianco e Nero , settembre 1949) i cui argomenti sono ripetuti anche in un altro scritto di Viazzi: «Il cinema nell'arte e nella vita messicana»  in «Ferrania» n. 7, 1949.
Tutti questi testi sono del genere da leggersi in treno. L'unico di essi che dia, sia pure sommariamente, un apporto concreto di critica è, al solito, quello di G. C. Castello («Infanzia precoce del cinema messicano» in «Cinema» n. s. n. 2, 10 novembre 1948). Dal punto di vista informativo ë interessante lo scritto di André Camp: « Apergus sur le cinéma mexicain ›› in «La Revue du cinéma» n. 15, luglio 1948. Chi volesse poi documentarsi sul clima culturale messicano in cui si è formato il cinema di Fernandez può consultare utilmente, prendendo però le dovute precauzioni, le corrispondenze dal Messico di André Bréton in «Minotaure», Parigi, annata 1939.

In apertura screenshot da The Fugitive, 1947 di John Ford

giovedì 23 gennaio 2020

cinemApollo MESSANA MCMLIII




                            

   

mercoledì 22 gennaio 2020

We love you Sophia Loren

Oh baby love
I'm in love with sophia loren
I'm in love with bridget bardot
I'm in love with the whole dumb scene
The Psychedelic Furs


Si fanno sempre più insistenti lo voci dl una svolta sentimentale nella vita di Sophia Loren. Un idillio infatti pare sia in atto fra l’attrice e il produttore Carlo Ponti.  Idillio che dovrebbe condurre i due alle nozze non appena il produttore abbia (secondo i “si dice”) ottenuto in Svizzera il divorzio dall’attuale moglie. Intanto la Loren si prepara a ripartire per l'America.
GAZZETTA DEL SUD, Venerdì 26 luglio 1957