giovedì 10 ottobre 2019

The Evolution of the Western Movie from 1899 to 1954 pt. 2



Nei primi trent'anni si poteva contare, per questa categoria minore, su una media annua di 156 western in serie: 8 o più per ogni casa di produzione (ad eccezione della Metro Goldwyn Mayer che terminò la serie di Tim McCoy poco prima dell'avvento del sonoro. In questo periodo, verso il 1930, si ritirarono da questa speciale produzione anche i fratelli Warner - che avevano ottenuta una certa notorietà con le serie di John Wayne e, più tardi, di Dick Foran - ma tale assenza fu appena avvertita nel complesso dei western B, che erano ancora un affare: venivano a costare dai dieci ai ventimila dollari e si portavano a termine in meno di una settimana. I western musicali di Gene Autry per la Republic fecero la fortuna di questa casa di produzione.
Nel 1940, i western si potevano dividere in due categorie ben distinte: da una parte quelli grandiosi, che si elevavano ad espressione epica e non avevano un ritmo regolare di produzione: i colossi come Stagecoach e Dodge City; dall'altra, puntualmente, i modesti filmetti a buon mercato di cinque bobine, che avevano come protagonisti Buck Jones, Tim McCoy, Johnny Mack Brown, Tom Tyler, George O'Brien, Tom Keene, Charles Starrett, Tim Holt, Gene Autry, Roy Rogers, Bill Elliot, Tex Ritter, Buster Crabbe. William Boyd, John Wayne, Ken Maynard, Bob Steele, Bob Baker, Ray Corrigan, Robert Livingston ed altri ancora - forse il più grande schieramento, che si sia mai verificato nella storia del cinema, di attori veramente importanti che abbiano lavorato tutti nello stesso tempo. Molti di questi ottimi attori, superstiti delle avventure selvagge del cinema muto, erano però ormai prossimi al ritiro dallo schermo e vennero sostituiti da nuovi interpreti come John Kimbrough, Eddie Dean, Lash LaRue e Whip Wilson che tentarono di inserirsi nella tradizione classica dei loro predecessori e lasciarono di sé un ricordo senza infamia, ma anche senza lode.
Dieci anni dopo, nel 1950, il principio della fine s'avvertiva già nell'aria. Ormai la produzione dei western di categoria B non dava più quel margine di sicurezza come nel passato. Molte serie erano state perciò eliminate e quelle che ancora resistevano sul mercato diminuivano la loro percentuale annua da otto a sei per casa cinematografica. Quasi tutti i mancati guadagni, riscontrati in questi ultimi anni nell'industria del cinema sono stati attribuiti alla maligna influenza della televisione e dell'eccessivo costo di produzione. Di solito, panico e isterismo hanno esagerato tali supposizioni, ma nel caso dei western di seconda categoria non si può dire, in coscienza, che tali accuse fossero ingiustificate, specialmente per quanto riguarda il fattore economico. L'aumento del costo di produzione, riferito ai western B è una realtà: la media di 15.000 dollari per film durante i primi trent'anni, è salita di recente a 50.000 dollari. E per restare in questa cifra si rende necessaria una rigorosa economia: il film dev'essere realizzato in uno spazio di tempo ancor più limitato e bisogna rinunciare alle dislocazioni – per gli esterni - troppo dispendiose, alle costosissime controfigure per le acrobazie pericolose, alle scene di masse. Tutt'al più, quando non se ne può fare a meno, s'inserisce per taluni di maggior risalto qualche pezzo d'un vecchio film. Come risultato di tutte queste economie si ottiene un westen che ha un aspetto familiare di cose viste e manca di quella corposità, vivacità o irruenza, di quell'impressione di ampio respiro che avevano invece i western, se pure a buon mercato, di dieci o quindici anni or sono. La R.K.0., con le sue serie di Tim Holt, è stata l'unica che per un certo periodo di tempo abbia insistito, nonostante l'aumento del costo, su una produzione che conservasse i valori, o almeno la solidità commerciale d'una volta. Ma, malgrado le relative forti spese, alla resa dei conti, gli incassi non superavano affatto quelli dei film dello stesso genere, prodotti da altre società cinematografiche. Un “sessanta minuti " di Tim Holt costava 90 mila dollari e rendeva come i western della Monogram o della Republic, che costavano la metà, e che pur erano considerati già un rischio. I western della R.K.O. furono i primi allarmanti segni della crisi. (continua)
WILLIAM K. EVERSON
CINEMA quindicinale di divulgazione cinematografica Volume XII Terza serie  Anno VII 1954 10-25 Dicembre

In alto: a sinistra Dustin Farmum e Dick Lareno nella prima edizione di The Squaw Man (1913) di Cecil B. De Mille; a destra Elliot Dexter e Noash Berry nell.a seconda edizione del medesimo film (1918).

mercoledì 9 ottobre 2019

Form traces


Form traces the outline of the soul.
Le tracce della forma sono il contorno dell'anima.
Takashi KoizumiAmida-do dayori (Letter from the Mountain), 2002

lunedì 7 ottobre 2019

Andrej Tarkovskij in Sicily - & Dostoevsky's The Idiot


25 July, 1980 Taormina
This morning I talked to Anna Semyonovna. Lara will be there today. Tyapus must be staying on in the country.
I've been thinking about The Idiot, and it seems to me that it would be possible to disrupt the sequence of the plot, and the episodes, because structure is not at all the same in literature as it is in film.
This evening there was a rehearsal for the prize-giving ritual.
Bought three Indian dresses. I've bought almost everything. Only one or two oddments left to do tomorrow.
Donatella was very helpful.
We're dog-tired.
Andrej TarkovskijThe Diaries1970-1986

domenica 6 ottobre 2019

NUNZIO MALASOMMA

I REGISTI (senza peli sulla lingua)

                                                NUNZIO MALASOMMA
DI EUGENIO GIOVANNETTI

Nunzio Malasomma
1894 - 1974

Non sarebbe male cominciare con una piccola predica brillante sulla mediocrità, fiera crudele e diversa. Chi non fu mai mediocre nell'arte sua, scagli la prima pietra.
Oh sì, io scaglio la pietra, e sono mediocre tuttavia. Beate le arti dal climi estremi, che non conobbero mai la poltrida bestia dalla mille iridi: la pittura spagnola, per esempio, in cui non fu mai lecito esser nel mezzo e si fu sommi o si fu infimi. La nostra pittura? Troppi ingegni contenti di sé, equilibrati, espansi (un latinismo odioso quanto impeccabile, che traduce perfettamente il francese rêpandus).
Un pittore come Andrea del Sarto, un decoroso, un felice mediocre, non è immaginabile nel paese in cui lo spirito è alla bassura di Sancio o al delirio di Don Chisciotte. O sono El Greco o sono l’imbianchino: non vogliono bestia che sia tra l’asino di Sancio e l’alato Ronzinante.
 A galoppo per un'ora sulla mia chimera, dannato e povero. Il resto, che conta? In quasi tutte le arti la mediocrità è protetta? E che m’importa, se per un’ora almeno avrò respirato nella mia apocalisse? Beati, in arte, i fanciulli che precipitano al primo passo! Voleranno, un giorno, più alti del cherubino.
Non c'è che un’arte oggi, al mondo, in cui la saggia mediocrità sia di prammatica, sia proclamata e conclamata come una forza: l'arte del regista. Assicurarsi, a forza di saggie concessioni, il consenso di quell'oscura potenza multanime ch'è la folla, può parere ed essere una sana prudenza. Nel cinema, ritrovare l’aspirazione segreta degli innumerevoli e blandirla, per bassa e turpe che sia, è pur sempre al segreto d`un successo perfettamente legittimo in quanto l'industria cinematografica non se ne  proponga altri. Il cinema non sì fa pei soliti dodici o ventiquattro avanguardisti. E', al contrario, il più largo presente dei presentisti: e voi, artisti mancati e insoddisfatti, che non tollerare la mediocrità, rompetevi il collo altrove con la vostra chimera.
Il cinema è Sancio che si camuffa, se vuole, anche in cherubino.
Un troppo lungo preambolo, forse, per affrontar la mediocrità decorosa di Nunzio Malasomma, ma in non ho mai saputo in realtà da che parte prendere questo regista dignitosamente impersonale, che fa, ogni tanto, una comparsa soddisfacente e poi scompare senza mai lasciar detto né dove vada né quel che intenda di fare.
Dev`essere in lui qualche disdegno o qualche riserbo, perché, ed è sempre stato, il regista italiano che fa meno parlare di sé, avendo pur l`aria d’essere ben contento di sé. Poco si sa di lui, delle sue abitudini, dei suo passato. Sappiamo che ha viaggiato e che lavorava in Germania al tempo della dispersione, coi Righelli, coi Bonnard.
Ebbe, certo, in Germania la cinematografica ventura d’imbattersi in Luis Trenker, allora nel suo primo romantico fiore. Oggi Luis Trenker è un po' il Gigione delle vette. Allora, Nunzio Malasomma e Mario Bonnard potevano ancora combinargli un truculento e romanticissimo film: I cavalieri della morte.
Nel 1931 il Malasomma è con gli altri in Italia: ed eccolo alla Cínes con l'Uomo dell’artiglio e La cantante dell’opera. Il suo passaggio alla Cines non lasciò veramente segno alcuno: la mediocrità del Malasomma in cose come La telefonista era un po’ troppo grigia. Francesco Pasinetti ricorda nella cantante dell’opera un'interessante ricerca d`effetti contrappuntistici tra immagini e suoni. lo ho il ricordo ben vivo di quelle ricerche non tanto nella Cantante dell’opera quanto nella Vecchia signora d'Amleto Palermi.
Il merito di quelle ricerche va, del resto riconosciuto oggi al musicista Umberto Mancini assai più che ai registi. La trovata era quasi sempre essenzialmente musicale e seguiva e animava l'immagine. Il musicista Mancini aveva allora una fresca vena umoristica, che s'è perduta. Nella Vecchia signora la galoppata del vecchio sfiancato cavallo di botticella sui selciati di Roma era un capolavoro d'umorismo musicale, che vivificava d'un tratto, attraverso la suggestione ritmica soprattutto, una sequenza che sarebbe stata in sé grottesca e triste.
Un musicista che avesse oggi quella vena potrebbe rendere ancora servizi preziosi alla nostra commedia filmica. Ma la nostra mu sica filmistica è oggi così boriosa nella sua funzione di tappezzeria! Vuol mettere sempre arazzi dove basterebbe un caprifoglio rampicante sotto una dannata fuga di rondini.
Nelle successive comparse abbiamo sempre visto un Malasomma dal mestiere esperto, ben curato, soddisfatto, anche in cose di colore leggero come Nina, non far la stupida. La commedia è visibilmente il suo forte: e tutto in questo genere gli va. 
Eravamo sette sorelle: qualcuno gli ha manipolato per un film, per un titolo almeno, anche questa divina fiabetta che profuma tutta l’opera dannunziana, come un invisibile sacchetto di lavanda profuma tutto un guardaroba. Ci dovrebbe essere una censura dei titoli cinematografici, che punisse siffatte profanazioni. Eravamo sette sorelle: questo piccolo sacchetto di spigo, la sola cosa forse che, tra mill'anni, i poeti trarranno ancora odorante di sotto ai muffiti damaschi del guardaroba dannunziano, ecco che il cinema pretendeva calpestarla sotto i suoi zoccoli grigi. Il lettore si rassicuri. Nunzio Malasomma non è riuscito a seppellir la fiabetta sotto i passi spietati del suo film.
Ho visto or sono alcune settimane, Nunzio Malasomma nella sua novissima comparsa: Scampolo. Abile, accurato, ingegnoso, dignitoso più che mai. Vecchio teatro per la giovanissima Lilia Silvi. Ha saputo farla rendere, come nessuno saprà più. Non poteva dare più che tanto la piccola, ma quel tanto Io ha dato, e a meraviglia. Quando compare, Nunzio è sicuro di non fare uno sproposito. Se no, non comparirebbe.
Che cosa farà domani? Una cosa altrettanto ingegnosa e sicura. Non vi preoccupate. Quando l’eccellenza Cipriano Efisio Oppo abitava a villa Strohlfern, assentandosi soleva lasciare un laconico bigliettino sulla porta, in cui si leggeva: «sono uscito›› o «ritorno›› « non ci sono sino a lunedì ››. Nunzio Malasomma non lascia mai detto nulla sulla sua ermetica porta: ma potete star sicuri che quando meno ve l’aspettate, tornerà soddisfatto e se ne riandrà soddisfattissimo.  
Tutto sommato, o, meglio, tutto malasommato, io amo questa regista perché è, tra i nostri, quello che lascia far meno chiacchiere sul suo conto, quella insomma che importuna meno la gente con interviste e ciance e s'accontenta di fare meglio che può. Una media dignitosa? Vada. La sola insopportabile è la media boriosa, che, quando non vi seppellisce sotto le chiacchiere, tace per insoddisfatta superbia. 
Per avere scritto due parole gentili su d’un La Rochefoucauld, l`interessato s’affretterà a ringraziarvi con una lettera: ma raramente riceverete due righe di ringraziamento da un regista mediocre  da elogiato  in pubblico con la più ingegnosa cordialità. Un autista sarebbe, in casi simili, molto più gentile d’un insoddisfatto e  borioso manipolatore di film.
Ma la vera, la peggior mediocrità è forse proprio quella, che s`aspetta ringraziamenti o gratitudine. Bisogna far sempre le cose per quel tanto di buono ch'esse hanno in sé, e non pensar mai a quel che l’interessato ne dirà. Fummo mediocri perché volemmo troppo piacere: bisogna dir sempre quella che ci pare onestamente la verità; e regalarci anche, ogni tantino, quello che Baudelaire chiamava: «il piacere aristocratico di dispiacere››. 
Eugenio Giovannetti

Opere di Nunzio Malasomma: L’ uomo dell’artiglio, La cantante dell’opera (1931) - La telefonista,Sette giorni cento lire, La signorina dell’autobus(1932) – La cieca di Sorrento (1933) – Cleo robes et manteaux, Lohengrin, Non ti conosco più (1934) – Nina non far la stupida (1936) – Eravamo sette sorelle (1938)- Cose dell’altro mondo (1939) - Dopo divorzieremo (1940) - Scampolo (1941) – Giungla (in lavorazione).


film  SETTIMANALE DI CINEMATOGRAFO TEATRO E RADIO ANNO V – N. 1 – 3 GENNAIO 1942 XX
La testata si riferisce al film L’ultimo addio (Diagnosi) diretto da Ferruccio Cerio e interpretato da Gino Cervi,Luisa Ferida, Sandro Ruffini, Annibale Betrone (Produzione Inac - Sirena)

mercoledì 2 ottobre 2019

Max Ophüls, il "Barbiere" & Shakespeare




Parlando con Max Ophuels

Vedere Ophuels a 1700 metri, col Monte Rosa da una parte e la più bella prateria dall'altra, se mi ha fatto gradita meraviglia, mi à riportato subito nell'inferno delle inquietudini e dei dispiaceri, che il cinema ci procura! Ci eravamo salutati a Milano, in una fumosa sala da bar, alzando il bicchiere per augurio di non so quale opera sua. Max Ophuels è venuto infatti quassù per lavorare. Tutto il giorno se ne sta rinchiuso o col regista Kurt Alexander o col musicista Maestro Tullio Serafin e la sua segretaria in una specie di sotterraneo,
destinato a diventare la sala da ballo di questa specie di falso Grand Hotel …
In attesa delle note di un fox, i villeggianti, che spiano nel sotterraneo, sentono le note del «Barbiere», intorno a cui Ophuels sta immaginando le sue favole strabilianti.
Appena finita la colazione è il solo momento che l'itinerario della sua passeggiata sfiora il recinto della mia baita e ci possiamo scambiare saluti e propositi. Col naso in aria a prendere il sole e sdraiati sull'erba, è la 801a posizione rassicurante per discorrere dell'avvenire della cinematografia.
Tutte le altre posizioni sono troppo preoccupate e polemiche. Ophuels è pieno di fede nel cinema italiano. Ha trovato in Italia un clima cinematografico. «Ho visitato mi dice, la Mostra della Rivoluzione. Permettete a un regista di guardare le cose da un punto di vista particolare. Mi è parso che tutto fosse espresso con tale immediatezza, rapidità, precisione, da rivelare un linguaggio cinematografico già maturo. La stessa osservazione ho fatto anche nelle più piccole cose. Mi sono· guardato intorno per le vie della città. Ho trovato nei manifesti, nei cartelli pubblicitari un modo di espressione diretta, vivace, sollecita, molto più suggestiva che non siano i manifesti, tipo profumi Coty o cioccolatto Meunier, di altri paesi. La gran massa del pubblico è già disposta a capire un linguaggio cinematografico. Soltanto che la vostra cinematografia è ancora inferiore al vostro pubblico».
Speriamo che così sia. Gli domando degli attori, delle maestranze. Mi dice che non ha mai avuto interpreti così eccellenti. «L'attore italiano è intelligentissimo, pieno di volontà e di passione: ho potuto fare in Italia alcune esperienze che non ero riuscito ancora a fare altrove».
Poiché Ophuels sta lavorando intorno al «Barbiere di Siviglia» è naturale che si parli dei rapporti fra l'opera lirica e il cinematografo. Qui siamo, a tutta prima, di parere opposto. Ophuls è entusiasta dell'idea di dare espressione cinematografica alle nostre opere. Per lui è questo uno dei contributi più preziosi che l'Italia può dare al cinema e per la diffusione del cinema italiano in Europa e soprattutto in America.
Tormentato ancora dalle immagini dei nostri illustri tenori sullo schermo, faccio distrattamente le mie riserve. Ophuels scuote la testa e mi agita le braccia sul naso, col tono perentorio che supplisce alla poca conoscenza della nostra lingua. "Leggete lo scenario del "Barbiere" e poi mi direte il vostro parere».
Devo ritirare le mie riserve per quanto concerne almeno, questo caso specifico. Ogni scena è inquadrata in un tono di balletto, di féerie, che permette al buon gusto del regista di liberare i cantanti e gli sfondi da tutto ciò che gli uni e gli altri avevano di più immobile, mummificato, immutabile. E' stata anzi questa la sua trovata. Tutto si trasforma: si agita: vive. Un venticello acuto e assillante soffia nel fuoco, e dal principio alla fine le soluzioni inedite si inseguono, le cose più assurde per il teatro divengono legittime e naturali; gli uomini diventano burattini, maghi, spiriti. Siviglia stessa esce dal suo cliché e rivela le sue strade, i suoi alberi, i suoi tetti, da nuovi punti di vista.
Non manca un finale allarmante di humour e di parodia; alcuni policemen in motocicletta che fermano i signori protagonisti per chiedere loro le carte in regola.
Ho avuto da questo scenario la migliore smentita a un mio parere troppo precipitoso. I lettori, a cui posso offrire qualche pagina rigorosamente inedita, direi, appena sfornata dal famoso sotterraneo dei lavori, potranno giudicarne.
Frattanto si avvicina la presentazione pubblica di La donna di tutti. Un bel giorno Ophuels è partito improvvisamente per assistere allo spettacolo del Festival. E' tornato due giorni dopo. Buon successo di pubblico e di critica. Ma mi pare che egli attenda il giudizio di un pubblico più libero, meno snobistico, più inclinato a giudicare il film senza la complicità di tutto quello che di mirabolante il Festival può offrire.
Prima di lasciarci, abbiamo dedicato un ultimo saluto al Cinema. A uno svolto di viottola ho chiesto, senza preamboli, a Ophuels, come se gli tirassi una revolverata: «ma infine, ci credete, che un film sia un'opera d'arte?"
«Vi dico in un orecchio, mi ha risposto, ma non ripetetelo a nessuno, che per me, se oggi Shakespeare risuscitasse, scriverebbe i suoi drammi «in cinematografo».
ENZO FERRIERI
CINE-CONVEGNO Anno II .- N. 3-4-5  25 Luglio 1934 (XII)

Nota: Ophuels, così nel testo originale.

martedì 1 ottobre 2019

Detective Thriller - The true Philip Marlowe



La versione cinematografica del personaggio di Philip Marlowe è quella che ci ha dato Humphrey Bogart in The Big Sleep (1946, Il grande sonno] di Howard Hawks (sceneggiato, tra gli altri, da William Faulkner). ln questo film Philip Marlowe viene convocato alla lussuosa residenza
del Generale Sternwood [Charles Waldren), un ricchissimo cliente che gli assegna l'incarico di trattare con un creditore, a causa di debiti di gioco, di sua figlia Carmen [Martha Vickers). Il mandato affidatogli conduce Marlowe in un mondo popolato di personaggi dalle motivazioni e
dalle identità personali mai perfettamente chiare, nel corso della generale, implacabile e implacata lotta per la vita, nella quale la figura del « detective ›› apporta il desiderio onesto e virile di scrutare a fondo ogni verità, anche la più ripugnante ed incresciosa. Dov’è Sean Regan, qual è la natura della relazione tra l'altra figlia del Generale Sternwood, Vivian [Lauren Bacall] e Eddie Mans [John Fidgelyl, qual è la natura della relazione tra qiuest'ultimo e il ricattatore Geiger (Theodore von Eltz], chi è Harry Jones [Elisha Cook jr.), il piccoletto che pedina Marlowe in continuazione? La sfuggevolezza e la fluidità delle relazioni tra i vari personaggi viene riassunta dall'ambivalente e complessa personalità di Vivian Sternwood, ora disposta ad aiutare il protagonista, ora pronta
a tradirlo. L'identità dello stesso Philip Marlowe si rinfrange nelle successive maschere che è costretto ad indossare: collezionista di libri rari, funzionario di polizia, ignaro automobilista di passaggio, sempre con secondi fini, per carpire informazioni o accedere a luoghi altrimenti interdetti. Nel complesso sviluppo di torbide relazioni intrattenute dai modi irreducibilmente insanabili dell'essere e dell'apparire anche gli oggetti conoscono curiosi le inquietanti «détournements »: una statuetta di Buddha dissimula una macchina fotografica, il diario di Geiger cela l'anfibologia di un codice segreto, un « drink ›› offerto come innocente Whisky contiene il mortale cianuro. Marlowe e Vivian sembrano discutere di corse di cavalli e invece discutono le tattiche dell'atto sessuale. La scena tra Marlowe e la ragazza della libreria [Dorothy Malone) è la rivelazione di una prorompente « joie de vivre » e di un'incontenibile carica sessuale subito ellitticamente abbandonata, segno dello spirito sottilismo dell'autore che riesce la cogliere la verità di un gesto, di uno sguardo, e prima ancora di un desiderio peccaminoso anche nei personaggi meno sospettabili, risvegliando il gusto per l'osceno dello spettatore senza tuttavia mai preoccuparsi di precisare, portare a termine, lasciandoci dunque anche nelle parentesi di divertimento il senso di una crescente inquietudine. Le reazioni dissimulate dei personaggi danno luogo talvolta a improvvise esplosioni di violenza, come nel caos dell'uccisione di Geiger, Brody (Louis Jean Heydt] e Mars, e in quello delle percosse che riceve Marlowe, dapprima da anonimi assalitori in agguato per strada, in seguito da Canino [Bob Steele). Come succede spesso nel « film noir ›› la violenza è associata a reperti e campioni della civiltà urbana le industriale: l'automobile del Generale Sternwood viene ripescata dall'oceano con a bordo il cadavere dell'autista, Sean Regan. Nella scena di apertura del film il Generale Sternwood, che vive nel chiuso di una serra surriscaldata come un ragno imbottigliato, parla delle sue orchidee odorose di corruzione e del sangue corrotto di sua figlia, il dialogo con i suoi doppi sensi e le immagini che riesce a trasmettere, malgrado ogni codice di decenza, si infittisce di accenni a una sessualità aberrante: la ninfomania di Carmen, l'omosessualità che trapela dalla relazione Generale Sternwood/Regan e da quella Geiger/Lundgren {Tom Rafferty], lo strano atteggiamento di Vivian che prima di slegare Marlowe si china a baciargli le ferite, le fotografie pornografiche scattate da Geiger, collezionista di libri rari e di ninnoli orientali [ancora una volta l'interesse per l’arte è sintomo di depravazione morale, secondo l'antintellettualismo più volte riscontrato). La nebulosità delle motivazioni dei personaggi si riflette negli ambienti predominanti nel film: buio, bruma, scrosci di pioggia. La messa in scena concorre a creare un clima generale di claustrofobia e gli insetti umani che vi soggiacciono sembrano auto-conservarsi grazie soltanto a una specie di vita postuma.
FINE

BIBLIOGRAFIA:
Opere di cinema:
Aristarco, Guido: « Piccolo Cesare, ieri e oggi », Cinema Nuovo n. 167, gennaio-febbraio 1964.
Baxter, John: Hollywood in the Thirties.
Bianchi, Pietro: Maestri del cinema.
Durgnat, Raymond: «The Family Tree of the Film Noir », Cinema n. 67, August 1970.
Fink, Guido: « Gli uccelli ››, Cinema Nuovo n. 166, novembre-dicembre 1963.
Higham, Charles, Gheenberg Joel: Hollywood in the Forties.
Genette, Génard: «Lettera su Alfred Hitchcock ››. Cinema & Film, n. 11-12, estate-autunno 1970.
Jacobs, Lewis: L'avventurosa storia del cinema americano.
Kracauer, Sigfried: Film: ritorno alla realtà fisica.
McArthur, Colin: Underworld U.S.A., Cinema One.
McDonald Geraid, Conway Michael, Ricci Mark: The films of Charlie Chaplin.
Sato, Tadao: Il film di yakuza », quaderno informativo n. 42 della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema (Pesaro, 10-17 settembre 1972).
Stroheim, Eric von: « Dreams of Realism...» (extracts from an unpublished article), in Greed a Film by Erich von Stroheim, a cura di Joel W. Finler.
Weinberg, Herman G.: Joseph von Sternberg.
Wood, Robin: Howard Hawks. Cinema One.
Varie:
Allsop, Kenneth: L'impero dei gangster.
Butor, Michel: L'impiego del tempo.
Chandler, Raymond: La semplice arte del delitto.
Condon, Richard: Il re della mafia.
Fenichrel, Otto: Trattato di psicoanalisi.
Firedler, Leslie A.: Love and Death in the American Novel.
Fletcher, Angus: Allegoria, teoria di un modo simbolico.
Foti, Goffredo: « L’istinto della caccia ››, Quaderni Piacentini n. 33.
Frye, Norrthrop: Anatomia della critica.
Freud, Sigmund: Totem e tabù.
Greene, Graham: Il terzo uomo.
Gullk, Robert van: I delitti del labirinto cinese.
Hammett, Dashiell: L'istinto della caccia.
Horan, James D.: Uomini disperati.
Kazin, Alfred: Storia della letteratura americana.
Kobler, John: AI Capone.
Pole, Edgar Allan: Opere complete.
Praz, Mario: Storia della letteratura inglese e La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica.
Reed, John: Messico in fiamme.
Ricoeur, Paul: Dell’interpretazione - Saggio su Freud.
Szondì, Peter: Teoria del dramma moderno.
Todorov, Tzvetan: « Typologie du roman policer ›, Paragone - letteratura.
Franco Ferrini, I GENERI CLASSICI DEL CINEMA AMERICANO, BIANCO E NERO, 1974 Fascicolo ¾