mercoledì 15 marzo 2017

Silenzio, per favore, si gira

...Chiese a un poliziotto dello studio dove stessero girando e questi gli disse al teatro in fondo. Si avviò subito in quella direzione. Passò un plotone di corazzieri, omaccioni montati su cavalli giganteschi.
Tod sapeva che dovevano essere diretti dalla stessa parte e li segui. I corazzieri si lanciarono al galoppo e ben presto fu distanziato.
Il sole era molto caldo. Tod si sentiva bruciare gli occhi e la gola per via della polvere sollevata dagli zoccoli dei cavalli, la testa gli scoppiava. L‘unico lembo d'ombra che gli riuscì di trovare fu sotto un transatlantico di tela dipinta e barche di salvataggio vere appese agli argani. Se ne stette in quell'ombra esigua per qualche tempo, poi prosegui verso una grande sfinge di cartapesta, alta una quindicina di metri, che sorgeva in distanza. Per raggiungerla fu costretto ad attraversare un deserto, un deserto che andava costantemente allargandosi grazie a una flotta di camion che scaricavano sabbia bianca. Aveva fatto solo pochi passi quando un uomo col megafono gli ordinò di filare.
Costeggiò il deserto facendo un ampio giro sulla destra e capitò in una via del Far West, col marciapiedi di tavolato. Sulla veranda del “Bar dell'Ultima Occasione” c'era una sedia a dondolo. Tod sedette e accese una sigaretta.
Di là vedeva un pezzo di giungla con un bufalo legato a una capanna di frasche conica. Ogni poco l’animale mandava un lamento musicale. Improvvisamente un arabo passò alla carica su uno stallone bianco. Tod gridò, ma l’uomo non rispose. Un po’ più tardi vide un autocarro carico di neve e di cani da slitta. Gridò di nuovo. L'autista gli gridò qualcosa in risposta ma l‘uomo non si fermò.
Tod gettò la sigaretta e passò per la porta a molla del bar. L’edificio non aveva che la facciata, sicché egli venne a trovarsi in una via di Parigi. La seguì fino in fondo e giunse in una piazza romantica. Senti voci non lontane e si avviò in quella direzione. Su un prato di fibre un gruppo di uomini e donne in abiti da equitazione stavano facendo colazione. Mangiavano vivande di cartone davanti a una cascata di cellophane. Tod si diresse verso di loro per chiedere la strada, ma un uomo lo fermò con un cartello che ammoniva: “Silenzio, per favore, si gira”.

 NATHANAEL WEST, II giorno della locusta, 1939

 

giovedì 9 marzo 2017

Cinema dell'altro mondo









L'originale è qui: https://thereel.scroll.in/827964/the-last-picture-shows-the-slow-death-of-single-screen-cinemas-in-delhi

mercoledì 8 marzo 2017

Genesi di un narratore

C'è tutto un quadro di intelligencija russa, soprattutto letteraria, che coltiva da sempre questa ragioni dello spirito e della vita. E' impossibile prescindere da essa se si vuol intendere a fondo il messaggio poetico di Šukšin. Il catalogo che ora ne diamo. sommario e incompleto, v’è appena una prima indicazione di ricerca per chi voglia approfondire i nessi di questo salutare e fecondo rapporto tra una certa tradizione letteraria russa e Šukšin; e tra Šukšin scrittore e Šukšin autore cinematografico.
Il momento nodale della sua vocazione di autore lo trova al VGIK, alla scuola di Michail Romm, « autentico uomo di cultura » così lo definisce Šukšin, maestro di vita oltre che d`arte: « La sua voce sorda, paziente, a volte un po' rauca ›› è la memoria che l'allievo ha lasciato del maestro al momento della sua scomparsa [in Le film soviétique ››, 1975. n. 9. p. 31)  « di un uomo buono e stanco di ripetere agli altri le verità più elementari. Stanco, ma che non smette di ripeterle. Due di queste verità - la necessità della bontà e del sapere - erano per lui il tema principale dell'arte.  «Era molto paziente. Quando sono stato suo allievo non l'ho mai temuto, non ho mai avuto il rimorso di rubargli il suo tempo. Era molto buono con me e pensavo che ciò fosse naturale. Poi, quando ho cominciato a capire, ero stupefatto dalla sua pazienza. E mi è molto dispiaciuto, per esempio, di avergli dato da leggere le mie brutte novelle. « Ci insegnava a lavorare. A lavorare molto. Tutta la vita. Era da questo che cominciava il suo insegnamento. Ci ha raccontato quanto lavorava, e con quali difficoltà, LevTolstòj. E per cinque anni ci ha ripetuto: "Ragazzi, bisogna lavorare" E si è ficcata in me questa idea che bisogna lavorare, lavorare e ancora lavorare per arrivare forse a qualcosa. “Bisogna leggere", “bisogna riflettere": erano anche questi inviti a lavorare. “Provare ancora": sempre la stessa cosa, lavorare e lavorare. « Anche lui ha lavorato fino all'ultimo giorno. E' cosí che vivono gli
artisti, ora lo so perfettamente. Soprattutto quando ripenso a tutta la sua vita. E so con altrettanta chiarezza che il tema principale dell'arte è la necessità della bontà e del sapere ››.
Il marchio di Romm nella vita di Šukšin è netto e preciso. Dal maestro non solo apprende un metodo di lavoro, una proposta estetica e poetica [l'arte come epifania «della bontà e della sapienza), ma ottiene l'accertamento della propria identità umana. Tre anni appena dopo aver scritto queste parole Šukšin morirà. E solo la morte gli ingiungerà di « smettere di ripetere ›› alla gente le sue « verità elementari ›› con un potere di convinzione che la malattia ha reso più caparbio e persuasivo. La sua ostinazione, alla fine - per quanto è vero che ogni autore è postumo di se stesso - la spunta perfino, almeno in parte, sui burocrati che non han saputo capire il valore e la portata della sua testimonianza di anticonformismo.
Da Romm dunque, al quale ha dato in visione i suoi racconti, Šukšin riceve consigli ed esortazioni a insistere in campo letterario. A trent'anni. le sue prime cartelle gli sono accettate da « NovyiMir ››, la famosa rivista diretta da .Aleksandr TrifònovicTvardòvskij, che s'era rivelato grande poeta nel 1930, lui di estrazione proletaria, proprio con una raccolta di liriche sulla trasformazione della vita della campagna, «La via al socialismo ››. Quasi sempre prima di uscire in volume i racconti di Šukšin compariranno su questa rivista o sull'altra, « Molodaia 'Gvardija ››. Nel 1963, con il titolo « Sel'skieìiteli » (t.l. Abitanti di paese), i suoi primi racconti son raccolti  in volume. 
Due anni piú tardi darà alle stampe il suo primo romanzo, « Ljub viny » [t.l.: il due ›Ljubavin], che sarà ridotto per lo schermo nel 1972 col titolo La fine dei Liubavin. Nel 1970 esce una seconda raccolta di novelle, «Tam, vdalì ›› (t.l.: Là, lontano). Passa un altro biennio e compare il suo terzo volume di racconti, intitolati significativamente « Zemljaki ›› [t.l.: Compaesani, che è stato ora trascritto per lo schermo dagli amici di Šukšin.
A questo punto l'attività di Šukšin si intensifica in maniera straordinaria. Testimonia Gerasimov che Šukšin «possedeva un'inconsueta, inesauribile avidità di lavoro. ll ruolo era difficile, esigeva una continua presenza. Eppure in ogni minuto libero dalle riprese, egli scriveva. Scriveva sui pezzetti di carta che gli capitavano sottomano se non trovava nella tasca il quaderno di appunti. Scriveva velocemente, temendo che il pensiero gli scivolasse via, gli sfuggisse, si polverizzasse. Ed ecco che l'idea nasceva, trovava forma verbale, assumeva una precisa intonazione. Soltanto allora era soddisfatto: ma per questo bisognava fissarla velocemente. Sebbene Šukšin possedesse una memoria prodigiosa, tuttavia non se ne fidava, sostenendo, e giustamente, che la letteratura «è una forma d'arte in cui formulare un pensiero appena un po' approssimativo è in sostanza capovolgere le leggi generali, che si basano sulla scelta puntuale e sul legame preciso delle parole, in nome della precisione dell'immagine ›› « llskusstvo kino ››, 1975, 1, cit., p. 148). Continua dunque a scrivere per l'editoria e per il cinema interpreta film, ne prepara e gira i suoi. Vedono la luce il romanzo cinematografico « Ja prišel dat' vam volju ›› [t.l.: «Sono venuto a darvi la libertà), nel 1971; e nel '73 la quarta silloge di novelle, «Charaktery ›› [t.l.: l caratteri) e il racconto cinematografico «Kalina krasnaja › [t.l.:Il viburno rosso) che diventerà film nel 1974.
Nel '74 chiude con un'altra coppia di volumi di racconti: « Besedi prjasnoj lune ›› [t.l.: Colloqui al chiar di luna] e « Rasskazy ›› [t.l.: Racconti). Già le intestazioni della produzione letteraria di Šukšin - schiette, quasi ritrose nella loro semplicità -- sono indicative dell’orientamento di fondo della sua poetica. Non è solo la salubrità dell`aria, la genuinità della natura, la franchezza e la saggia bonomia della gente che abita la terra ad avvisare l'alterità che William Cowper, il pre-romantico inglese, avvertí profondamente in mezzo ai suoi melanconici terrori sintetizzandola nell'apoftemma “Dío fece la campagna e l'uomo la città".
Per Šukšin la città è la residenza della lucida razionalità della programmazione, della geometria e della standardizzazione. La campagna è il luogo primordiale del buon senso, del sentimento, dei
moti teneri e bruschi del cuore; è il luogo della spontaneità e insieme della fedeltà ad un archetipo sociale che fortifica e rinfranca il carattere dell'uomo e lo scampa dalle seduzioni di un mondo illustrato ma volubile, facile ma subdolo.
E' questa la nota dominante dei suoi racconti [soprattutto in « Là lontano ››] e di tutti i suoi film, in particolare dell'inedito da noi Peöki-lavoöki ›(t.l.: Stufe-panchine, 1973].
Non che Šukšin si lasci imbecherare da quelle che Sinisgalli chiamerebbe le moine della natura. Šukšin sente la campagna virilmente come termine di riferimento etico, come sede della pulizia, non solo ecologica ed atmosferica, ma fisica, psichica e morale.
Pensiamo ad una delle sequenze conclusive di Vaš syn y brat. Il padre e i due figli sono sulla riva del fiume Katun, antico spettacolo dell'acqua diversa e impassibile, immagine - per ricordare Melville -dell'inafferrabile fantasma della vita. Il fiume giudica il vecchio, la vita sua che declina. E il vecchio giudica i due figli: il piú  giovane, Vassia, che è rimasto fedele alla terra e gli lavora la campagna, e il maggiore, lgnati, che ha scelto la città e s'è messo bene con la sua palestra di ginnastica per adulti. ll vecchio, quotando la forza fisica dei due figli, vuole che la misurino nella lotta, come facevano quand'erano ragazzi. Vassia prevarrà e darà conferma al padre: il vigore fisico speso in città è un vigore sprecato. Ma Vassia, il fedele, il buono, il timido Vassia si schermisce: è piú possente, è evidente, ma non si fida fino in fondo della sua forza, soffre d'inferiorità di fronte alla vigoria « razionalizzata » del fratello. il confronto non ha luogo. Il padre è deluso, Vassia rimpiangerà l'occasione perduta.
Ma la sua “superiorità” non viene scalfita dalla prova mancata. Proprio perché non c’è bisogno di prova. Chi fatica, chi soffre, quello è superiore: Antòn Pàvloviöc Cèchov registra in questa fase un decreto esistenziale che nessuno nega. E la terra non accorda sconti alla fatica. Dà e riprende a misura di come e quanto è servita.
E' il motivo secolare della iustissima tellus: mentre chiede, rende a misura, imparzialmente, forza, sapienza, bontà.

Bruno De Marchi, BIANCO E NERO, Anno XXXVII, lugio/agosto 1976

lunedì 6 marzo 2017

SETTE PERSONAGGI IN CERCA DI SPETTATORI - L'era nuova


È di questi giorni la “ nascita” a Messina del “cinemascope”, ovvero del nuovo sistema di proiezione che “dà inizio ad una nuova era del cinema e rivoluziona il mondo dello spettacolo”.
Nel sintetizzare la mirabilia di questo nuovo genere di spettacolo cinematografico il corrispondente newyorkese di un importante settimanale italiano, dopo la “premiere” de La Tunica così descriveva una scena: “ Ad un’estremità dello schermo si vede il soldato lanciare una freccia che attraversa sibilando tutto l’orizzonte della scena, per colpire la vittima all’altra estremità dello schermo. Non è più la macchina da presa che deve muoversi, per seguire la traiettoria, ma è l’occhio dello spettatore”
Nella nostra città il “cinemascope” non arriva in ritardo rispetto alle altre città italiane che l’hanno adottato; tutt’altro: anche in questa occasione i gestori messinesi si sono messi in linea con la tecnica e il progresso.
Dedichiamo ad essi una nostra “inchiesta” appunto nella settimana che registra un avvenimento di rilievo, l’adeguamento dei mezzi alle continue e pressanti esigenze degli spettatori messinesi.
Invero, è risaputo che il “mestiere” di gestore delle sale cinematografiche deve conciliare ed amalgamare diversi ingredienti, di natura eterogenea, sicché è indispensabile al “gestore” una spiccata sensibilità dell’opinione e dei gusti della clientela.
A Messina i locali di prima visione coprono i giorni della settimana e pertanto scatta il meccanismo della scelta da parte dello spettatore,che, in siffatte condizioni, è oggetto dell’influenza della critica.
Abbiamo così avvicinato i proprietari delle sette sale di proiezione che a Messina ammanniscono i prodotti dell'industria filmistica italiana ed estera, per uno svago che non è fine a sé stesso, ma che comporta un fine educativo, etico-sociale, nello spirito di quel «quiescendo disco›› che campeggia sullo schermo di un
locale cittadino.
Dalla viva voce dei gestori abbiamo ricavato un'interessante puntualizzazione dell'« educazione ›› e della maturità raggiunti dal nostro pubblico.
Potremmo definirla verità assiomatica, in quanto dalle cifre degli incassi è possibile ricavare indicazioni utili, anche se non generali. Ma il credito che accordiamo alle risposte dei «gestori›› deriva dalla convinzione di un «sesto» senso in chi, nel ciclo della vita di duemila metri di pellicola, è un elemento di prim'ordine insostituibile perché, laddove mancano le «catene» di sale cinematografiche -  tipo ENIC per esempio quello che manovra le leve di un successo al quale è intimamente interessato per i benefici che ne derivano.
Prima di terminare questa nota introduttiva desideriamo ringraziare la sig.ra LA SCALA (Apollo), il comm. ARTURO ARENA (Aurora e Garden), rag. GAETANO CRISASAFULLI ed il signor STERRANTINO (Lux), il direttore  del Peloro signor SCOZZARI, e i signori BELLAMAGINA e CUSCONA' (Savoia), il marchese LOTETA e il signor CARNABUCI (Trinacria) che gentilmente hanno collaborato con noi in questa nostra modesta fatica.

Gazzetta del Sud  Martedì 16 marzo 1954

giovedì 2 marzo 2017

L'affitto


Credi di essere tu a occuparti dei bambini?
Non essere ingenuo. È l'universo che si occupa di loro.
Sì. Però l'universo non paga l'affitto.
Alejandro González Iñárritu, Biutiful, 2010

mercoledì 1 marzo 2017

Dall'Estonia




La prima volta che venni a contatto con qualcosa proveniente dall' Estonia fu nella metà degli anni ottanta del secolo della bomba atomica grazie ai dischi ECM di Manfred Eicher che portò all'ovest la musica di Arvo Pärt e precisamente quel capolavoro assoluto della discografia internazionale che è e rimane Tabula Rasa. A distanza di anni ecco che per caso vengo a scoprire questo Free Range: Ballaad maailma heakskiitmisest di un giovane estone che si chiama Veiko Õunpuu. E lo devo ad un altro brano musicale, questa volta del Maestro e di Joan Baez, precisamente la cover de La ballata di Sacco e Vanzetti da Scott Walker incollata all'inizio di Free Range. La curiosità si è triplicata per  il fatto che il film è stato girato in 16 mm su pellicola Fuji, donde una grana di sottofondo negata al digitale. Lo stesso Arvo Pärt  è presente nel film. con Festina Lente.