mercoledì 1 marzo 2017

Dall'Estonia




La prima volta che venni a contatto con qualcosa proveniente dall' Estonia fu nella metà degli anni ottanta del secolo della bomba atomica grazie ai dischi ECM di Manfred Eicher che portò all'ovest la musica di Arvo Pärt e precisamente quel capolavoro assoluto della discografia internazionale che è e rimane Tabula Rasa. A distanza di anni ecco che per caso vengo a scoprire questo Free Range: Ballaad maailma heakskiitmisest di un giovane estone che si chiama Veiko Õunpuu. E lo devo ad un altro brano musicale, questa volta del Maestro e di Joan Baez, precisamente la cover de La ballata di Sacco e Vanzetti da Scott Walker incollata all'inizio di Free Range. La curiosità si è triplicata per  il fatto che il film è stato girato in 16 mm su pellicola Fuji, donde una grana di sottofondo negata al digitale. Lo stesso Arvo Pärt  è presente nel film. con Festina Lente.


lunedì 27 febbraio 2017

Orione o Don Orione


Nei tempi che furono ci fu una lotta cruenta tra quanti (i preti dell'istituto ed il il famigerato Trupianoi) che sostenevano, a ragione, l'insegna DON ORIONE ed i giovani cadetti, c'ero io in mezzo, che alzavano il vessillo ORIONE.


domenica 26 febbraio 2017

Miss Zasu Pitts

CHI È ZASU PITTS

Zasu Pitts è giunta alla notorietà sventolando a guisa di insegna un grembiule da cucina!
Senza mai aspirare alle sontuose vesti di prima attrice essa ha costantemente scelto parti di schiava, o di domestica, o di sguattera ed ha sostenuto questi umili caratteri con tale realismo drammatico che è divenuto familiare ad Hollywood il detto “Se Zasu è nel film, certamente vi ruberà”.
Il film sonoro ha offerto campi più vasti alle sue caratterizzazioni, fruttandole ultimamente un'isperata promozione a proprietaria di un grande caffè nell’operetta musicale La moglie n. 66.
Miss Pitts è nata nelle vicinanze di San Francisco. Non aveva ancora dieci anni quando la sua famiglia si trasferì ad Hollywood. Vivendo in Hollywood essa più che ogni altra aveva il sacrosanto diritto di entrare in cinematografia; e ben presto se ne valse per recitare come comparsa in un film di Mary Pickford. Mary non tardò a distinguerla per In sua impareggiabile grazia tra lo stuolo delle compagne e prese a proteggerla.
Ella ha recitato poi in Marcia Nuziale e L’avarizia, di Erich Von Stroheim, films con i quali è riuscita a porsi in primo piano.
CINE SORRISO ILLUSTRATO PER IL PUBBLICO CINEMATOGRAFICO Anno VI – N. 15 – 13 Aprile 1930 (VIII)

giovedì 23 febbraio 2017

I DRAMMI DEI FURBI

di Corrado Alvaro,

JULIEN Duvivier ha preso un soggetto italiano, Don Camillo di Guareschi, che e stato negli ultimi anni uno dei maggiori successi di libri italiani all’estero e che il successo estero ha imposto di rimbalzo in Italia, ne ha fatta la sceneggiatura con un autore francese e ci ha dato un film che sembra svolgersi in una provincia ricca e in vena di scherzi, dove il dramma politico diventa commedia di risentimenti e rivalità piccine ma con una grande aria di buonsenso, pressappoco come la provincia francese quando i francesi tornano alla provincia per una boccata d’aria e scrivono Clochemerle. Lo scenario di questo film è una di quelle ben costruite cittadine padane come Forlimpopoli, Imola, Guastalla, e cento altre. Non ho letto il libro di Guareschi e ignoro perciò quanto di esso si trovi in questa riduzione cinematografica, ma Duvivier non può essersi inventata la figura del prete che, come appare qui, non può essere uscita se non da una mentre italiana. Un prete la cui dote maggiore è una storica furberia, quale da noi si scambia facilmente con tradizione e cultura. Perché forse soltanto da noi succede, quando ci si trova sotto un qualunque regime o governo mal sopportato, di contare sempre sulla furberia d’un avversario di qualsiasi altra specie, pregustando che fra dieci o venti o cinquanta anni, esso riuscirà a fregare il suddetto malvisto governo. La fama più consolidata di furberia è attribuita fra noi al clero, e su di esso contava in genere l’opinione più paziente sotto il fascismo, con preciso intuito. Cosi una tale opinione si rallegrò alla stipulazione del Concordato, e non per altro che pel culto della furberia, l’alta furberia, o diplomazia come si dovrebbe chiamare, di un istituto secolare.
A causa d’un malinteso, cioè d‘un soggetto italiano trattato da un francese con l’occhio turistico di chi è chiamato a dare il suo mestiere in una faccenda che non lo appassiona più d’un viaggio, avremo un tipo di prete inedito fino a oggi nel nostro cinema, e forse anche nella letteratura e nel teatro Guareschi e Duvivier per [manca una riga, N.d.R.] [co]munisti purché sia ben chiaro che questi sono di gran lunga meno furbi di don Camillo, parroco di una cittadina padana, e tanto meno del vecchio vescovo che regge la diocesi. Meno furbi, e non dotati di quell’accortezza e opportunità che elimina blandamente tutte le difficoltà. Che il vescovo costringa, con dolcezza e senza darsene l’aria, il sindaco comunista a dargli il braccio e a passare tra due ali di popolo stupito; che lo accompagni all’inaugurazione della Casa del Popolo; che qui dia la sua benedizione al pubblico degli scalmanati per definizione, e che questo si faccia il segno della croce, e uno di quei tratti di furberia che deliziano il nostro pubblico educato allo spettacolo di contese di questo genere, e cui riduce ormai la storia. Non bisogna omettere che anche il sindaco comunista è furbo, e qualche tiro alle spalle del prete gli riesce; ma non i colpi grossi. Non devono riuscirgli perché egli è un personaggio di comodo. In fondo, la lotta e tra due protagonisti ugualmente simpatici, vecchi amici dall’infanzia e poi combattenti fianco a fianco nella prima guerra. Il prete sente le <<istanze popolari»; come il sindaco comunista battezza il figlio, e si confessa; non si capisce perché abbia la fama di anticristo e perché tutta la gente timorata del paese ne abbia orrore. Se il solo punto di attrito e l’osservanza religiosa, qui i comunisti non fanno che inginocchiarsi e segnarsi. Non si capisce dove sia il conflitto. Ma andate a cercare una stretta logica nel film, dove una serie di considerazioni di opportunità, di facilità, di volgarità, esulano da qualsiasi specie di ragionamento. E inutile andare a cercare ragioni dove una sola è la necessità, quella di fare parti adatte a Cervi e a Fernandel.
Vi sono altro fatti ugualmente esemplari nel film, ed e la vecchia maestra monarchica, la quale insegna a quei poveri ignoranti di anticristi un po’ di ortografia e di grammatica per i loro giornali murali troppo scorretti, e che alla fine muore tra il sindaco e il curato ammonendo che <<i re non si devono mai mandare via ». Uno dei trucchi peggiori dell’arte e di far dire certe sentenze opinabili ai bambini e ai moribondi la voce dell’innocenza e la voce dell’aldilà. Francamente, non è molto leale, non per altro ma per una questione di gusto. Sono colpi bassi pericolosi che possono suscitare l’indignazione proprio in chi si trova addirittura una lacrimetta nella guancia. [manca una riga, N.d.R.] del mestiere, ed egli ha da insegnare, è il rovesciamento dei caratteri; l’attribuzione a un personaggio, accettato con certi caratteri comuni, di qualità opposte a quella che la convenzione gli assegna. E’ il segreto della fattura di questo film.
Il sindaco si confessa e dice le preghiere di penitenza. Ma il prete gli tira un calcio mentre sta in ginocchio, perché il penitente gli ha rivelato di averlo aggredito una sera rompendogli una dozzina d’uova che aveva in tasca. Il sindaco comunista è tollerante, porta la bara della vecchia maestra monarchica, ma il prete ha un moschetto e un fucile mitragliatore. A un certo punto brandisce anche un bastone, di felice memoria, ma il Crocifisso (egli parla spesso col Crocifisso della chiesa, che gli dà suggerimenti di tolleranza e di democrazia con la voce di Ruggeri) lo sconsiglia di adoperarlo, facendo, contro un comizio, quello che il prete dice: la marcia su Roma.
Meno male. Il sindaco è robusto: e Gino Cervi con quel suo umore padano; ma il prete, Fernandel, e più robusto di lui e lo accoppa di pugni quando vengono alle mani. E scaraventa un tavolo su certi comunisti anticlericali venuti dalla città, che lo dileggiano seduti al caffé, ammaccandone ben quindici.
Tutto il film si regge su questa costante legge comica: l’inversione dei caratteri; il mite che è un leone, il fiero che è un agnello, il forzuto che prende le busse, il pio che viene alle mani, il dinamitardo che diventa filantropo, il mangiapreti che si inginocchia, il prete che dà un calcio al suo treppizzi in chiesa, e via dicendo. 
Il dialogo, evidentemente tradotto dal francese, ha quella convenzionalità delle mediocri traduzioni, e questo non è l’ultimo dei coefficienti d’una continua impressione di mistificazione sia pure con le regole del buon mestiere. Ma anche questo mestiere con le sue trovate, e ve ne sono, come per esempio la colluttazione fra prete e sindaco nella torre campanaria, delle cui vicende si ha l’impressione soltanto attraverso i rintocchi delle campane mosse dalle funi tra cui i due si battono, riesce stranamente indifferente. Viene il sospetto che se il cinema può essere deteriore come nessuna altra arte al mondo, capace di falsificazioni in ogni altra arte intollerabili, un buon mestiere applicato a qualcosa di intimamente falso perde valore e diventa offensivo. Ci si domanda che altro spicco avrebbe in un film mosso da motivi [mamca una riga, N.d.R.] la, con quello scenario, quelle squadrature, quell’ordine di portici e di edifici. C’è uno spreco di accorgimenti e di invenzioni attorno a un fatto della più grossolana ispirazione. Tutti, del resto, dal regista agli attori, hanno l’aria di fare un giuoco perché tale è la loro professione e sono pagati per farlo. E raro che questa idea venga in mente a proposito d’un film che pure è sempre un’operazione finanziaria cospicua. E, se uscendo ci si domanda che cosa sia stato turbato in noi da questo film ben condotto, spiritoso come un giornale umoristico, liscio, ci pare che la causa stia nella sua indifferenza morale su tutto e su tutti, in un qualunquismo che non significa saggezza e in un ossequio alla religione per quello che in essa è più formale e meno scomodo, e per il valore che le dà chi se ne serve come politica.
Il Mondo, 29 marzo 1952

mercoledì 22 febbraio 2017

Volti del fu cinema messinese


La signora Maria La Scala
era proprietaria del cinema APOLLO


Il signor Arturo Arena
era proprietario dei cinema GARDEN e AURORA


Il signor Giovanni Bellamacina 
gestiva il cinema SAVOIA


Il signor Gaetano Crisafulli
il cinema LUX


Il signor Francesco Loteta
era proprietario del cinema TRINACRIA



Il sigror Matteo Scozzari
gestiva il cinema PELORO


Il signor Carmelo Sterrantino
il cinema LUX

Foto riportate sulla GAZZETTA DEL SUD il 16 marzo 1954


lunedì 20 febbraio 2017

Lardani unforgettable


Ballata per un pistolero è un film di 

 Alfio Caltabiano 
(1932 - 2007)
alias Al Norton altre volte  Alf Randal o Alf Thunder, egregio stunman del fu cinema italiota. I titoli di Iginio Lardani (uncredited) scorrono per un pugno di secondi e, come vedete, lasciano il segno.


domenica 19 febbraio 2017

VITA DI HOLLYWOOD - LE COMPARSE

Vi sono leggende che è onesto sfatare e tutte le volte che le nostre funzioni ci mettono a contatto con i
capi d'una Casa americana, essi ci invitano a dire tutta la verità al pubblico sulla vita dei debuttanti a Hollywood. Troppa gente crede che negli studi californiani si guadagni bene, e non serve che le autorità americane diffidino il pubblico, giacché ogni giorno sbarcano degli illusi. Le porte rimangono ostinatamente chiuse e coloro che le sorvegliano non si lasciano intenerire. Ogni studio è un tempio in cui si elaborano i films nel più grande mistero e la disciplina permette ai direttori di lavorare in pace.
La prima impressione dello straniero che gira per le vie di Hollywood è quella che vi sono molte donne graziose, e chi non è bene informato le crede tutte vedette. Invece non sono altro che debuttanti chiamate qui “extra” e che cercano di far da comparse attendendo meglio. Certo si gira molto ad Hollywood, perché non tutti i films vengono esportati, ma ciò non impedisce che migliaia di comparse siano senza lavoro, dato che vengono impiegate a caso, i “ metteurs en scène» non sono mai imbarazzati e finiscono sempre col trovare il tipo che cercano. D'altro conto, non hanno questa preoccupazione, giacchè in ogni «studio» vi è un «casting-director›› incaricato di reclutare il personale artistico. Gli si dice prima che occorrono due o trecento comparse corrispondenti a date condizioni. Non vi è che l'imbarazzo della scelta. Infatti, tutte le mattine gli “extra” si presentano al suo ufficio, che è costruito in modo speciale. Egli è separato dal mondo esteriore da chiusure solide e coloro che vogliono farsi scritturare devono comparire uno alla volta dinanzi ad uno sportello o ad una barriera.
Non si scambiano parole inutili.
L’artista piace o non piace. Un “casting director” è un uomo che il più delle volle si rinchiude in un mutismo assoluto. l-la delle idee precise e non ritorna mai sulle sue decisioni. Tuttavia nei periodi di calma.riceve la visita dei sollecitatori. Prende nota delle loro capacità su un modulo e domanda fotografie. Un debuttante che si sente rispondere: « Voi non avete alcuna probabilità di riuscire. Non scrivo il vostro nome né voglio la vostra fotografia, non ha che da andarsene e non più tornare, perché il direttore ha buona memoria.
I moduli sono classificati in un determinato ordine. ll giorno in cui l’ufficio ha l`incarico di ingaggiare diversi «extra» non ha che da ricercare tra i moduli.
Da questo punto di vista, Hollywood è un paese straordinario. Lo si è comparato alla Corte dei miracoli, e in ciò vi è qualcosa di vero. Vi sono dei debuttanti che sono disgraziati di natura e che non disperano di comparire dinanzi all'apparecchio. Qualche volta sono ricompensati, perché gli americani ricercano la verità anche nei minimi dettagli. Sanno di poter trovare, all’occorrenza, un gobbo o uno storpio. I senza impiego non l’ignorano e sfilano dinanzi al «casting director›› e si fanno iscrivere.
Del resto gli americani non si stupiscono di nulla. Se un essere completamente deforme chiede di «girare› lo iscrivono. E' curioso constatare che un essere con un'infermità, diremo così, originale ha più probabilità di lavorare che non una bella figura elegante, dal sorriso delizioso.
Ho detto più sopra che le giovani belle abbondano ad Hollywood. Si è tanto raccontato come debuttano le grandi artiste, che le sconosciute sognano di avere la stessa fortuna. Queste donne graziose vengono da tutte le parti. Si scoprono, fra le belle sollecitatrici, delle piccole impiegate stanche di stare negli uffici; qualche figlia di buona famiglia, che non ha voluto ascoltare i consigli dell'esperienza; danzatrici o comparse del “music hall”; signorine che hanno obliato ogni cosa per sperare in un avvenire migliore. Le une e le altre non sono molto felici, perché non simpatizzano fra di loro, sono gelose e devono dar prova di una costanza ammirevole. Se le interrogate singolarmente, vi accorgerete presto che hanno una grande opinione di sé stesse, e saprete che la loro capacità è uguale a quella di Mary Pickford, Gloria Swanson o Pola Negri. D’altronde sembrano dotate di ottime qualità e vi stupite che possano lavorare ad intervalli tanto lunghi. Ma è che il numero è troppo grande e che è impossibile farle lavorare tutte. E, poiché sono uguali, dal punto di vista della bellezza e della fotogenia, devono fidare soltanto nella loro fortuna personale. E' come alla lotteria: o guadagnano o perdono. Vi sono di quelle che invecchieranno facendo sempre le comparse, pur avendo le qualità di coloro che arriveranno.
A Hollywood si osserva pure che non tutti i debuttanti hanno la stessa costanza. Certuni insistono alcune settimane, altri mesi, altri lunghi anni. Bisogna distruggere anche la leggenda che la vita a Hollywood sia a buon mercato. Invece è molto cara e spesso una comparsa ch'è graziosa e ben vestita si accontenta di colazioni poco sostanziose. Spesso girano male. Gli uomini hanno la risorsa di impiegarsi nelle amministrazioni, sebbene non vi si rassegnino se non forzati dal bisogno. In quanto agli incorreggibili, si direbbe che hanno preso gusto alla miseria.
Hollywood non è un paradiso per tutti, ed è da augurarsi che questa verità penetri bene in coloro i quali s'immaginano che il cinema sia accessibile a chiunque sogna la gloria e la fortuna.
I. P.
CINE SORRISO ILLUSTRATO PER IL PUBBLICO CINEMATOGRAFICO Anno VI – N. 15 – 13 Aprile 1930 (VIII)