giovedì 10 ottobre 2013

Eugenio, Pricò eTommi

OGGI
AL CINEFORUM PEPPUCCIO TORNATORE

Ho accennato per il film di Luigi Comencini, Voltati Eugenio, a due registi nostrani che hanno lavorato con i bambini: Vittorio De Sica e Kim Rossi Stuart.
I lungometraggi che hanno realizzato e quest’oggi ci interessano sono I bambini ci guardano e Anche libero va bene.
La distanza temporale tra i due è compresa in un arco di tempo di sessanta anni ma  sono pressoché simili nella rappresentazione dell’infanzia.  Pricò e Tommi sono bambini che di fronte agli adulti subiscono la realtà per loro creata.
I loro due papà, un ragioniere contabile ed un operatore alla stedycam,  il primo mite il secondo irascibile, hanno sposato due donne le quali vanno e vengono per i loro motivi …ormonali? Pur sempre le  signore sono legate alle loro creature che assistono a questo andirivieni con i danni che ne conseguono. Pricò spesso piange, Tommi è di solito silenzioso.
La perizia con cui i due piccoli protagonisti sono stati diretti è evidente -  De Sica dirige per la prima volta un bambino e Kim Rossi Stuart dirige per la prima volta  un film -  senza dover ricorrere a specialisti dell’infanzia, specie quando sono soli di fronte alla macchina da presa: Pricò in fuga con la passeggiata sui binari , incontro al treno, schivato all’ultimo momento e Tommi che vaga, senza protezione,  sul cornicione e sul tetto del palazzo dove abita o nel traffico cittadino.
La differenza, al termine dell’azione filmica, è che mentre il ragioniere non resiste e dopo aver collocato il figlio in collegio, si getta dall’ottavo piano,l’operatore trova motivo di sopravvivenza nell’attaccamento sfrenato con il suo bambino.
Nei lavori dei tre registi citati la realtà in cui si trovano i piccoli è molto ben evidenziata: nel film di De Sica, Pricò - l’Italia è in guerra e stanno arrivando gli alleati, sebbene tutto ciò non traspare nel film - si aggira per una Roma primaverile e successivamente è portato in una località balneare; negli anni di Comencini – i primi ’80 – si affacciano invece i conflitti sociali, disorganizzazione e disoccupazione e dei bambini non si accorge nessuno; nella realtà di Kim Rossi Stuart - più vicina a noi – i bambini chattano o sono parcheggiati nelle scuole di danza o in quelle di nuoto come di calcetto.
Eugenio scompare nel fotogramma, Pricò in collegio, Tommi nelle braccia di un delirante padre.

mercoledì 9 ottobre 2013

Brilliant trees


 “Molti anni fa nel paese di Satriano in Lucania alcuni uomini usavano ricoprirsi d’edera fino a diventare irriconoscibili, erano i romiti, uomini – albero, espressione di un antico culto arboreo, risalente al Medioevo. Camminavano con un bastone, al quale era legato un ramo di pungitopo o di ginestra e bussavano alle porte delle case per ricevere elemosina. Con il tempo il romito è diventato una maschera tra le tante, lentamente dimenticata dalle nuove generazioni”. “Alberi” è il nuovo film del regista di Calabrese Michelangelo Frammartino, che dopo “Le quattro volte” torna con i suoi racconti metafisici sulla natura meridionale.


lunedì 7 ottobre 2013

Whit his angel face

Gemma? Secondo me, Gemma è uno degli attori più nobili della generazione del ’60 perché è un ragazzo molto serio che si è fatto tutto da solo e che faceva tutto da solo senza ricorrere a controfigure. E’ rimasto com’era, con questa faccia così bella, così aperta, che rispecchia quello che veramente è dentro. Con lui ho fatto un unico film, ma ci lavorerei sempre volentieri, perché è una persona seria sia nella vita che nella professione, uno su cui ci si può appoggiare con la massima fiducia.
Sergio Corbucci.

I mercati migliori per il film d’azione sono il Giappone, La Germania, tutto il sud America, tutti i Paesi Arabi. Io sono il Marlon Brando di quel mondo! Per esempio in Marocco non posso girare a piedi: l’anno scorso sono andato a Marrakesch e si è rivoluzionata la città, non abbiamo potuto vedere nulla. Lo stesso è successo in Senegal, è stata veramente una cosa da far paura, perché mi arrivavano addosso come le mosche.
Giuliano Gemma


L’avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti  a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Feltrinelli op. cit.

Old Calabria land of myth

Accanto ai lungometraggi andrò proponendo qualche vecchio documentario, tra i più significativi, che illustrano la terra calabra. La regista di questo, Aurelia Attili, è una che più volte ha visitato la regione per fissarla su pellicola per conto dell'Istituto Luce.
Sequenze:
1. una antica cartina geografica descrive la Calabria nel periodo della dominazione greca
2. sul promontorio Lacinio a Crotone una colonna del tempio di Era guarda verso il mare
3. i marosi s'infrangono contro le coste frastagliate
4. sulla cartina vengono individuate con quattro punti luminosi le città di Reggio, Crotone, Locri e Sibari
5. una clessidra descrive il passare del tempo
6. dopo la conquista romana le montagne calabresi vengono violate dai Goti conquistatori
7. sul Busento il loro re Alarico venne ucciso, le rovine della tomba di Alarico
8. un castello medioevale sul mare
9. l'oblio in cui cadde la regione calabra viene eufemisticamente rappresentato da una clessidra ferma
10. il periodo è disseminato da flagelli naturali che corrodono montagne e colline riducendo la terra in luoghi argillosi e aridi
11. un acquitrino stagnante spiega la scarsità di acqua
12. le genti calabre si ritirano sulle colline presilane e sull'altopiano, panoramica della zona
13. i paesi abbarbicati sulle alture si affacciano su terre che non offrono nulla
14. i grandi latifondi concedono misere particelle coltivabili: uno spinoso cactus
15. un castello feudale abbandonato, un territorio senza coltivazioni
16. un gregge di pecore che abbandona il pascolo di pianura per raggiungere la Sila
17. le mucche all'abbeveraggio, gli abbaii dei cani da caccia nelle folte radure
18. panoramica sulla vallata senza colture: i contadini con gli attrezzi in spalla
19. panoramica delle montagne con in lontananza il mare
20. il ritorno alla casa vuota ed angusta, i volti della gente sono il ritratto della fame e della disperazione, bambini vestiti di stracci e sporchi
21. la vita nel paesino con i giochi innocenti dei bambini, una donna culla il suo bimbo seduta fuori della porta di casa al sole
22. le donne lavano i panni al fontanile del paesino nato tra le macerie
23. una donna porta la brocca sul capo per prendere l'acqua alla fontana
24. due donne mettono ad asciugare dei fili appesi ad un bastone, una donna lavora al telaio per tessere
25. primo piano della stoffa preparata con semplici disegni, quasi infantili
26. un'anziana signora ha teso i fili di lana alla finestra
27. due donne usano il fuso in strada ed un bimbetto gioca con lo strumento
28. il segnale del cambiamento viene raffigurato con il suono di una campana di chiesa
29. la clessidra riprende a far scorrere il tempo
30. un aratro affonda la sua lama nella terra secca
31. la cartina mostra quale sia il territorio che viene diviso tra i contadini secondo la nuova legge Segni sulla riforma agraria
32. in una estensione di oltre 500000 ettari sono stati ritagliati 76000 ettari di terreno distribuito tra 20000 contadini senza terra
33. un manifesto dell'Opera per la valorizzazione della Sila spiega come si fa parte delle liste
34. squadre catastali ripartiscono, qualificano e valutano i terreni espropriati
35. panoramica della terra con un fiume e buoi al pascolo
36. Santa Severina, il suo castello medievale, è stato il primo centro in cui è stata fatta l'assegnazione dei lotti
37. una folla riempie la piazza per ascoltare il discorso di Segni, primo piano del politico
38. tre contenitori con la scritta delle quote di assegnazione
39. una bimba con grande fiocco in testa fa la scelta dentro i contenitori
40. uno degli assegnatari firma
41. giovani calabresi mangiano pane, primo piano di uno di loro con la coppola
42. una leggenda racconta che Alarico ha sepolto in Calabria il suo tesoro
43. perle ed ori bagnate di acqua paragonate alle spighe rigogliose di un campo
44. il futuro della Calabria nel giovane volto di un ragazzo e nelle messi fluenti al vento


giovedì 3 ottobre 2013

Cine Città

Il duce inaugura Cinecittà

Il cinema del Duce
Si potranno fare tutte le riserve che si vogliono sui rapporti tra il Festival di Venezia e gli interessi politici del Duce, ma è incontestabile che questa idea del Festival Internazionale ha fatto, da allora, la sua strada e se ne misura oggi il prestigio nel vedere quattro o cinque nazioni europee annettersene le spoglie.

Se non avessimo avuto durante la guerra, e a buon diritto, un partito preso, film come Uomini sul fondo o La nave bianca di Rossellini avrebbero colpito un ò di più la nostra attenzione. Del resto, anche quando la stupidità capitalista o politica limitava al massimo la produzione commerciale, l’intelligenza, la cultura e la ricerca sperimentale si rifugiavano nella pubblicistica, nei congressi di cineteca e nella realizzazione di cortometraggi. Lattuada, regista del Bandito, allora direttore della cineteca di Milano, per poco non andava in prigione per aver osato presentare la versione integrale della Grande Illusione nel 1941.

Gusto e cattivo gusto delle scenografie, idolatria delle vedette, enfasi puerile della recitazione, ipertrofia della messa in scena, intrusione del tradizionale apparato del bel canto e dell’opera, storie convenzionali influenzate dal dramma, dal melodramma romantico e della chanson de geste per romanzo d’appendice.
Oggi che la carica degli elefanti di Scipione non è più che un rimbombo lontano, possiamo prestare orecchio un po’ meglio al rumore discreto ma delicato che fanno Quattro passe fra le nuvole.

Registi come Vittorio De Sica, autore dello splendido Sciuscià, si sono sempre dedicati alla realizzazione di commedie molto umane, piene di sensibilità e di realismo, fra le quali, nel 194: I bambini ci guardano. Un Camerini realizzava già nel 193 Gli uomini che mascalzoni la cui azione si svolge, come quella di Roma città aperta, nelle strade della capitale, e Piccolo mondo antico non era meno tipicamente italiano.
André Bazin, op. cit.

mercoledì 2 ottobre 2013

Lupi ed uomini


La Lux Film torinese, casa di produzione “illuminata” e antifascista nei primi anni quaranta (come si è spesso notato), sostiene senza sorprese la causa israeliana: di fatto la cultura ebraica costituisce la punta avanzata di quel modernismo laico-massonico entro i cui confini agisce con coerenza la cinematografia capitanata da Gualino e Gatti e perfettamente inserita nell’universo ideale prevalente da decenni nella metropoli dei Savoia e degli Agnelli.
Ancora il binomio Lux-Duilio Coletti, per il tramite del produttore Dino De Laurentis, mette in cantiere un nuovo “attacco alla tradizione” con la pellicola Il lupo della Sila (dicembre 1949; 95 min.), ambientato tra gli aspri paesaggi della Calabria rurale. Come già in numerose altre pellicola finanziate dalla ditta piemontese (si pensi ad esempio al simile Notte di tempesta di Franciolini, 1945; vedi) l’astuto meccanismo consiste nel calare una vicenda fumettistica, degna di un romanzo d’appendice, all’interno di una cornice dal sapore documentaristico e perfino “neorealistico” (riprese in esterni che valorizzano in modo abile il paesaggio calabrese, utilizzazione della popolazione locale, una magnifica fotografia in un denso e contrastato bianco e nero). Al centro viene collocata una figura mostruosa che finisce con il divenire emblematica di quel luogo e di quella cultura che si vogliono dipingere con accenti “arcaico-medievali”, pieni di disprezzo. Così Rocco Barra (Amedeo Nazzari), il più stimato proprietario locale, è un fanatico, disumano e autoritario difensore dell’onore familiare: dapprima impedisce alla sorella (Luisa Rossi) di scagionare il proprio amante (Vittorio Gassman) ingiustamente accusato di omicidio, decretandone in definitiva la morte; anni dopo invece, follemente inamorato di una giovane, prosperosa lavorante (Silvana Mangano), decide di sposarla senonché, quando il figlio Salvatore (Jacques Sernas), a cui sembra sinceramente affezionato, gliela porta via, lo insegue e immediatamente, saltando ogni doveroso chiarimento verbale, cerca di ucciderlo a fucilate. Insomma una vera e propria bestia infernale, animata da un feroce egoismo dettato da un’interpretazione estremistica e artificiosa delle tradizioni familiari del meridione d’Italia.
Si noti, per finire, che l’unica figura totalmente positiva è quella di Salvatore, un presunto calabrese interpretato da un attore francese (privo del minimo tratto somatico meridionale), il quale ha abbandonato la propria terra e le proprie convenzioni per vivere e studiare in una imprecisata, lontana e popolosa città: ovvero un perfetto e astratto modello di meridionale assimilato alla cultura laico-modernista.
Il film di Coletti, basato su questo sciocco soggetto inventato da Steno e Monicelli (e da loro sceneggiato con altri), è dunque soprattutto una caricatura indecente del costume del sud ad opera dei noti settori laici della Torino “illuminista”, settori assorbiti dalla propria guerra di modernizzazione di un’Italia rurale (fin dai tempi delle guerre d’indipendenza, della repubblica romana e dei Mille garibaldini) considerata oscurantista e inutile. In questa “guerra di religione” ogni mezzo è valido e ogni risorsa viene mobilitata: la bellezza provocante di Silvana Mangano (subito spogliata nella prima sequenza), l’autorità attoriale di Nazzari, la accattivante, veloce struttura narrativa (un Coletti finalmente in forma) animata da un montaggio serrato e da eventi spettacolari che si susseguono in modo trascinante (sebbene totalmente inverosimile) e infine una indubbia capacità di fotografare in modo perfino poetico la natura montagnosa e solcata di torrenti della Sila. Il pubblico resta giustamente soggiogato dal lavoro e ne sancisce un imprevisto, largo successo. Il centro cattolico al contrario, meno sensibile a queste qualità linguistiche e più attento alla visione ideale che la pellicola reca con sé, bolla con il solito “escluso” il prodotto Lux.

L’originale è qui:

Uomini lupi


« Queste immense distese di foreste, di rupi, di laghi, hanno un nome pieno di fascino, la Sila, cuore della Calabria. Gli uomini che vi nascono e vivono sono di una razza generosa e forte. In essi il cuore resta fanciullo, le passioni sono violente e schiette. Il destino segue il corso delle stagioni, del sole, delle tempeste. Nella solitudine e nel silenzio della Sila si perde il confine tra realtà e leggenda. Così avviene in questa storia d'amore e di sangue che fu tragicamente vera ed è già come un sogno ».

Con Il lupo della Sila prende avvio una trilogia che da posto anche a Il brigante Musolino e Rivalità in Aspromonte.
Sono opere messe in lavorazione con uno scopo preciso: fare di Silvana Mangano una diva a seguito dell’inaspettato successo riscosso con Riso amaro. Con la Mangano appaiono anche Amedeo Nazzari, ancora molto ricercato ed un fresco Vittorio Gassman sempre col preciso intendo di voler combinare guai.
Regista del lupo è Duilio Coletti uno che a sentire Alberto Sordi “ addirittura si metteva seduto dando le spalle alla macchina da presa e lasciava fare tutto agli aiuti “.
Quello che ancora oggi si apprezza di questo cupo dramma montanaro – dove un’avvenente ragazza, per vendicare la madre ed il fratello, si concede ad un proprietario terriero ed al di lui figlio ereditario, scatenando gelosia e rancore con il rituale scontro finale – oltre le immagini di una Sila incontaminata, catturata con il gusto fotografico dell’epoca da Aldo Tonti su pellicola Ferrania, è un passaggio di circa quattro minuti, riportato in allegato video, posto come intro delle vicende di lotta tra i due maschi protagonisti, di festosa vita paesana calabrese, anche questo sapientemente impresso dall’occhio dell’operatore alla macchina.
E’ un giorno di fiera che, come ancora si usa oggi nelle province dell’ex Regno delle Due Sicilie, precedono il dì della festa patronale. Si offre e si compra mercanzia di tutti i generi: animali d’allevamento come da cortile, utensili per il lavoro dei campi come della casa, e ancora prodotti della campagna e dolciumi accanto ad orchestrine, saltimbanco e cantastorie.
Per bocca di uno di questi ultimi, Rosaria scoprirà che il fratello che vuole vendicare.