mercoledì 9 dicembre 2020

Corrado A, Umberto D & Vittorio D S



Succede nei racconti popolari, e nei sogni, e nella letteratura più elementare, che il protagonista d'una vicenda si trovi legato a un ambiente e a una situazione perché lo destina cosi la fantasia dell'autore o la simbologia del sogno, e perché accada quello che si vuole accada; ma basterebbe che fosse dotato d'un minimo di libero arbitrio per poter mutare luogo e condizione, e il dramma non avverrebbe. C’è una certa gravità nella fantasia favoleggiante, di fronte a cui si resta perplessi senza ombra di commozione. Non si riesce a definire la causa della nostra scarsa partecipazione e condizione: ma quasi sempre si tratta d`una limitazione della volontà e della libera scelta del protagonista messo nella sua vicenda come in una prigione. Cosi in Umberto D di De Sica: scelto uno dei personaggi più patetici, un vecchio, data una condizione assai comune oggi che è la solitudine, il film scorre senza che noi ci troviamo mai in mezzo alla vicenda, insensibili anche noi come gl`insensibili personaggi che rasentano quel dramma d'uomo. Il perché un'opera di così egregia fattura non ci tocchi, è nel fatto che il vecchio pensionato Umberto D., il cui cruccio consiste nella minaccia continua di essere sfrattato dalla stanza mobiliata che occupa presso una signora piuttosto equivoca, ci è presentato come se non esistessero altre stanze mobilitate nella città di Roma, e anche a minor prezzo, giacché egli paga ventimila lire al mese sulle trentamila che ha di pensione. Non ha ragione per amministrarsi cosi, cioè ragioni sentimentali, di affetto, di consuetudine, legami, ricordi. ...

Ladri di biciclette si reggeva su un filo, con quella mitica bicicletta insostituibile, ma c'era di mezzo un ragazzo, un legame, un dovere, per cui il protagonista agiva e non per sé. Qui il ragazzo è diventato un cane. Umberto D. è arrivato all'astrazione di quella solitudine, e senza l'aiuto di sequenze della forza della messa di beneficienza, e di tutta l'atmosfera mutevole d'una giornata romana, e quella densità di città. ...

Il film è ricco di belle scene, e prima di tutto una visione di Roma monumentale, divenuta scenario quotidiano e in questo senso inedita. E poi la servetta, Maria Pia Casilio, non proprio chiara e forse non del tutto verosimile come psicologia, ma tuttavia letterariamente costruita: le sue spontanee qualità naturali, dai tratti del viso, al corpo, ai gesti, al linguaggio, hanno offerto un gran partito al regista. Basta ricordare i movimenti con cui ella apre la porta della cucina e la richiude mentre regge con le due mani un vassoio carico di vasellame. È una delle cose preziose di questo film, e tutte le volte che questa piccola figura, agisce, De Sica ritrova le corde del suo miglior sentimento. Lina Gennari, la padrona di casa, dà al suo personaggio un colore e una verosimiglianza della più schietta e precisa invenzione. Nell`ambiente di lei, il regista ha messo insieme tutta un'esperienza di osservazioni. Altre figure notevoli: il mendicante dalla voce prepotente e insolente, pieno di avidità e di rancore, figura assai nota a Roma intorno agli anni subito dopo la guerra. E infine, come tratto di umore, il rosario recitato tra malati d'una corsia, per convenienza, per ottenere tolleranza dalla suora infermiera dell'ospedale. E il terzo ospedale che abbiamo visto in un mese nei film italiani.
CORRADO ALVARO, Il Mondo, 22 marzo 1952)


lunedì 7 dicembre 2020

Subversive Bamako







Abderrahmane Sissako, BAMAKO, 2006


 

domenica 6 dicembre 2020

Oggi e domani al CINE LUX - Prezzi festivi

Il dormitorio delle adolescenti
(Dortoir des grandes) Henri Decoin, 1953

Le avventure di Robinson Crosue
(Robinson Crusoe), Luis Bunuel, 1954

Piccola posta
Steno, 1955

Rigoletto
Flavio Calzavara, 1954

Un bacio e una pistola
(Kiss Me Daddly), Robert Aldrich, 1955

Una parigina a Roma
Erich Kobler, 1954

Violenza sul lago
Leonardo Cortese, 1954

 

giovedì 3 dicembre 2020

WAR & Ciro Guerra


Isn't that what war is about?
Compelling a choice on someone who would not otherwise make it?

Ma non è quello il senso della guerra?
Imporre una scelta a qualcuno che altrimenti non l'avrebbe fatta?
Ciro Guerra, Waiting for the Barbarians, 2020


martedì 1 dicembre 2020

Essenza degli antefatti


 L’ANTEFATTO NEL FILM

NEL PRIMO film muto si apriva largamente il racconto cinematografico per lasciar passare la rievocazione del passato, disposta tuttavia quasi sempre in forma parallela, non in profondità o su un piano diverso, secondo gli esempi della narrativa dell'Ottocento. Con l'avvento del parlato. troppo spesso il regista affida al dialogo, alle parole parlate e non alle parole visive, il racconto o l'accenno ai precedenti del personaggio e del fatto. Anche per questo aspetto del racconto cinematografico non si possono né si debbono fissare leggi rigide e assolute. Ma la spia fascista che in Pian delle Stelle, per spiegare la sua vita, racconta, dice, le fatiche, le umiliazioni di operaia in un cotonificio, non esprime l'umanità, che invece vorrebbe rappresentare. ln The Golden Salamamier (La Salamandra d'oro) di Neame, il bisogno di affetto e lo smarrimento sentimentale della protagonista, come la debolezza morale del fratello, si giustificherebbero soltanto con la conoscenza reale del turbamento della loro vita, passata, della loro fuga dalla Francia di Vichy, che invece appare soltanto nelle loro parole. I gesti di molti protagonisti degli ultimi film, sono irreali e falsi, tanto in senso umano e sociale quanto artisticamente, perché non hanno profondità, e preparazione. La studentessa anarchica di Au royaume des cieux (Nel regno dei cieli) di Duvivier, figlia di una ricca famiglia borghese, dovrebbe essere conosciuta nel suo ambiente, attraverso un episodio, o almeno attraverso un momento della sua vita o di quella dei genitori: così, le sue parole, i suoi gesti, come il suo suicidio, non si capiscono. In La cage aux filles (Le minorenni) di Cloche, la figura della protagonista si giustifica e il film in parte si salva, proprio per la presenza dell'antefatto, per le sequenze che raccontano e inseriscono la sua vita precedente, anche se non con sufficiente forza narrativa.

Nei due film di Radványi, Valahol Europaban (E' accaduto in Europa) e Donne senza nome, il meno infelice è il secondo (E' proprio sicuro il Varese? N.d.R) appunto perché conosciamo di alcuni personaggi la vita precedente, e con essa spieghiamo le reazioni sentimentali e gli stessi atti di questa vita. Invece in Valahal Eurapaban, quello che i bambini erano, non è mai detto visivamente, in modo preciso e connesso con la loro presente disperazione e con la loro speranza. Uno dei punti piú belli di Donne senza nome, è l’antefatto della polacca e della tedesca, il racconto della implacabile fredda e scientifica crudeltà della gerarca nazista, che sceglieva le ragazze polacche per i bordelli della Wehrmacht. In Edge of Darkness (La bandiera sventola ancora) di Lewis Milestone, la figura della polacca amante del capitano nazista non si capisce nel bene e nel male, non ha consistenza proprio perché non ci è raccontato, con immagini, il suo passato amaro e doloroso, il modo com'è stata costretta a quella vita.
Alla stessa maniera rimane scialba la figura del giovane collaborazionista, figlio del dottore: dalle sue parole sappiamo come a Oslo alcuni studenti, nel primo momento dell'invasione nazista, cedettero alla suggestione della propaganda, sappiamo come l’isolamento e il disprezzo già l’avessero colpito; ma una sequenza, dei fotogrammi che ci avessero raccontato tutto questo, potevano spiegarci il suo atteggiamento successivo, la sua rassegnazione, la sua ribellione e la sua morte espiatoria.
Anche nel film cecoslovacco Sirena, che pure procede talvolta anche troppo arditamente, certi momenti del racconto non si spiegano, perché le parole non bastano: l’operaio che si impicca lascia scritto in una lettera che i responsabili della sua morte sono i padroni della fabbrica, i quali l'hanno sfruttato e non l'hanno mai assistito. Ma una lettera, e le parole che noi ascoltiamo, non valgono quanto una sequenza, sia pure breve, inserita in un momento opportuno. I fuorilegge, di Aldo Vergano, poteva trovare un suo valore se il richiamo agli intrighi dei baroni separatisti e degli avvocati ambigui, avesse avuto una presenza nel film, per spiegare, o almeno giustificare, la “pietas” per il protagonista, che adombra la figura di Giuliano. Anche in Pinky (Pinky la negra bianca) di Kazan, la falsità del racconto è aggravata dalla mancanza dell'antefatto, del modo com'è cresciuta la ragazza, della sua vita nel Nord e via dicendo. Tuttavia. Anche senza antefatto il racconto talvolta può procedere stretto ed efficace, perché l’arte ha infinite vie e al critico tocca soltanto suggerirne e controllarne i modi e le possibilità. In The Long Voyage Home (Lungo viaggio di ritorno, 1940) di Ford, i personaggi con la loro tragica stona sono rappresentati anche se l’antefatto non viene mai raccontato visivamente: ma non sono le parole, sono i gesti, gli atteggiamenti, i fatti cinematografici che ci suggeriscono il dramma di Smith: la sequenza finale della moglie con i due bambini, che in gramaglie e composti, formano il corteo funebre, all'arrivo della nave, risolve in sé il problema dell'antefatto: in quello famiglia borghese e corretta, sentiamo espressa a tragedia dell'ufficiale degradato, anche se essa non ci è stata mai raccontata direttamente, con immagini.


Il cinematografo può valersi con grande efficacia e libertà del movimento del tempo e nel tempo, perché questa libertà è connessa alla sua essenza stessa. Talvolta il regista può raccontare il presente anticipando il tuto, o una varia, possibilità di futuro, come hanno fatto, per esempio, con fini diversi, ma con eguale felicità, Preston Sturges in Unfaithfullly Yours (Infedelmente tua) e René Clair in La bellezza del diavolo. Lo stato d'animo del marito sospettoso nell'opera di Sturges, e l’inquietudine di Faust sono espressi da questo futuro che, in forma comica, o in forma drammatica, è visto dallo spettatore. Se i registi si ricordassero piú spesso di questa libertà e si richiamassero con immagini, sia pure per scorci, e non con le parole, all'antefatto, molti film acquisterebbero non solo un maggior valore artistico, ma anche una maggiore vivezza e un maggior interesse narrativo.

CLAUDIO VARESE
CINEMA quindicinale di divulgazione cinematografica Anno III n. 1 - dicembre 1950

Pian delle Stelle, Giorgio Ferroni, 1946
Golden Salamamier (La Salamandra d'oro), Ronald Neame, 1950
Au royaume des cieux (Nel regno dei cieli), Julien Duvivier, 1949
La cage aux filles (Le minorenni), Maurice Cloche,1949
Valahol Europaban (E' accaduto in Europa), Géza von Radványi, 1942
Donne senza nome*, Géza von Radványi, 1950
Edge of Darkness (La bandiera sventola ancora), Lewis Milestone, 1943
Sirena, Karel Stekly, 1947
 I fuorilegge, di Aldo Vergano, 1950
Pinky (Pinky la negra bianca), Elia Kazan, 1949
The Long Voyage Home (Lungo viaggio di ritorno), John Ford, 1940
Unfaithfullly Yours (Infedelmente tua), Preston Sturges, 1949 
La bellezza del diavolo (La Beauté du diable), René Clair, 1950
 
* Sceneggiatore, tra gli altri, Corrado Alvaro


In apertura La cage aux filles (Le minorenni); di seguito Edge of Darkness (La bandiera sventola ancora) di Lewis Milestone e Linda Darnell e Rex Harrison in Unfaithfullly Yours (Infedelmente tua)































domenica 29 novembre 2020

A poem of inspiration by Hiroshi Shimizu

The pine tree looks more dignified after enduring snows and storms.
No one tells of good and evil when he is unsure of it.
All can be done if you try, and none can be done if you don't.
Water obeys its container, yet it can penetrate rocks.
Though the mountain is high, there is always a way to climb.
 
Neve e tempeste rendono il pino più dignitoso.
Non discutere del bene e del male quando non si è sicuri.
Tutto può essere fatto se ci provi e nulla può essere fatto se non ci provi.
L’acqua obbedisce al suo contenitore, eppure piò perforare la roccia.
Anche se la montagna è troppo alta c’è un modo per arrivare in cima.
Hiroshi ShimizuMikaheri No Tou (Introspection Tower), 1941


giovedì 26 novembre 2020

Sentimentale! Umano! Commovente!



Tratto dal romanzo omonimo di Luciana Peverelli, Violette nei capelli ha conservato tutta la fresca e tenere poesia che il titolo stesso promette. Mai più forseci sarà dato di vedere in uno stesso film un complesso così completo di gioventù, di grazia e di talento come è quello rappresentato da Lilia Silvi, Irasema Dilian e Carla del Poggio, le tre attrici più giovani e più celebri del nostro Cinema, tanto diverse per temperamento e personalità artistica, ma così vicine al cuore del pubblico che ha già imparato ad apprezzarle ed amarle! A questo trio di freschezza,
vanno aggiunti nomi non meno simpatici e cari come Roberto Villa, Carlo Campanini, Aristide Baghetti, Enzo Biliotti, la Giglio ecc. che completano degnamente la indovinata distribuzione artistica del film. Non bisogna dimenticare anche una brillante macchietta di Steno che fa una fugace per quanto divertente apparizione, oltre che l'Aiuto Regista del film insieme a Cattozzo*.
Violette nei capelli ha tutti i caratteri per essere veramente il successo dell'annata cinematografica: scene comiche e brillanti si alternano a quelle sentimentali e toccanti, di profonda umanità e sensibilità.
Dalla prima inquadratura, che ci presenta una stranissima situazione di Lilia Silvi, al finale, nuovo e commovente, lo spettatore è avvinto e interessato come poche volte lo è stato e lo sarà.
Il film è ora già montato e nei prossimi giorni passerà in programmazione nei principali cinema per la distribuzione della «Lux Film».
CINE-NOSTRO NOTIZIARIO DELLA FONO ROMA ANNO I  N.1 GENNAIO 1942-XX

Nelle immagini: al centro Irasema Dilian, Carla Del Poggio e Lilia Silvi, di seguito la sola Silvi. In apertura le tre attrici e Roberto Villa.

Violette nei capelli è un film di Carlo Ludovico Bragaglia; al film presero parte i futuri registi Stefano Vanzina, alias Steno e Marino Girolami ed il futuro montatore, nonché inventore di una diffusissima giuntatrice, Leo Catozzo (*altrove Cattozzo).