giovedì 2 aprile 2020

Giudici, gambe & morale


 UNA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI ROMA
Le gambe di Sophia Laren
non offendono la morale
Una interessante udienza con esibizioni di fotografie
riproducenti donne nude di ogni tempo

Roma, 15 febbraio
La quarta sezione del Tribunale di Roma ha stabilito con regolare sentenza che le gambe di Sofia Loren non sono immorali.
Questa notizia consolante ha ripagato della delusione provata l’enorme folla che gremiva questa mattina, per la seconda volta, i corridoi e l’aula della sezione dove si è svolto il processo a carico del giornalista Gualtiero Iacopetti, direttore del giornale «Cronaca», imputato di avere pubblicato una foto riproducente le famose gambe in questione.
Delusione perché la folla attendeva di vedere in Tribunale la «Sofia Nazionale» in carne ed ossa, ma né la bella attrice napoletana, né il fotografo Domenico Esposito (autore della foto incriminata), citati come testi in difesa dell’imputato stesso Iacopetti si sono presentati in aula.
Il Tribunale ha pregato la difesa dell’imputato a rinunciare alle testimonianze sia dell’attrice che del fotografo.
Il P. M. non ha avuto nulla da eccepire ed è caduta così la multa di lire 10.000 che nella precedente udienza il Tribunale aveva inflitto alla bella attrice in udienza.
Prima che prendesse la parola il P. M., l'avv. Cesare D'Angeloantonio difensore dell’imputato ha esibito al Tribunale una serie di fotografie di belle donne riprese in audacissimi costumi, ben più provocanti di quella incriminata.
Fra la delusione dell'immensa folla che aveva atteso per oltre quattro ore, il P. M., affermando che la fotografia di Sofia Loren era sul confine fra il lecito e l’indecoroso, degradando la imputazione elevata contro lo Iacopetti da pubblicazione di foto oscene offendenti la morale in quella di pubblicazione di foto offensive della licenza, ne chiedeva la condanna ad un’ammenda di ottanta mila lire ma non per le riprodotte gambe di Sofia Loren, bensì per il nudo di un’artista straniero a pagina 40 del numero incriminato.
 L'avv. D'Angeloantonio ironico e brioso, vivace e frizzante, facendo un po' la storia del senso di pudore di epoca in epoca, di paese in paese, di mentalità in mentalità, e mostrando al tribunale una specie di album entro il quale erano raccolte quantità di nudi ben più provocanti di quella in contestazione, nudi pubblicati in Italia o circolanti in Italia per i quali nessuno si era mai sognato di elevare imputazione o lamentela qualsiasi, ha chiesto al Tribunale, se proprio non poteva assolvere l’imputato, l’applicazione del minimo dell'ammenda. Il Tribunale ha condannato lo Iacopetti all'ammenda di lire ottantamila, la confisca del numero nel erano stampate le foto cui aveva accennato il P. M. e la pubblicazione della sentenza in un numero di «Cronaca». 
GAZZETTA DEL SUD 3 febbraio


mercoledì 1 aprile 2020

HONEY BOY


You know, a seed has to totally destroy itself to become a flower.
That's a violent act, honey boy.

Un seme si deve autodistreggere totalmente per diventare un fiore.
E' un atto violento, orsacchiotto
Shia LaBeouf, Honey Boy, 2019

lunedì 30 marzo 2020

A difference




It might be true that there are six billion people in the world and counting.
Nevertheless, what you do makes a difference.
It makes a difference, first of all, in material terms.
Makes a difference to other people and it sets an example.
In short, I think the message here is... that we should never simply write ourselves off... and see ourselves as the victim of various forces.
It's always our decision who we are.

Ci sono sei bilioni di persone nel mondo.
Eppure quel che fai fa una differenza.
Fa una differenza in termini materiali e per altra gente. Dà un esempio.
Il messaggio è che non dovremmo mai sottovalutarci … e vederci come vittime di varie forze.
Chi siamo è sempre una nostra decisione.
Richard Linklater, Walking Life, 2001

domenica 29 marzo 2020

Un leone a Culver City - Un director impegnato



Il caso di King Vidor indice di un sistema

Il caso di Vidor può servire a illustrare forse meglio di tanti altri - data la personalità del regista e l'indiscutibile fiducia che si doveva fin da allora avere in lui - l'implacabilità di un metodo ormai divenuto sistema: può infatti apparire curioso che l'autore di La grande parata abbia potuto dirigere subito dopo due film nettamente plateali e di assai relativo impegno: La Bohème (1926), ispirato a " La vie de Bohème " di Murger (in cui la Gish, Gilbert e la Adorée vestivano rispettivamente i panni di Mimi, Rodolfo e Musetta), un film tuttavia alla cui ambientazione non mancava un certo profumo; e Bardelys the Magnificent (Bardelys il Magnifico, 1926) da un romanzo di Sabatini, con John Gilbert e Eleanor Boardman, una volgare e  poco convinta replica dei film di Douglas Fairbanks, assolutamente indegna della firma del regista. Ma basta osservare ad esempio con attenzione un "si gira" di La Bohème  in cui il giovane Thalberg, a braccia conserte, " controlla " affettuosamente la ripresa di un primo piano della protagonista (Vidor è il secondo da sinistra), per rendersi conto dell'importanza acquisita in quegli anni dalla figura ormai determinante dell'executive producer. Solo con The Crowd (La folla, 1928), uno degli ultimi e più convincenti esempi di cinema muto, Vidor riuscirà a prendersi una netta rivincita sulla produzione in serie. La folla, film palesemente influenzato dai migliori prodotti del realismo psicologico tedesco, narrava con spoglio vigore l'umile vicenda di una coppia di sposi (James Murray e Eleanor Boardman), soffocati dal bisogno e incapaci di elevarsi al disopra dell'anonima marea di gente che popola la grande città: l'ingenuità di certi sviluppi e la schematica struttura dello scenario (avvilito per giunta da un posticcio quanto detestabile " happy end ") venivano tuttavia riscattate dalla toccante attualità del tema, dalla coraggiosa impostazione dei personaggi e degli ambienti costruiti e descritti con inusitata obiettività, e infine dal sapientissimo uso della macchina da presa. Nonostante l'accoglienza entusiasta della critica, il film ottenne un mediocre successo: il pubblico americano - distratto e volubile - pareva poco propenso a interessarsi di problemi umani e sociali che lo riguardavano direttamente e preferiva piuttosto evadere dalla realtà quotidiana attraverso le avventure impossibili, gli amori travolgenti e le "revues " in bicromia. E mentre i primi rintocchi della crisi (la cui dura realtà, le poco gradevoli immagini di La folla con il loro eloquente silenzio, mettevano straordinariamente a fuoco) venivano sopraffatti dal gracidare del " Vitaphone " e del " Movietone '', Vidor era costretto a tornare alle esperienze minori dirigendo Marion Davies in Patsy (1928) e Show People (Maschere di celluloide, 1928).(continua)
Fausto Montesanti
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10 NOVEMBRE 

In apertura King Vidor e Irving Thalberg osservano Lilian Gish sul set de La Bohème, di seguito James Murray e Eleanor Boardman in The Crowd

giovedì 26 marzo 2020

CONFIDENZE DI LUIGI COMENCINI


Il fenomeno del divismo
non ha raggiunto i registi
«La finestra sul luna park» l’ultimo film da lui diretto - Esordì
con documentari, uno dei quali gli procurò il «Nastro d'argento»
Roma, febbraio
QUANDO Comencini non è dietro la macchina da presa e non lavora alla sceneggiatura di un film o alla moviola in una sala di montaggio, è materialmente impossibile trovarlo. Inutile telefonargli a casa. Risponderanno che non c'è e che non sanno quando ritorna. E se qualcuno si illude di incontrarlo in via Veneto o nei salotti mondani della capitale, perde inutilmente il suo tempo. La verità è che questo regista tanto dinamico ed eclettico ha sempre qualcosa cui pensare. Se talvolta egli si concede brevi pause di riposo in compagnia di amici, non si mette mali come suol dirsi, in vetrina, ma trova il modo di isolarsi, stando lontano dai soliti pettegolezzi sul mondo cinematografico.
Per parlargli è stato necessario andarlo a scovare nella sala di uno stabilimento, dove seguiva il lavoro di sincronizzazione di «La finestra sul luna park», il tuo ultimo film con Giulio Rubini, Gastone Renzelli, Pierre Trabaud ed altri. Dapprima. Comencini non voleva saperne di concedere interviste, anche perché - come egli dice - il tentacolare divismo dei nostri giorni per fortuna non ho ancora raggiunto i registi, e quindi il miglior modo per stabilire un confidenziale colloquio col pubblico o pur sempre rappresentato dai loro film. Tuttavia le parole sono un pò come le ciliegie. Una tira l'altra.
L'ormai celebre regista di «Pane, amore e... fantasia» e «Pane,` amore e... gelosia», sul cui esito positivo è superfluo dilungarsi in quanto gli stessi film hanno battuto il record degli incassi, toccando rispettivamente l’iperbolica cifra di circa un miliardo e mezzo -- ha vissuto per molti anni a Parigi dove si laureò in architettura. Egli confessa però che fin dagli anni del liceo aveva cominciato ad interessarsi attivamente di cinema, sognando di dedicarsi alla regia. Un sogno piuttosto singolare ed ambizioso, ma destinato comunque a realizzarsi. Prima di affrontare la macchina da presa, Comencini si dimenticò di essere architetto e svolse altre attività: tra l'altro fece anche il giornalista, come inviato speciale e fotoreporter dei settimanale «Tempo».
Esordi quindi con alcuni documentari, il primo dei quali gli valse un «Nastro d'argento» nel 1946. E dai documentari ai film il passo è -relativamente breve. Due anni dopo, infatti, egli diresse «Proibito rubare», cui seguirono «Persiane chiuse». I due film con la Bersagliera ed il maresciallo Carotenuto, e «La bella di Roma», fino a «La finestra sul luna Park», la sua ultima  fatica che ora il regista definisce una storia in chiave romantica fatta di amore e di vicende profondamente umane tra gente umile, non priva di momenti umoristici e guai.
Convinto che è un errore distinguere a priori il genere dei films in «drammatico», «comico» o «sentimentale», in quanto uno stesso racconto cinematografico può contenere, alternandole, le caratteristiche di ognuna di queste definizioni. Comencini dice tra l'altro: «Credo che per realizzare dei buoni film, atti a suscitare l’emozione e la commossa, o divertita curiosità del pubblico, bisogna tendere alla narrazione di fatti che appartengono un pò alla vita di tutti i giorni. Ma occorre anche inserirsi, specie per quanto riguarda il nostro pubblico, nel costume tipicamente italiano, in modo che lo spettatore possa riconoscersi in certi personaggi. Questi miei intendimenti sono validi soprattutto per la «Finestra sul luna park» che ritengo sia il mio film migliore e più impegnativo, anche perché non mi sono valso di interpreti dai nomi molto celebri e altisonanti, ma ho cercato di mettere a fuoco il carattere dei singoli personaggi ed i motivi umani che ne informano la storia commovente e suggestiva...».
Di fronte all'imperversare di soggetti cinematografici impostati sull'eterno richiamo del sex-appeal, questa volta Comencini ha ritratto una vicenda estremamente semplice, «pulita», che ha una sua implicita morale.
«Protagonista di questo dramma a lieto fine - dice il regista - è un bambino di sette anni. Sua madre, Ada, muore in un incidente stradale. Era la moglie di Aldo, un operaio che da anni lavora all'estero. Tornato a casa. per i funerali, egli non riesce ad accattivarsi la simpatia del piccolo Mario, suo figlio, il quale si mostra. invece affezionato ad un certo Righetto, che dorme nel magazzino e fa un pò tutti i mestieri. Convinto di essere stato sempre un buon padre, Aldo ora sta per ripartire, ma prima intende mettere in un orfanatrofio il bambino. Questi però confessa a Righetto che scapperà di casa se il padre persisterà nella sua idea. Nel frattempo la gelosia di Aldo per Righetto, che gode tutto l'affetto di suo figlio, sfocia in una scena violenta, alimentata dal dubbio che tra quest'uomo e sua moglie vi sia stato qualcosa di poco chiaro. Ma tale sospetto scompare subito, per evidenti ragioni. Ora però, di fronte alla minacciata fuga del bambino, Righetto affronta coraggiosamente il padre. Gli fa intendere che anziché rinchiudere Mario in collegio, deve stargli vicino e guadagnarsene l'affetto. Gli confessa inoltre che tra lui e la donna scomparsa vi era semplicemente della simpatia, per il fatto che si occupavano in due dello stesso bambino. La aveva aiutata, come un devoto servitore alleviandone le preoccupazioni e la solitudine. Così «La finestra sul luna park» si conclude felicemente: il padre si rende conto che non è troppo tardi per riconquistare l’affetto del figlio.
Quando parla del suo lavoro, il regista Comencini sembra vivere in un altro mondo. Per lui esiste soltanto quella determinata vicenda e quei personaggi di cui parla con tanto calore e convinzione come se fossero reali. Ne descrive talvolta anche le più riposte sfumature e, ciò che più importa, li rende credibili a tutti gli effetti. Attualmente tra i suoi progetti c'è un film tratto da due racconti di Moravia, che sarà interpretato da Anna Magnani. Appena si trova alle prese con un nuovo film che intende realizzare, egli corregge e rifà più volte la sceneggiatura. Nulla e nessuno potrebbero mai distoglierlo da questo suo lavoro. Poi tutto questo tormento creativo esplode con il primo giro di manovella. Allora Comencini riprende la sua calma l’abituale buon umore che lo distingue. Ogni singolo fotogramma prima ancora che sulla pellicola della macchina da presa è ormai fissato sullo schermo della sua estrosa e poetica fantasia.
Piero Pressenda
GAZZETTA DEL SUD, 28 febbraio 1957

In apertura Luigi Comencini ed Eleonora Rossi Drago sul set di Persiane chiuse del 1951

mercoledì 25 marzo 2020

Directed by De Sica


Vittorio De Sica, Caccia alla volpe (After the fox), 1966

lunedì 23 marzo 2020

Vincent Price a Messina





Messina, Arena Savio, summer 1985