domenica 27 ottobre 2019

Smile, Zain



01:56:14,537
Look ahead.
Guarda avanti.



01:56:18,124

Smile.
Sorridi.


01:56:21,211
Smile, Zain.
Sorridi, Zain.


01:56:22,253

It's a passport photo, not a death certificate!
È una foto tessera, non un certificato di morte!



NADINE LABAKIکفرناحوم‎, Capharnaüm , 2018

giovedì 17 ottobre 2019

Un leone a Culver City


IL LEONE RUGGENTE HA TRENT'ANNI
I FILISTEI DI CULVER CITY
HANNO I LORO QUARTI DI NOBILTA'
di Fausto Montesanti

La Metro-Goldwyn-Mayer, della cui fondazione ricorre Quest'anno il trentesimo anniversario, può essere considerata ancor oggi uno dei pilastri fondamentali dell'industria cinematografica degli Stati Uniti d'America: la sua storia, inoltre, che si inserisce nella storia del cinema americano in un periodo particolare, può spesso apparirne anzitutto come una delle più tipiche manifestazioni, mentre la sua produzione può
in certi momenti assumere in pratica un ruolo determinante e quasi d'avanguardia nei confronti della evoluzione della produzione hollywoodiana, tanto da tradursi - a distanza di anni - in una funzione simbolicamente indicativa, sia nei suoi aspetti positivi come - e forse più ancora - in quelli negativi.
Nel vasto e multiforme panorama offerto dal pittoresco e avventuroso passato del cinema americano, la sigla della M. G. M. si colloca infatti, - a partire da un certo momento - con uno spicco di indiscutibile risonanza: il marchio del leone ruggente (creazione di Howard Dietz, oggi vice-presidente della "Loew’s Inc." e incaricato della organizzazione della pubblicità), si è ad esempio identificato, per lunghi
anni, nel prestigio artistico dei film di Vidor - da La grande parata ad Hallelujah! - e di Siostrom - da La lettera rossa a Il ventoe soprattutto in quello - più caro al grosso pubblico - di certi nomi, fra i più rappresentativi dello "Star System": dalla Garbo e Clark Gable, dalla Crawford a Spencer Tracy, da Jean Harlow a William Powell, da Laurel & Hardy ai Marx Brothers, da Lana Turner a Robert Taylor, da Ava Gardner a Gene Kelly, per citare solo i primi che il ricordo suggerisce.
Per tale complesso di motivi, prendendo lo spunto dalla storica ricorrenza, e seguendo l'esempio di alcune fra le più autorevoli pubblicazioni estere (dall'americano Films in Review all'inglese Sight and Sound, che in tale occasione hanno dedicato all'argomento numerose pagine), abbiamo creduto interessante e per certi aspetti curioso raccogliere una serie di immagini attraverso le quali sia agevole, anche ai più giovani fra i tettori, ricostruire in maniera il più possibile esauriente l'evoluzione tecnico-artistica da una parte, e industriale dall'altra, di una casa le cui vicende costituiscono - specie a cavallo fra il muto e il sonoro - uno fra i più significativi capitoli della storia del film negli Stati Uniti d'America e che comunque fornisce sempre - anche con quei film giudicati minori in senso assoluto - un apporto considerevole a una storia del cinema concepita sul piano del costume. (CONTINUA)
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10 NOVEMBRE 

mercoledì 16 ottobre 2019

KIM

"Vittorio Storaro, Tonino Delli Colli, Franco Di Giacomo, Alfio Contini e altri eccellenti operatori italiani degli ultimi anni hanno fornito al nostro cinema una loro certa immagine, spessissimo in film montati da Kim (e musicati da Morricone)".


Franco Kim Arcalli
1929 - 1978

(Kim) era affascinante, carico del suo passato, affascinante e reale. Tinto Brass director

Quando (Kim) è morto mi sono sentito come un bambino che ancora non cammina, e viene sostenuto dalle mani degli adulti, che è improvvisamente privato di quelle mani sotto le ascelle. Bernardo Bertolucci director.

Credo che proprio lui (Kim) mi abbia fatto il complimento forse più bello che io abbia mai ricevuto. Sì, il complimento più bello l'ho ricevuto da Kim; e non lo ripeto, perché non voglio esibire . . . sarebbe un atto di presunzione, o di vanità, ma invece era una cosa che proprio lui mi ha detto e che direi ha approfondito il nostro rapporto; perché voleva dire che mentre io capivo lui lui capiva me fino in fondo, e questo
è importante nel lavoro. Michelangelo Antonioni director

Direi che il perno centrale del film (C’era una volta in America) è di Kim, ed è un’idea ammirevole, e che assomiglia molto a Kim, perché Kim era anche questo. Enrico Medioli screenwriter.
Kim Arcalli: montare il cinema a cura di Marco GiustiEnrico Ghezzi, Marsilio Editori, 1980
Immagini da Chi lavora è perduto - In capo al mondo di Tinto Brass, 1963


 Enrico Ghezzi:


lunedì 14 ottobre 2019

Олекса́ндр Петро́вич Довже́нко


" Per riuscire a commuovere e a sconvolgere, bisogna essere commossi e sconvolti. Per portare la gioia e la luce, agli altri, bisogna portare la luce nel proprio cuore e saperla tenere alta."

"L'aspetto più attraente e più specifico del cinema è il fatto che può trasportare lo spettatore, per mezzo della vista e degli altri sensi, in qualsiasi direzione dello spazio e del tempo".

“Non dobbiamo trattare il tema dell’uomo ordinario come un tema ordinario. Un film in cui non si fanno vibrare i sentimenti umani è come un pianeta senz'atmosfera. E’ come dice il proverbio cinese: Un guerriero con i suoi difetti è un guerriero, ma un moscerino senza difetti non è che un moscerino”.

Alexander Dovzhenko : Poet As Filmmaker: Selected Writings

domenica 13 ottobre 2019

Ardimentosa poesia


film SETTIMANALE DI CINEMATOGRAFO TEATRO E RADIO ANNO V - N. 6  7 FEBBRAIO 1942 

giovedì 10 ottobre 2019

The Evolution of the Western Movie from 1899 to 1954 pt. 2



Nei primi trent'anni si poteva contare, per questa categoria minore, su una media annua di 156 western in serie: 8 o più per ogni casa di produzione (ad eccezione della Metro Goldwyn Mayer che terminò la serie di Tim McCoy poco prima dell'avvento del sonoro. In questo periodo, verso il 1930, si ritirarono da questa speciale produzione anche i fratelli Warner - che avevano ottenuta una certa notorietà con le serie di John Wayne e, più tardi, di Dick Foran - ma tale assenza fu appena avvertita nel complesso dei western B, che erano ancora un affare: venivano a costare dai dieci ai ventimila dollari e si portavano a termine in meno di una settimana. I western musicali di Gene Autry per la Republic fecero la fortuna di questa casa di produzione.
Nel 1940, i western si potevano dividere in due categorie ben distinte: da una parte quelli grandiosi, che si elevavano ad espressione epica e non avevano un ritmo regolare di produzione: i colossi come Stagecoach e Dodge City; dall'altra, puntualmente, i modesti filmetti a buon mercato di cinque bobine, che avevano come protagonisti Buck Jones, Tim McCoy, Johnny Mack Brown, Tom Tyler, George O'Brien, Tom Keene, Charles Starrett, Tim Holt, Gene Autry, Roy Rogers, Bill Elliot, Tex Ritter, Buster Crabbe. William Boyd, John Wayne, Ken Maynard, Bob Steele, Bob Baker, Ray Corrigan, Robert Livingston ed altri ancora - forse il più grande schieramento, che si sia mai verificato nella storia del cinema, di attori veramente importanti che abbiano lavorato tutti nello stesso tempo. Molti di questi ottimi attori, superstiti delle avventure selvagge del cinema muto, erano però ormai prossimi al ritiro dallo schermo e vennero sostituiti da nuovi interpreti come John Kimbrough, Eddie Dean, Lash LaRue e Whip Wilson che tentarono di inserirsi nella tradizione classica dei loro predecessori e lasciarono di sé un ricordo senza infamia, ma anche senza lode.
Dieci anni dopo, nel 1950, il principio della fine s'avvertiva già nell'aria. Ormai la produzione dei western di categoria B non dava più quel margine di sicurezza come nel passato. Molte serie erano state perciò eliminate e quelle che ancora resistevano sul mercato diminuivano la loro percentuale annua da otto a sei per casa cinematografica. Quasi tutti i mancati guadagni, riscontrati in questi ultimi anni nell'industria del cinema sono stati attribuiti alla maligna influenza della televisione e dell'eccessivo costo di produzione. Di solito, panico e isterismo hanno esagerato tali supposizioni, ma nel caso dei western di seconda categoria non si può dire, in coscienza, che tali accuse fossero ingiustificate, specialmente per quanto riguarda il fattore economico. L'aumento del costo di produzione, riferito ai western B è una realtà: la media di 15.000 dollari per film durante i primi trent'anni, è salita di recente a 50.000 dollari. E per restare in questa cifra si rende necessaria una rigorosa economia: il film dev'essere realizzato in uno spazio di tempo ancor più limitato e bisogna rinunciare alle dislocazioni – per gli esterni - troppo dispendiose, alle costosissime controfigure per le acrobazie pericolose, alle scene di masse. Tutt'al più, quando non se ne può fare a meno, s'inserisce per taluni di maggior risalto qualche pezzo d'un vecchio film. Come risultato di tutte queste economie si ottiene un westen che ha un aspetto familiare di cose viste e manca di quella corposità, vivacità o irruenza, di quell'impressione di ampio respiro che avevano invece i western, se pure a buon mercato, di dieci o quindici anni or sono. La R.K.0., con le sue serie di Tim Holt, è stata l'unica che per un certo periodo di tempo abbia insistito, nonostante l'aumento del costo, su una produzione che conservasse i valori, o almeno la solidità commerciale d'una volta. Ma, malgrado le relative forti spese, alla resa dei conti, gli incassi non superavano affatto quelli dei film dello stesso genere, prodotti da altre società cinematografiche. Un “sessanta minuti " di Tim Holt costava 90 mila dollari e rendeva come i western della Monogram o della Republic, che costavano la metà, e che pur erano considerati già un rischio. I western della R.K.O. furono i primi allarmanti segni della crisi. (continua)
WILLIAM K. EVERSON
CINEMA quindicinale di divulgazione cinematografica Volume XII Terza serie  Anno VII 1954 10-25 Dicembre

In alto: a sinistra Dustin Farmum e Dick Lareno nella prima edizione di The Squaw Man (1913) di Cecil B. De Mille; a destra Elliot Dexter e Noash Berry nell.a seconda edizione del medesimo film (1918).

mercoledì 9 ottobre 2019

Form traces


Form traces the outline of the soul.
Le tracce della forma sono il contorno dell'anima.
Takashi KoizumiAmida-do dayori (Letter from the Mountain), 2002