Mimmo Addabbo - Lolli,Ubaldo Vinci, Gianni Parlagreco,Catalfamo,Fabris, Valentino,Margareci,Crimi,Fano e i Sigilli
venerdì 13 settembre 2019
giovedì 12 settembre 2019
Le prince et son âme
You'd think he's
contemplating his image at the bottom of the water.
Maybe it's not his
image.
Only those who are not
in love see their own reflection.
So what does he see?
He's contemplating his
soul.
Don't wake him, it
might take wing.
Go back, all of you.
Don't disturb him.
Si direbbe che egli contempli la sua immagine nel fondo dell'acqua.
Forse non è la sua immagine.
Colui che è "innamorato" non vede il proprio riflesso nell'acqua.
Allora cosa vede?
Contempla la sua Anima.
Non lo svegliate.
Ella potrebbe "svanire"
Nacer Khemir, Bab'Aziz - Le prince qui contemplait son âme, 2005
martedì 10 settembre 2019
Detective Thriller - The Private eye & the falcon
La
prima apparizione della figura del « private eye ›› nel cinema hollywoodiano
classico si ha proprio con la trascrizione cinematografica del romanzo forse
più famoso di Dashiell Hammett, «The Maltese Falcon».
Franco Ferrini, I GENERI CLASSICI DEL CINEMA
AMERICANO, BIANCO E NERO, 1974 Fascicolo ¾
Il film omonimo è di Roy Del Ruth, l'anno il 1931, il
«detective›› protagonista, Sam Spade, è interpretato da Ricardo Cortez. Il
fatto che il film sia dello stesso anno di Little
Caesar di Mervyn LeRoy ci dice che il film di «gangsters» e il «detective thriller»
sono fenomeni oltre che coevi complementari, riflessi di una stessa realtà turbolenta.
Ma mentre Little Caesar inaugura un
genere salutato dalla fortuna e dal successo fin dalla sua prima apparizione,
punto di partenza per uno sviluppo regolare e ininterrotto, il film di Roy Del
Ruth, pur disponendo di un inconfondibile marchio stilistico e iconografico,
non è che una specie di staffetta che precede di anni la piena affermazione e
il successivo sviluppo del genere ad esso legato.
La versione di Roy Del Ruth del romanzo di Hammett è
forse la più fedele al «plot» originario, imperniato sull'intricata e ossessiva
ricerca da parte di avventurieri (Joel Caino), collezionisti [Gutman), « femmes
fatales » [Brigid O'Shaughnessy),
investigatori privati [Sam Spade e il suo socio Miles Archer, una delle prime vittime),
poliziotti, « bad guys ››, della preziosa statuina del falco. L'abile messa in
scena di Roy Del Ruth non si lasciava sfuggire il « côté » più torbido ed
inquietante della vicenda, stando sempre a ridosso dei personaggi e assegnando
al rapporto tra Sam Spade e Brigid O'Shaughnessy, l'assassina di Miles Archer,
la giusta connotazione di una schermaglia erotica. L'equivoca figura del
panciuto collezionista, Gutman, dava risalto all’anti-intelletualismo cosi
tipico del cinema e dell’anima americani [si ricordi la collezione di objets d'art che introduce nel mondo perverso di Laura): il collezionista è la versione
feticistica, rapace e grifagna dell’esteta e dell’intellettuale.
Del
1936 è la seconda versione del romanzo di Hammett, Satan Met a Lady di Wlliam Dieterle.
Ma il « detective thriller ›› fa ufficialmente ingresso
nella storia delle forme cinematografiche con The Maltese Falcon (1941, Il
mistero del falco) di John Huston, terza versione del romanzo di Hammett,
con Humphrey Bogart nella parte di Sam Spade, il prototipo dell'« hard-boiled »
avvezzo alla violenza e al cinismo {« quando ti danno uno schiaffo te lo prendi
e ci prendi gusto ››) che si fa strada in mezzo a un gruppo di criminali
desiderosi di mettere le mani sull'uccello incastonato di pietre preziose.
Il
film è girato quasi per intero in interni, in ambienti in cui i personaggi si
sentono messi alle strette, sottoposti all'esercizio incessante di uno sguardo
beffardo e impietoso. Gaspar Gutman (Sidney Greenstreet] è il collezionista
pancione e effeminato, sardonico e canzonatorio come un
baronetto inglese. Brigid O'Shawghnessy (Mary Aistor)
«è l’ennesima reincarnazione della donna castratrice. Joel Cairo (Peter Lorre]
è l'untuoso e ricciuto assistente di Gutman, Elisha Cook jr. impersona Wilmer,
un bravaccio smidollato. John Huston da parte sua non fa che tessere attorno a
tutti questi personaggi un fitto rammendo di inquadrature che li catturano, li
giustappongono, li separano in un'aggrovigliatissima composizione in cui la
massima discontinuità del « decoupage ›› sembra accerchiare ed isolare i vari
figuranti in un 'senso generale di solitudine e di minaccia. C'è una scena in cui
Sam Spade viene interrogato dal Procuratore Distrettuale. Questi rassicura il
«detective ›› che .non ha nulla da temere, a patto che non abbia nulla da
nascondere. Spade risponde: « Tutti hanno qualcosa da nascondere ››. Questa
affermazione suona come una lapidaria epitome dell’universo del film, in cui
essere e apparire sono due cose completamente diverse, le identità personali
sono incerte e sfumano una nell'altra, le relazioni intersoggettive sono
caratterizzate dalla loro intrinseca doppiezza e perfino gli oggetti si
rivelano falsi [la stessa statuina del falco, la cui erranza di mano in
mano è costellata di morti, non è che una volgare imitazione dell’autentica
«rara avis ››). Brigid O'Shaughnessy si fa chiamare anche Wonderly e Le Blanc,
Joel Cairo esibisce passaporti svizzeri, francesi ed inglesi. Gutman acconsente
che Wilmer, il suo « protegé ››, venga usato come capro espiatorio. Brigid
tradisce Thursby, Archer e Spade. Questi tradisce Archer, Brigid e Gutman.
Archer andando a letto con la moglie di questi. Gutman facendo finta di essere
in possesso della statuina del falco, Brigid consegnandola al suo destino e
reprimendo ogni desiderio di aiutarla. Gutman ha parole di ammirazione per
Spade e gli tocca un ginocchio [« Lei è l'uomo che fa per me ››] mentre aspetta
che il narcotico somministratogli in un « drink ›» faccia effetto.
L'improbabilità del soggetto ha una chiara funzione
distanziatrice e metaforica essa non è che una beffarda e blasfema
secolarizzazione della ricerca del Santo Graal (del resto anche in Moby Dick,
John Hustoin darà prova dello stesso vigore ateo, identificando simbolicamente
la lotta con il Male con quella contro Dio: « Colpirei il sole se
osasse insultarmi! ›› dice Ahab; « Se
Dio avesse voluto farsi pesce, avrebbe scelto senz'altro di diventare la balena
›› dice un marinaio; « Volevo fosse chiaro che Moby Dick rappresenta l'impostura
assoluta di Dio, la sua crudeltà, la sua inumanità ›› ha dichiarato lo stesso
Huston). La qualità delle azioni compulsive dei personaggi di The Maltese Falcon ricorda l'ansia di
eroi spinti a raggiungere una certa meta, a ritornare in patria, a raggiungere
la Città Celeste, il cui timore di non raggiungere questa meta è ancora maggiore
della paura dei particolari orrori che incontrano sul loro cammino.
L'ostinazione, la consapevolezza, l’idealismo di Parsifal cedono
realisticamente il passo alla monomania, la rapacità e il cinismo dei
personaggi di The Maltese Falcon.
D'altronde l'oggetto della loro ricerca è la statuina di un uccello, il quale
nell'iconografia religiosa e nel folklore cristiano appare sempre come
depositario e interprete della superiore musica delle sfere e dei cori delle
gerarchie angeliche. « Salmisti di Dio ›› per Sant'Ambrogio, gli uccelli
ricompaiono nell'iconografia ispirata a San Francesco, e se il medioevale
Gonzalo de Berçeo ci presenta certi uccelli particolarmente colti in funzione di predicatori, anche la poesia rinascimentale
e barocca influenzata dal neoplatonismo, presenta infiniti travestimenti
cristiani del mito di Filomela. È con il romanticismo che questo dialogo
ornitologicoincomincia a spezzarsi: Keats e Shelley vorrebbero comprendere il
linguaggio dell'usignolo e dell'allodola, ma se ne sentono irrimediabilmente
esclusi. Non esiste più la possibilità della « natureingang ›, della fusione
fra il canto del poeta e quelllo degli uccelli, in un inno di riconoscenza al
Signore. L'archetipo dell'uccello ricompare nella versione neogotica del
Vampiro, in quella apocalittica di The
Birds di Alfred Hitchcock e, nel caso in questione, in quella dissacrante del falcone
maltese. Infatti nel filmdi John Huston le azioni dei vari personaggi non sono poste
né al servizio di qualche fine « superiore ››:né di qualche destino
provvidenziale. Essi sono « displaced persons ›› particolari, data la loro
alienazione da una meta verso la quale gravitano sempre e per la quale sono
costretti a creare un surrogato mondano e secolarizzato: il falco che
rappresenta simbolicamente anche la loro posizione nei confronti dell'organizzazione
sessuale [la statuina è il Fallo] e dell`organizzazione economica della società
[la statuina è il Denaro). La stessa « withdrawal of
affect ›› [ritirata dagli affetti), così tipica degli eroi edificanti, non è
qui che un tratto pervertito. ll parsifalismo cede il passo alla misoginia di
Sam Spade, che quando bacia Brigid le stringe la gola tra le mani. Né il film
stesso è esente da una certa misoginia: quando nel suo appartamento Spade si
china a baciare di nuovo la donna la macchina da presa si sposta in direzione
della finestra aperta da cui si intravede la figura minacciosa di Wilmer,
appostato per strada, associando così effusioni erotiche e pericolo. Il finale
del film, quando Brigid apprende da Spade
che l'aspetta la prigione e probabilmente la morte, non ha nulla di patetico,
né l'abbandono è doloroso. «Se gli ammazzano il socio uno deve pur fare
qualcosa » è la giustificazione del « detective ›› che soppianta
ogni regola cavalleresca in nome di una cinica etica professionale. E prima che
il cancello dell’ascensore si richiuda su di lei con le sue sbarre simili a
quelle di una cella, Spade non ha dubbi circa la propria capacità di auto-conservazione:
«Avrò qualche notte insonne, ma poi passerà». (continua)
lunedì 9 settembre 2019
The Almighty's accounts are out
One of the most rewarding screen experiences of our time.
Roger Ebert
That's the way it is.
All your life you
sweat, trying to educate children, sowing the seeds of knowledge in their
minds.
Then they go trotting
off to become judges and magistrates, leaving you like an ox yoked to the mill.
So on one level...
I'm proud of my
students, but I'm jealous too.
There's an injustice
in it somewhere.
The Almighty's
accounts are out of balance somewhere.
È così che va.
Una vita di fatica, cercando di educare i bambini, piantando il seme
della conoscenza nelle loro menti.
Poi loro se la svignano diventano giudici o magistrati, ti lasciano
come un bue legato al mulino.
E così via...
Sono orgoglioso dei miei allievi, ma sono anche invidioso.
C'è qualcosa di ingiusto in questo.
I conti dell'Onnipotente hanno un buco da qualche parte.
Satyajit Ray, Mahānagar (La Grande Città),1963
Haren Chatterjee as Priyogopal
giovedì 5 settembre 2019
LA CITTA' E LO SPAZIO in Vittorio De Sica - ontologia ed etica
Non vorremmo essere fraintesi.
L'ottica con cui abbiamo in queste pagine osservato parte dell'opera cinematografica
di De Sica non ha né la pretesa di porsi come l'unica possibile, né quella di
essere — per come l'abbiamo condotta —
esaustiva. Il lettore accorto noterà che più di una volta le singole
conclusioni cui siamo pervenuti coincidono con altre precedenti di diversa
metratura critica (e in questo senso abbiamo ritenuto opportuno non rilevare
bibliograficamente tali coincidenze di risultati, che però ci guardiamo bene
dal negare). L'unico bersaglio che ci eravamo proposti era, come si è detto in
apertura, quello di dimostrare il preponderante ruolo che la città e ii suo
spazio (o, se si vuole, Io spazio] giocano
nel cinema di De Sica, il modo in
cui queste componenti si organizzano e si presentano, ed insieme la sfiducia
che l'autore nutre nei loro confronti. Ci sembra ne sia uscita una piccola
ontologia dello spazio strutturata secondo alcune evidenti opposizioni (nonché
la immagine di un impegno tecnico spesso tutt'altro che casuale).
Un'ontologia che si configura,
però, anche come una sorta di etica: lo spazio infatti diviene in questo cinema
anche e soprattutto luogo morale, essenziale componente esplicativa delle linee
umane centrali del discorso, segnale di una condizione dolorosa e sofferta.
Certo, a parte la frammentarietà dell'analisi in sé, rimane da discutere
approfonditamente l’aspetto sociologico del problema, che del resto, come
abbiamo già detto più sopra, coinvolge un importante ulteriore problema — forse
il più importante — relativo alla natura e alla matrice culturale del
neorealismo cinematografico come fenomeno globale. Intanto, non è più possibile
a questo punto affermare con Bazin che “le néo-réalisme ne connait que
l'immanence “ e che in questo cinema (a dire il vero la frase riguarda UmbertoD.) e “le monde exterieur se
trouve réduit au réle d'accessoire de cette action pure et qui se suffit é
elle-méme " 17. Al
contrario, il mondo esterno — almeno in De Sica —è parte integrante e non
accessoria, riflesso preciso, spesso in modo dialettico, del mondo interiore
del personaggio. E quindi tutta una concezione del neorealismo come pura
fenomenologia va rivista criticamente.
Poi, come si è già detto, il
rapporto fra cultura urbana e cultura rurale sembra uscirne caratterizzato da
scelte di fondo pressoché inequivocabili. Scelte di cultura e di affetti che
lasciano trasparire una visione del mondo spesso alquanto diversa da quella che
in un primo tempo sembrava qualificare gran parte di quel cinema (si pensi — e
qui l'errore è macroscopico — alla definizione di Ladri di biciclette come “film comunista” data da Bazin 18).
Non vorremmo sembrare troppo audaci
accostando a queste scelte le pagine che Spengler ha dedicato al rapporto fra
città e campagna in “Il tramonto dell'occidente" 19. Si rileggano quelle parole e si veda come
per Io storico reazionario quel rapporto si ponga in termini di inevitabile
mutamento ed evoluzione, non per questo però per lui meno esecrabile.
L'ambiente urbano è l’ambiente dei traffici commerciali, dei profitti
mercantili e dell'usura; esso è a fondamento del mondo moderno, ma è anche la
negazione della natura, della spiritualità caratteristica delle culture rurali,
e il suo stesso trionfo ha in sé i germi della propria fine. A parte la visione
apocalittica conclusiva, non è difficile rilevare in questo tipo di pensiero
alcune analogie di fondo con il modo in cui “malgré soi” parecchio cinema
neorealista, ci ha presentato la campagna o il suo contrario, la città. Ma
ancora una volta dobbiamo fermarci qui, attendendo il giorno in cui uno studio del
neorealismo in questa chiave verrà tentato. E’ comunque certo che il cinema di
De Sica, particolarmente fecondo ai fini di un’analisi sulla città e sui
rapporti e i valori spaziali, sarà quel giorno punto di riferimento
imprescindibili. *
17 Cfr. André Bazin: -“Ou'est ce que le cinéma? “,
cit., pp. 76 e 89.
18 Ibid., p. 49.
19 Cfr. Oswald Spengler: “Il tramonto dell’occidente”.
Milano, Longanesi. 1970, pp. 796-825.
* Desideriamo esprimere qui la
nostra gratitudine alla Cineteca Nazionale e alla Cineteca del Comune di
Bologna per l‘aiuto e l’assistenza che ci hanno prestato nel reperimento e
nella visione dei film di Vittorio De Sica.
FINE
Franco
La Polla, BN
BIANCO NERO, MENSILE
DI STUDI SUL CINEMA E LO SPETTACOLO 9/12,
1975
martedì 3 settembre 2019
Detective Thriller - The Simple Art of Murder
Rivoluzionario
nello stile quanto nella scelta dell'ambiente e dei personaggi descritti, Hammett
figura oggi come uno dei maggiori scrittori della letteratura americana di quel
periodo. La sua preoccupazione maggiore era quella infatti di aderire nella
forma alla realtà del suo tempo, e mai in modo esteriore o naturalistico. Periodi ben calibrati, scene rifinite, solidi
capitoli che procedono deliberatamente, vanno bene per lo scrittore che dice al
suo lettore: Senti, queste cose sono avvenute, ora te le racconto. Non vanno
bene per colui che dice: Guarda ti sto mostrando quel che sta avvenendo. Questo
tipo di scrittore deve sapere come gli avvenimenti progrediscono, non come ci
se ne ricorda più tardi, ed è in questo modo che egli deve scriverli, affermava
nella sua comunicazione al Congresso degli scrittori americani. La scoperta del
colpevole passava in secondo piano e ogni storia, invece di rispondere alle
esigenze del « whodunit ››, mirava soprattutto a svelare le condizioni di possibilità
e i modi di apparizione del delitto, l’aspetto sinistro della lotta per la vita, in un mondo, come scriveva Raymond
Chandler, nella « Semplice arte del delitto», «in cui i gangsters possono
guidare le nazioni e almeno guidano le città, in cui gli alberghi e le case d'appartamenti e i ristoranti alla moda sono proprietà di uomini che hanno
fatto i loro quattrini con i bordelli, un mondo dove un giudice con una cantina
piene di liquore può mandare in galera un uomo perché ne aveva una bottiglia in
tasca, dove il sindaco della vostra città può aver condonato un omicidio come
un mezzo per far quattrini, dove non si può camminare con sicurezza in un
vicolo buio perché la legge e l'ordine sono cose di cui parliamo ma che ci
asteniamo dall'attuare, un mondo dove potete assistere a una rapina per strada
in pieno giorno e vedere chi l’ha compiuta, ma scomparirete subito dopo nella
folla invece che parlarne, perché il malvivente può avere amici con pistole
lunghe o la polizia può non gradire la vostra testimonianza, e in ogni caso
l'avvocato difensore sarà autorizzato a insultarvi e maltrattarvi in tribunale,
davanti a una giuria di scelti deficienti ». (continua)
Franco Ferrini, I GENERI CLASSICI DEL CINEMA
AMERICANO, BIANCO E NERO, 1974 Fascicolo ¾
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