lunedì 1 aprile 2019

LA CITTA' E LO SPAZIO in Vittorio De Sica - spazio aperto, spazio chiuso


L'umile, il povero, il reietto non partecipa della stratificazione storica e culturale della città: la storia della città borghese non è la sua. Suo è soltanto il numero nella sua asetticità, nella sua neutralità culturale. Ogni retorica è programmaticamente estranea alla città alternativa [“un luogo dove buongiorno vuole veramente dire buongiorno »...]; non c’è storia, tradizione, costume che la fondi, che stratifichi sul povero la polvere delle convenzioni {e si pensi, in questo senso, anche alla formidabile carica di estraneità del CoIosseo sullo sfondo della triste marcia del muratore scacciato con il suo materiale e le sue cose in II tetto. La bellezza non si misura sul terreno della funzionalità architettonica e della complessità estetica, ma sul fascino della giovinezza, della grazia, della purezza (la statua). Ma anche quello spazio mostra presto il suo risvolto. La città alternativa non si libera dal vizio delle regole sociali di classe; e se pure differenze reali di classe non sussistono, ne permangono però le sovrastrutture, le apparenze. Il conflitto stesso per la statua è una sorta di preannuncio della fine, cosi come l'arrivo della famiglia borghese con  tanto di domestica
[e non a caso Totò —- un vero e proprio Galahad del Graal della umiltà — si innamorerà di quest'ultima), o, ovviamente, la presenza del petrolio, un petrolio, però, che ha la stessa trasparenza dell'acqua, a sottolinearne il valore simbolico di elemento essenziale, naturale che esso ha per i semplici abitanti dell‘Anticittà. Ed è proprio alla natura che faranno ricorso i poliziotti di Mobbi mimetizzati con fili d'erba mentre avanzano sullo sfondo lontano, imponente e maligno della metropoli, chiamati dal sicofante Rappi, altro catalizzatore della sconfitta inevitabile della nuova comunità. L'unico, vero spazio alternativo allora è il cielo, l'infinito, il superamento totale, assoluto della dimensione stessa della città, lo spazio che soltanto la favola di Miracolo a Milano può elargire ai diseredati. Ma nel cinema di De Sica solo Miracolo a Milano impiega la dimensione della favola. E anche una città che tanto di favola potrebbe avere [sia pure nei termini corposi, sapidi, nervosi e gesticolanti che le sono propri], Napoli, rientra invece nel quadro dolente e sofferto, spesso tragico, che è la dominante del cinema di De Sica. La città di L‘oro di Napoli (1954) potrà anche assumere aspetti colorati, sgargianti — secondo una tradizione narrativa che va almeno da Mastriani a Marotta — ma la sua più sincera realtà è rinchiusa nei limiti angusti e profondissimi del dolore, dell'umiliazione. L‘episodio del “pazzariello” ne è ottimo esempio. In esso il dramma è giocato una volta ancora sull'opposizione fra spazio chiuso e spazio aperto, sulla perdita del proprio luogo che rivela la sostanza umana e morale dello spazio e, dall'altro lato, sull'apparenza gioiosa, festiva dello spazio esterno, lo spazio della città e della tradizione [sia pure una tradizione tutta partenopea] che è in realtà specchio perfetto della propria miseria e della propria sconfitta. Non c'è libertà, non c'è affrancamento dalla propria umiliazione nel pover’uomo bardato a festa più di quanta non ve ne sia fra le mura della sua casa usurpata. La sua festività è falsa come la sua remissione; anzi, essa “è” la sua remissione. E solo un rifiuto di essa potrà riscattarne la vergogna. Per non dire della complessa dialettica spaziale e — occorre ormai aggiungerlo? — psicologica e morale dell'episodio della prostituta. Da un Iato la strada, la città nel suo aspetto più triste e degradante, la vergogna, la miseria, l'abiezione, dall‘altro la casa sontuosa dell'aristocratico, lo spazio antitetico della salvezza, del riscatto, la promessa di un decoro, di un orgoglio che permetta di dimenticare. Ma i due spazi morali sono inconciliabili, il disegno dell'uomo si rivela per quello che è, un solco ancor più profondo tracciato fra i due: e la donna, che ha partecipato, conosciuto il superamento morale e umano dell'antitesi dopo averne vissuto fino in fondo il dramma, si ritrova al punto di partenza dopo un'ultima, finale umiliazione. In questo contesto la risoluzione non può essere altro che la morte dell'altra vita, o più specificamente, l'accettazione del disegno dell'uomo come superamento del limite stesso cui la vita della donna è giunta: insomma, una morte metaforica del vecchio “sé” per rinascere nell'odio come donna e non come prostituta 13. Ecco quindi che l’antitesi fra spazio aperto e spazio chiuso non si presenta secondo una precisa e limitante direzione univoca, ma articolata a sua volta secondo una piccola grammatica dei valori: Io spazio aperto e Io spazio chiuso di Sciuscià è evidente, non sono affatto comparabili, ma anzi sono direttamente antitetici, a quelli testé indicati in L’oro di Napoli. Da un Iato, infatti, sta lo spazio aperto in quanto spazio naturale, termine inconfondibile di libertà e umanità; dall‘altro, Io spazio aperto della città, Io spazio cioè della sconfitta e dell’umiliazione, della solitudine e dell'incomprensione, Io spazio della prostituta di L'oro di Napoli, delle peregrinazioni di Umberto D., del Ricci di Ladri di biciclette, della coppia di Il tetto. A sua volta lo spazio chiuso si articola secondo un'opposizione chiara e sofferta: Io spazio-salvezza della casa, del riscatto, il rifugio della propria vita (la camera di Umberto, la casa di Il tetto e quella di certi personaggi di L'oro di Napoli, ecc.) e Io spazio chiuso inteso come la dimensione della segregazione che non è solo la prigione di Sciuscià o il cellulare dello stesso film, di Miracolo a Milano, di Umberto D., ma anche la dimensione claustrofobica di certe strade, di certi portoni, delle istituzioni stesse della città-società. Serie di opposizioni che schematicamente si configura:

dove, naturalmente, i termini di spazio privato e spazio istituzionale si presentano volta a volta secondo una serie di varianti. Rispettivamente: camera, casa, ecc. e prigione, cellulare (ma anche spazio angusto, ristretto della città), ecc. (continua)
13 Per una breve ma profonda analisi dell'aspetto psicologico della scelta di Teresa cfr. André Bazin:  “Qu'est-ce que le cinéma? », cit., p. 11.

Franco La Polla, BN BIANCO NERO, MENSILE DI STUDI SUL CINEMA E LO SPETTACOLO 9/12, 1975


domenica 31 marzo 2019

Andrej Tarkovskij in Sicily



19 July, Taormina. Hotel San Domenico. 1980
In Sicily for the first time. I don't yet have any understanding of it. Catania is a gloomy town, with heavy, dirty buildings which have their own kind of air and their own visage.
The Hotel San Domenico in Taormina is in what was once a monastery. Huge corridors; sumptuous staircases; the rooms used to be cells. There's a garden and a view over the sea. The sea here is very clean.
I've seen Rondi, but haven't yet talked to him about the things I intend to discuss with him. Maybe tomorrow.
Marina, the interpreter, is improving. There is something new about her. I am tired, going to bed. Here until the 27th, when I fly to Rome in the morning.
Andrej Tarkovskij, The Diaries, 1970-1986

giovedì 28 marzo 2019

Detective Thriller - acting out

La rievocazione non era che un fenomeno intellettuale, una presa di coscienza del passato in quanto passato, e a poco a poco diveniva chiaro che la rimemorazione del materiale inconscio aveva minore importanza del discernere il contorno delle resistenze [cosi come nella «detective story ›› non conta tanto scoprire come si sono svolti i fatti criminosi ma rimuovere l'ostacolo frapposto ad un'ordinata e armoniosa convivenza sociale costituito dal colpevole). ln sede di tecnica analitica doveva diventare poi chiaro che la stessa rievocazione è in più di un caso sostituita da una vera e propria ripetizione della situazione traumatica anziché ricordarsi del passato il malato lo ripete traducendolo in atti (« acting out ››) beninteso senza riconoscerlo come ripetizione (questo meccanismo viene magistralmente illustrato in M di Fritz Lang, in cui il «mostro di Düsseldorf››, oppresso dagli impulsi malvagi di cui è preda, si lamenta in questo modo: « Voglio fuggire. Devo fuggire. Sono costretto a spostarmi in continuazione, strada dopo strada, e c'è sempre qualcuno dietro di me. E sono io, sono io che mi vengo dietro e non so come sfuggire a me stesso». Se nella tecnica analitica la strategia consiste «nell’evitare la ripetizione mirando all'eliminazione delle resistenze, nella «detective story » la manovra consiste nell’eliminare le resistenze mirando alla ripetizione [al primo delitto punibile succede il delitto impunibile, garantito non soltanto dalle istituzioni ma anche dalla convenzione implicita nel genere che vuole che fil «detective ›› non può compiere errori nell'individuazione del colpevole; ovvero, il delitto non paga, la diligente attenzione prestata al richiamo discreto di indizi, peste e motivazioni si, il che equivale a dire che il delitto ripetuto è premio a se stesso).
Il cinema Hollywoodiano classico non ha mai mancato di sottolineare i rapporti strettissimi tra paranoia e conoscenza, tra sapere e compulsione [cerimoniali autistici). Oltre alla figura del «detective ›› coinvolto nell’esercizio maniacale dell'investigazione [come afferma l'intellettuale- segugio dilettante di The Rope di Alfred Hitchcock, ogni « teoria››  viene da Satana] si ricordi quella dello scienziato pazzo o criminale del genere « horror » o « science-fiction ››. Ancora una volta si tratta di registrare una fondamentale ambivalenza.

Franco Ferrini, I GENERI CLASSICI DEL CINEMA AMERICANO, BIANCO E NERO, 1974 Fascicolo ¾ 

mercoledì 27 marzo 2019

Ancora Odette/Delia

Odette Bedogni e Ave Ninchi
Luigi Zampa, Anni difficili, 1948

Per qualche tempo il film portò anche il titolo Credere - Obbedire - Combattere, ne fu ostacolata anche la sua esportazione ritenendolo offensivo per il popolo italiano. Rivisto oggi appare come il prodotto di un dilettante dove nessun attore scopre la sua voce originale tranne il narratore che non appare mai. L'unico interesse è negli esterni della città di Messina dove ancora mostra i segni del bombardamento anglo-americano.

domenica 24 marzo 2019

Briguglio Film - Odette al bagno

 Un quintetto d`eccezione attorno al desco familiare: Milly Vitale, Umberto Spadaro, 
Ernesto Almirante, Odette Bedogni ed Ave Ninchi, Parla «papà Piscitello» 
ed a giudicare dalle espressioni di chi lo ascolta, la situazione sembra un po` grave.


Ma il tempo è...
galantuomo

La figlia di Piscitello sarà Odette Bedogni*, diciottenne acclamata ballerina della Scala, vivacissima, intelligentissima e, naturalmente, bellissima. Giudicherà, del resto, il pubblico, il quale avrà la fortuna di vederla in costume da bagno, fortuna che non è capitata ad Aldo Sgroi il quale il quale si è recato nella riviera, a bordo della lussuosa macchina del comm. Giovanni Reale con la scusa di arraffare le primizie cinematografiche già promesse a me, con il miraggio di vedere le scene di mare. Ha avuto le fotografie che potete qui ammirare anche voi, ma Odette al bagno non l'ha veduta perché, una volta tanto, il tempo si è mostrato galantuomo e non ha concesso vantaggi giornalistici a nessuno dei due, nè lui giovanissimo, né a me vecchio, risparmiando a lui illusioni a me rimpianti, e riservando, a voi lettori che avete maggior diritto, la delicata e gustosa primizia.

 “Un buon bagno ristoratore è quel che ci vuole”, 
sembra voler dire Massimo Girotti ad 
Umberto Spadaro che osserva con un certo scetticismo.

 FINE
N. S.
Nitto Scaglione
Gazzettino Peloritano  ARTISTICO MONDANO LETTERARIO APOLITICO  Anno 1  N. 2 Messina Domenica 26 Ottobre 1947

* Odette Bedogni (1929 - 2004) è meglio ricordata come Delia Scala.



mercoledì 20 marzo 2019

Hommage a Pasolini


Dans chaque image, on sent le trouble que Pasolini porte à I'écran en heurtant Ia conscience du spectateur. Ce qui scandalise, ce n'est pas l'obscénité, totalemem absente. Ce qui fan scandals, c'est plutôt la sincérité”.

In ogni immagine, possiamo sentire il fastidio che Pasolini ritrae sullo schermo colpendo la coscienza dello spettatore. Ciò che scandalizza non è l'oscenità, totalmente assente. Ciò che fa scandalizzare  è piuttosto la sua sincerità”.

Jean Renoir sur Théorème, Venise 1968

martedì 19 marzo 2019

LA CITTA' E LO SPAZIO in Vittorio De Sica - Spazio alternativo

E dunque, la città dell'umile non è quella del ricco. Essa va conquistata metro per metro: lo dimostrano bene le sequenze al Prenestino di Il tetto. Ma non -— e qui è un punto importante — per assimilarvisi supinamente, bensì perché nella conquista dello spazio si esplichi un' essenziaIe creatività alternativa. Il tetto abbonda di panoramiche verticali ad indicare il tema fondamentale della costruzione [del resto necessariamente presente in un film che, dopo tutto, narra della vita di un muratore — e, detto per inciso, in questo senso il film e una piccola lezione sul concetto marxiano di alienazione]. E’ la storia dello spazio dell'umile, del suo fondamentale diritto ad esso in opposizione alla struttura capitalistica della città. E’ la storia della ricerca e della costruzione dello spazio essenziale alla propria vita, al di là delle intenzioni stesse di uniformarsi a un modello sociale stabilito 10 {qui chiaramente indicato dal matrimonio, anche se non va dimenticato che in questo caso l'istituzione stesse viene problematizzata, negata dalla realtà sociale ed economica della società: non per nulla il padre della ragazza si oppone a un matrimonio fondato sul semplice sentimento e non garantito da una sicurezza economica iniziale]. Ciò appare ancor più chiaro in Miracolo a Milano, nel quale lo spazio alternativo compare a dimensioni d'affresco: un‘intera città viene eretta dai reietti della metropoli. E non per nulla essa viene eretta ai margini di questa. Quello, insomma, che costituiva la comunità caotica dei barboni come luogo di emarginazione diventa lo spazio altro da opporre alla città. Ogni rapporto, anzi, con lo spazio si configura in termini di alterità: si pensi alla scena in cui Totò apre per un bambino una porta dietro la quale non c'è nulla. La porta sembra la fragile, assurda linea divisoria di uno spazio vuoto. ln realtà quello che poteva essere un  gag  da film muto americano acquista un suo preciso senso simbolico: virtualmente la città alternativa è già costruita, Totò col suo gesto l‘ha già istituita, fondata,  ideata per i suoi compagni. Perché essa è la città della fantasia, e basta un gesto nello spazio vuoto per evocarla dal nulla. La fantasia, follia del povero, diventa realtà nel momento della sua costituzione 11. Certo, i gesti sono simili, ma il sistema non può essere lo stesso: ogni luogo della città alternativa e un fatto culturale, indicato da un numero. Attraverso il numero i bambini imparano, è vero, ma al tempo stesso esso indica l'assenza — o forse il rifiuto? — non tanto dello spazio della città tradizionale e distaccata, ma piuttosto di una tradizione, di una storia » 12. (continua)

10 E’.  indicativo che l’unico luogo, l'unica casa (sia pur temporanea) che la coppia trova disponibile si presenti nell‘ambito di un ritorno al paese natale della ragazza: si tratta, naturalmente, della casa della propria infanzia, e non a caso li riceve la madre cui, psicoanaliticamente, sempre si indirizza questo ritorno. Cfr. Gaston Bachelard: ”La terre et les réveries du repos), Paris. Corti, 1971, pp. 120-22.
11 Come scrive molto bene Bachelard, “La maison vécue n'est pas une boite inerte. L'espace habité transcende l’espace géométrique”  e ancora, “La maison, plus encore que le paysage, est un état d'ame"». Cfr. Gaston Bachelard: “La poétique de |‘espace “, Paris. Presses Universitaires de France. 1974. pp. 58 e 77.
12 La cosa assume addirittura dei risvolti mitologici se si pensa alle parole di Eliade: “Un’era nuova’ si apre con la costruzione di ciascuna casa: ogni costruzione è un inizio assoluto, cioè tende a restaurare l’istante iniziale, la pienezza di un presente che non contiene nessuna traccia di storia”, e ancora, “una costruzione è una nuova organizzazione del mondo e della vita”. Cfr. Mircea Eliade: “Il mito dell'eterno ritorno”, Torino, Borla, 1968, pp. 104 e 105.
Franco La Polla, BN BIANCO NERO, MENSILE DI STUDI SUL CINEMA E LO SPETTACOLO 9/12, 1975