mercoledì 3 febbraio 2016

Fuori catalogo 1969-1970. Western adìos






Sergio Leone sta pensando di dare l'addio ai western-spaghetti: «Vorrei fare qualcosa di più intimista», confida, «Non so, potrei portare sui grande schermo Voyage au bout de la nuit, di Céline.Intanto continua a cercare soldi per il suo attesissimo C'era una volta I'America, la storia di quarant'anni di vita americana attraverso le avventure di quattro gangster: «Mi mancano ancora un pò di capitali, per il momento sono in panno, ma ne uscirò». A consolarlo, sono le notizie dalla Tour Eiffel: i francesi impazziscono per lui. A Parigi quest'anno, anche con il caldo, fanno la coda per assistere alle retrospettive dei  suoi film. Quelli western-spaghetti, ovvio.

martedì 2 febbraio 2016

Tavola rotonda a Locri

La realtà calabrese
è spesso
deformata dal cinema

Dal corrispondente
Aristide Bava

SIDERNO - La tavola rotonda organizzata a Locri dall'<<Associazione culturale jonica» per fare il punto sulla
prima rassegna cinematografica che si sta svolgendo nella zona jonica meridionale, è stata preceduta -come annunciato -  da una breve conferenza stampa del regista Nino Russo, autore del film «Il giorno dell'Assunta››, che avrebbe dovuto essere proiettato in anteprima nazionale ad inaugurazione della rassegna. Il regista ha spiegato che la proiezione del film non è stata permessa dalla Italnoleggio - casa di distribuzione del film - perché avrebbe potuto poi provocare danni economici per il normale sfruttamento del soggetto nel circuito nazionale. Almeno questa sarebbe la motivazione ufficiale.
Subito dopo il saluto di Domenico Speziale, sindaco di Locri, con una relazione di Ferdinando Bruno è cominciata la tavola rotonda sul tema: «Cinema e società in Calabria». A dire il vero, Bruno, nella sua relazione, si è occupato più del lato tecnico cinematografico inquadrato nel contesto nazionale che nel
cinema calabrese o della Calabria vista dal cinema. Un aspetto che in certo senso contrasta con le intenzioni degli organizzatori e che, in ogni caso non ha impedito lo sviluppo di un approfondito dibattito.
In effetti, più che ad una tavola rotonda si è assistito appunto a un dibattito con qualche accenno critico all’organizzazione e a qualche spunto polemico verso la politica meridionalistica del passato e anche del momento attuale (si è accennato al quinto centro siderurgico).
Il discorso si è anche spostato alla letteratura calabrese per merito soprattutto del critico Walter Pedullà che in riferimento a una specifica domanda su quanto possono dare i calabresi al cinema nazionale, ha inteso vedere specificatamente in due autori, vale a dire Vincenzo Guerrazzi, con il «Nord e Sud uniti» e <<La fabbrica del sogno» e quindi Vincenzo Bonazza, con <<L'emigrante>›, validi esponenti della cosiddetta «letteratura selvaggia».
Alcune puntualizzazioni ha poi fatto il sen. Sisinio Zito che ha inteso dare anche una giustificazione a qualche carenza organizzativa che certamente non si verificherà - è questo l'augurio - negli anni a venire.
Ha preso poi la parola regista Mimmo Rafele, che ha un po' lasciato l’ama in bocca al pubblico, accostandosi alla relazione di Ferdinando Bruno. «Per me - ha detto - la calabresità è un aspetto secondario del mio lavoro». ›
Altro intervento - apprezzato - è stato di Salvatore Santagata che, pur accennando ai problemi attuali della
Calabria, ha riportato il dibattito sul tema specifico.
Ha parlato poi il critico cinematografico Vittorio Ciacci, il quale ha ricordato che la Calabria viene spesso isolata da un certo «giro» proiezioni a causa di una selezione che avverrebbe a monte dei circuiti distributivi.
Un altro intervento interessante è stato quello del giornalista Mario Accolti Gil che ha messo a fuoco determinati e particolari problemi locali, che vanno dalla necessità di una sensibilizzazione cinematografica a quella di offrire al pubblico un aspetto non deformato della Calabria, cosa che purtroppo è avvenuta e
continua ad avvenire.
A conclusione sono anche intervenuti il consigliere regionale Guido Laganà, che ha sottolineato gli aspetti positivi di questo tipo di informazioni e il sindaco di Locri che ha tratto le conclusioni del dibattito.
In serata a Siderno ha avuto luogo la proiezione de <<Il nero muove», di Gianni Serra, film sui fatti di Reggio.
La rassegna jonica si concluderà stasera. Sono in programma proiezioni, come al solito, nei centri di Siderno, Locri, Roccella Jonica e Monasterace Superiore.

Gazzetta del Sud 7 Anno 26 n. 186 / Domenica 17 Luglio 1977


 Nella foto, una rara immagine di Carla Dal Poggio in Il sentiero dell'odio di Sergio Grieco, film del tutto invisibile.

lunedì 1 febbraio 2016

Something Wild pt. two from Proust to Zampanò

Diremmo che Jack Garfein è più vicino ai registi europei che a quelli del suo paese. Sono registi marcati da un certo tipo di cultura, e abbastanza libreschi per non saper dimenticare che la nostra epoca è di crisi, e che forse conviene cercare vie nuove. Noi non diciamo che abbiano ragione, cerchiamo soltanto di capirli. Prima ancora che fisici e matematici come Heisemberg, Fermi ed Einstein mandassero a carte quarantotto il razionalismo dei nostri padri, personaggi lontanissimi dalla scienza come Proust e Joyce avevano fracassato la psicologia tradizionale. È un fenomeno che non si ricorda mai a sufficienza. Una delle nostre grandi impressioni di lettura fu quel romanzo nel romanzo (alludiamo alla Recherche du temps perdu) in cui Swann, nello sfortunato amore per Odette, prefigura le ambasce del personaggio che dice <<je >> nel gran libro. Oppure è Saint-Loup che reca nel cuore un sentimento profondo per una donna che l'amico narratore non riesce a comprendere. Ogni uomo è una entità a sé stante che, come le monadi leibniziane, è senza finestre. I segni attraverso i quali è possibile l'esistenza civile sono sommari, utilitaristici, ma scevri della verità ultima delle anime.
A ben riflettere, in una società come quella americana di pieno impiego e di diffuso benessere, il modo di sfuggire al conformismo può essere di due tipi: o l’evasione amorosa, che si attua necessariamente con un << partner», o quella solitaria dell'alcool. Introversi, molto occupati, malinconici, è noto che gran parte dei cittadini USA preferisce il Bourbon alla compagnia femminile. Momento selvaggio ci è parso interessante perché vi si cerca una conciliazione delle due nevrosi. Né, al solito, vi inganni il lieto fine, che è un modo come un altro di sciogliere un nodo tra i più aggrovigliati.
Nella prima parte di Momento selvaggio ci sono momenti di grande bellezza, di un fascino tutto particolare. È girato in esterni, mostra quell’America insolita che è cosi magica, di essenza si direbbe Stregata, e che i registi più sensibili hanno imparato a farci vedere. Gli Stati Uniti quali appaiono in Momento selvaggio sono altrettanto patetici, ma di una qualità più accessibile, più intima. L'osservazione più giusta è che il paesaggio s’accorda al dramma della protagonista che si dibatte nello sforzo di ritornare ad essere, dopo il fattaccio, quella di prima. Si capisce, se no non ci sarebbe più il film, che lo sforzo è vano.
Ci siamo chiesti, anche perché la seconda parte del racconto, pur fatta bene, non ha il valore della prima, cosa è che ci ha turbato nel dibattersi di Mary contro una realtà spaventosa; insomma perché la storia, ispirata da un romanzo, Mary Ann, di Alex Karmel, ha finito per prendere al laccio uno spettatore incallito. Crediamo di aver trovato la risposta, anche se non sappiamo se apparirà soddisfacente ad altri spettatori. Mary è vittima, sia pure non consenziente di un peccato feroce, dettato dal furore erotico. Ma, proprio come nel mito del peccato originale di Adamo ed Eva, essa vive nel ricordo del paradiso perduto, e che sa irrecuperabile. Insomma, Garfein ha lavorato in terreno conosciuto, in un universo culturale e sensitivo comune a molte persone. È lo stesso caso accaduto a Federico Fellini per La strada. Ottuso, egoista, violento Zampanò finiva per riconoscere, attraverso il rimorso' e la nostalgia della perduta Gelsomina, la fraternità, il senso di appartenere a una famiglia unanime, dotata delle stesse. aspirazioni e paure. Siamo tutti d’accordo sul fatto che Mary a differenza di Zampanò e di Eva, è innocente. Ma il problema psicologico è sempre quello di chi è precipitato in fondo a un abisso e ha perso la luce consolatrice che scalda i suoi simili.

                                                                                 1962
Pietro Bianchi, Maestri del cinema, 1972

domenica 31 gennaio 2016

Something Wild pt. one

 MOMENTO SELVAGGIO

Jack Garfein (nella foto a sinistra) è un giovane regista americano che si fece notare, circa quattro anni fa, con un film, Un uomo sbagliato, che aveva a protagonista Ben Gazzara. Un uomo sbagliato era un'opera' singolare per più di una ragione: ambienti e sentimenti originali, e un caso psicologico d'eccezione. In uno di quei collegi militari assai numerosi in USA una pecora nera stava mandando a ramengo quelle bianche. Dotato di un certo tenebroso fascino, il protagonista creava una propria cricca, perseguitava i compagni per bene, mentiva e contravveniva al regolamento di disciplina. Gli andava bene per un pò, combinava guai su guai; infine veniva smascherato e costretto a fuggire ignominiosamente dai compagni.
Quando Un uomo sbagliato uscì sui pubblici schermi, il maccartismo era da poco spento negli Stati Uniti, dopo aver prodotto i guasti morali e materiali che tutti sappia- mo. Il film era, a suo modo, un antidoto contro la caccia alle streghe. Mostrava come sia facile, in una società inquieta e in un particolare momento storico, montare una macchinazione cinica per impadronirsi del potere e dell’animo dei pavidi, sempre pronti a urlare con i lupi e ad agganciarsi prudenzialmente al carro del vincitore. Ovviamente, lo studio della nascita di un dittatore avveniva in Un uomo sbagliato quasi << in vitro >>: collegio, insegnanti, ragazzi non erano che l’embrione di una società assai più articolata.
Jack Garfein, che è un intellettuale, ha sposato Carroll Baker, un’attrice sofisticata ma intelligente, recluta dell'Actors' Studio, diventata celebre d”improvviso attraverso quella singolare pellicola di Kazan (da un testo di Tennessee Williams) intitolata Baby Doll. Le alleanze sentimentali e pratiche tra attrici e registi son cose di tutti i giorni. In un certo senso appaiono come un fenomeno naturale. Non c'è quindi da meravigliarsi se con quella moglie cosi dotata, il nostro Garfein ha abbandonato i collegi militari e gli echi del maccartismo, per gettarsi su un filone assai più sfruttato, quello delle nevrosi di origine sessuale.

 

 Il nuovo film ha un titolo imbroccato: Momento selvaggio. La protagonista, Mary, ha subito un’odiosa violenza che l’ha sconvolta e ferita. I genitori non ne sanno nulla e la poverina cerca di salvarsi da sola. Lascia così, senza dirne il vero motivo, la casa paterna, nell’idea che allontanarsi dai luoghi può già essere un tentativo di soluzione. Anche negli Stati Uniti, che pur per tanti lati vantano cittadini più spregiudicati di quelli dell’Europa latina, certe confessioni son difficili da rendere; e così anche là, come dicevano i nostri maestri di ginnasio, << asinus asinum fricat >›. In parole povere, Mary finisce per affidarsi a un relitto, un ubriacone ammalato di solitudine. In un film francese dell'abile maneggione Henri Verneuil non ancora giunto in Italia, Una scimmia d’inverno, si ammira `un ex- alcolizzato, Jean Gabin, che ritorna al vino rosso per amicizia di un giovane << copain >›, che è Jean-Paul Belmondo. Il film non è nulla d'eccezionale; lo riscatta l’eccezionale bravura dei due interpreti e la sincerità del testo, dovuto a quel delicato narratore che si chiama Antoine Blondin. In Francia la sbornia è allegra, dionisiaca, perciò esaltatrice; negli Stati Uniti c’è l’idea, puritana, di un'infrazione, ed è per questo che i luoghi dove si beve, in America, appaiono sempre bui e protetti da pesanti tendaggi contro l’occhio indiscreto del passante. Comunque, in Momento selvaggio, il cieco porta sulla schiena lo zoppo; Mary si allea all’ubriacone Mike e si salvano insieme. Insomma, l’amore finisce per sconfiggere l'alcool di Mike e i pessimi ricordi di Mary. Momento selvaggio è soprattutto il pretesto per mostrare le doti di una brava attrice. Carroll Baker brava lo è, ma anche Garfein è un buon regista. 
                                                                                                          1962
Pietro Bianchi, Maestri del cinema, 1972




                                                                             continua ...

giovedì 28 gennaio 2016

May the Lord sail with Sterling Hayden


Sterling Hayden
1916 - 1986

Sterling Hayden on a barge in Amsterdam
One of those backwater Dutch canals
A bottle of Johnny Walker between his legs
Drunk but articulate as hell

He was saying, "Yeah, I ratted on people
During the McCarthy hearings, huh, you haven't the foggiest notion
Of the contempt I have for myself, maybe that's why we drink, eh?
Some damn thing, shipwrecks the heart, huh? Yah"

Sterling Hayden on a three-masted schooner
Kidnapped his kids and sailed 'round the globe
But a man can sail around in one big circle
And not escape his wounded sailor's soul

So heave her up the main sail, boys
Heave her up and away we'll go
We're bound for the bay where the white whale plays
In the midnight straits of Jericho

And if ever I return, Pretty Peggy O
All your cities I will burn, yes, I would
With your cardboard sea and your paper moon
O'er the penny arcade called Hollywood

He ran guns through the German lines in World War II
The Viking God stood six-feet-five
Played in 'Johnny Guitar and The Asphalt Jungle'
'The Killing' and 'The Long Goodbye'

I saw him once on the Johnny Carson show
Late in his troubled career
He said, "Just give me a room over lookin' the Hudson
With a mattress and a typewriter and I'll write you
A helluva novel, my dears"

So here's to all the tough guy actors
And the false gods who made 'em
And wherever he sails tonight on
 the Seven Seas
May the Lord sail with Sterling Hayden


Tom Russell

mercoledì 27 gennaio 2016

Tinea capitis

la mia e quella di :..

lunedì 25 gennaio 2016

UN RICORDO AGLI ALBORI DEL CINEFORUM DON ORIONE DI MESSINA

Il mio primo, indelebile ricordo legato al Cineforum Don Orione di Messina, è antico, per la mia vita e per quella del Cineforum: risale al 1963, anno d’inizio delle proiezioni.
Col senno del poi (allora ero solo un ragazzino), erano anni di frenetica innovazione, non solo culturale ma anche di fervore sociale e diffuso ottimismo per il futuro. Erano gli anni di Papa Giovanni e di John Kennedy e sembrava che tutto stesse migliorando vertiginosamente.
Sorprendentemente, per la cultura cattolica e clericale del tempo, Ubaldo Vinci ed altri entusiasti pionieri erano riusciti a fondare un circolo culturale all’avanguardia, all’interno di un orfanotrofio, l’Istituto “Don Orione” appunto, in cui fervevano, però, tante iniziative di quello che oggi si definirebbe il “territorio”.
Io, poco più che undicenne, frequentavo l’oratorio e la scuola statale dell’Istituto e avevo il privilegio – come il piccolo protagonista di “Nuovo Cinema Paradiso” – di essere ammesso nella cabina di proiezione, a sbirciare i film dai finestrini.
Quella sera del 1963 (ora so che era il 22 novembre), mi pare proiettassero “La Ciociara”. Le proiezioni, per statuto del circolo, erano tutte vietate ai minori di 16 anni. Guardavo perciò il film dalla cabina, probabilmente senza capirci granché, quando le luci vennero improvvisamente accese e la proiezione interrotta. Il Direttore dell’Istituto, don Guido Sareli, si presentò nella sala gremita, per annunciare che il Presidente degli Stati Uniti era stato assassinato e che, in segno di lutto, la serata finiva lì.
Compresi più in là, da grande, quanto questo gesto testimoniava non solo l’immensa popolarità di Kennedy, già noto anche ai ragazzini come me, e le speranze che aveva suscitato nel mondo ma anche la crescente partecipazione, dei cittadini e perfino delle istituzioni religiose, – che tra i giovani sarebbe esplosa da lì a pochi anni e che avrebbe coinvolto anche pezzi della comunità cattolica – verso la politica che guardava ai popoli e non solo ai potenti.
La gran parte del pubblico dei soci si spostò nell’ attigua sala TV dell’Istituto, per seguire quell’ emozionante e tragico avvenimento, che ha segnato un’epoca.
Poi, vennero gli anni di gloriosa e popolare attività del Cineforum Orione, i film e i dibattiti, appassionati e chiarificatori, che hanno formato generazioni di messinesi al gusto per il buon cinema.
Vennero gli altri circoli cinematografici (il “don Milani”, l’ “Umberto Barbaro” …), che oggi non ci sono più.
Il Cineforum Orione, miracolosamente, resiste.
Orazio Nastasi, socio.

Ottobre 2012

Per gentile concessione dell'autore, e di Nino Genovese