mercoledì 27 gennaio 2016

Tinea capitis

la mia e quella di :..

lunedì 25 gennaio 2016

UN RICORDO AGLI ALBORI DEL CINEFORUM DON ORIONE DI MESSINA

Il mio primo, indelebile ricordo legato al Cineforum Don Orione di Messina, è antico, per la mia vita e per quella del Cineforum: risale al 1963, anno d’inizio delle proiezioni.
Col senno del poi (allora ero solo un ragazzino), erano anni di frenetica innovazione, non solo culturale ma anche di fervore sociale e diffuso ottimismo per il futuro. Erano gli anni di Papa Giovanni e di John Kennedy e sembrava che tutto stesse migliorando vertiginosamente.
Sorprendentemente, per la cultura cattolica e clericale del tempo, Ubaldo Vinci ed altri entusiasti pionieri erano riusciti a fondare un circolo culturale all’avanguardia, all’interno di un orfanotrofio, l’Istituto “Don Orione” appunto, in cui fervevano, però, tante iniziative di quello che oggi si definirebbe il “territorio”.
Io, poco più che undicenne, frequentavo l’oratorio e la scuola statale dell’Istituto e avevo il privilegio – come il piccolo protagonista di “Nuovo Cinema Paradiso” – di essere ammesso nella cabina di proiezione, a sbirciare i film dai finestrini.
Quella sera del 1963 (ora so che era il 22 novembre), mi pare proiettassero “La Ciociara”. Le proiezioni, per statuto del circolo, erano tutte vietate ai minori di 16 anni. Guardavo perciò il film dalla cabina, probabilmente senza capirci granché, quando le luci vennero improvvisamente accese e la proiezione interrotta. Il Direttore dell’Istituto, don Guido Sareli, si presentò nella sala gremita, per annunciare che il Presidente degli Stati Uniti era stato assassinato e che, in segno di lutto, la serata finiva lì.
Compresi più in là, da grande, quanto questo gesto testimoniava non solo l’immensa popolarità di Kennedy, già noto anche ai ragazzini come me, e le speranze che aveva suscitato nel mondo ma anche la crescente partecipazione, dei cittadini e perfino delle istituzioni religiose, – che tra i giovani sarebbe esplosa da lì a pochi anni e che avrebbe coinvolto anche pezzi della comunità cattolica – verso la politica che guardava ai popoli e non solo ai potenti.
La gran parte del pubblico dei soci si spostò nell’ attigua sala TV dell’Istituto, per seguire quell’ emozionante e tragico avvenimento, che ha segnato un’epoca.
Poi, vennero gli anni di gloriosa e popolare attività del Cineforum Orione, i film e i dibattiti, appassionati e chiarificatori, che hanno formato generazioni di messinesi al gusto per il buon cinema.
Vennero gli altri circoli cinematografici (il “don Milani”, l’ “Umberto Barbaro” …), che oggi non ci sono più.
Il Cineforum Orione, miracolosamente, resiste.
Orazio Nastasi, socio.

Ottobre 2012

Per gentile concessione dell'autore, e di Nino Genovese

domenica 24 gennaio 2016

浮雲


" La vita di un fiore è troppo breve, ecco perché esso dovrebbe essere apprezzato immediatamente ".
Mikio Naruse Nubi Fluttuanti ( Ukigumo), 1955

Mikio Naruse 1905 - 1969

sabato 23 gennaio 2016

La fine dell'onda



Il quadro in alto è intitolato Il Coprifuoco ed è del pittore messinese Giuseppe Migneco (1908 - 1997). Apparve solamente, assieme ad altri su La fiera del Cinema, numero unico, giugno 1959. Le opere dovevano raffigurare un film del catalogo Titanus per l'annata '59 - '60.

mercoledì 20 gennaio 2016

Necrologia di uno scrittore

Michel Tournier (1924-2000)1
Nato nel centro di Parigi, ha capito immediatamente che si trattava della città più inospitale del mondo, soprattutto nei confronti dei giovani. Così abitò per tutta la vita nel presbiterio di un piccolo villaggio della valle di Chevreuse, quando non viaggiava per il mondo, con una predilezione per la Germania e il Maghreb. Le sue ceneri sono custodite nel suo giardino, all'interno di un sepolcro scolpito che rappresenta una figura supina con il volto nascosto da un libro aperto, sostenuto da sei scolari che ricordano, con le loro varie pene, una versione infantile dei Borghesi di Calais di Rodin.
Dopo lunghi studi di filosofia è arrivato abbastanza tardi al romanzo, che ha sempre concepito come una fabulazione dall'apparenza il più possibile convenzionale, che ricopre un'infrastruttura metafisica invisibile, ma dotata di un attivo irradiamento. In questo senso è stata spesso pronunciata la parola mitologia a proposito della sua opera.
Se si dovesse riconoscergli un predecessore e un’etichetta, si potrebbe pensare a ].K. Huysmans e a quella di  naturalista mistico. Perché ai suoi occhi tutto è bello, anche la bruttezza; tutto è sacro, anche il fango.
A proposito dell’ amore, diceva: «C”è un segno infallibile da cui si riconosce che si ama d”amore qualcuno: è quando il suo volto vi ispira più desiderio fisico di qualunque altra parte del suo corpo».
Se avesse avuto una tomba, ecco l’ epitaffio che avrebbe voluto vi fosse scolpito: «Ti ho adorata, mi hai ripagato cento volte. Grazie, vita! ››.

1 Un giornale ha svolto recentemente un'inchiesta sul tema seguente: quale sarà secondo voi il grande avvenimento che segnerà l”anno 2000? Ho risposto senza esitare: la mia morte. E ho evocato il vasto e sontuoso corteo che accompagnerà le mie spoglie al Pantheon, al suono dell'Allegretto della 7a sinfonia di Beethoven. Mi si dirà: perché morire nel 2000? Perché avrò 76 anni. Mio padre è morto a quell'età, come suo padre ecc. E una bella età per morire. Con un po' di fortuna e di assennatezza si evitano cosi le sofferenze e le umiliazioni della vecchiaia; e poi basta, non è vita a sufficienza, quella?

Michel Tournier, Immagini, paesaggi ed altre piccole prose, Garzanti, I Coriandoli, 1990

lunedì 18 gennaio 2016

Il ritorno di Joan Crawford

DUE film con Joan Crawford apparsi contemporaneamente in questi giorni sugli schermi italiani, uno di nove anni fa (Donne, diretto da Cukor) e l'altro recente (Il  romanzo di Milred  del  regista Michael Curtiz) dimostrano come possa invecchiare con dignità una bella donna intelligente attrice.
Dai tempi di Non più signore, Troppo amataAmante, Incatenata, Amore in  corsa, La fine della signora Gheney, Io vivo la  mia vita, Tormento, da quando cioè era la “ vamp ” laureata, soprattutto dai tempi del suo triste declino, Joan Crawford  è migliorata moltissimo, anche il suo fascino si è ammorbidito  arricchito. Non è difficile essere una bella ragazza selezionata dal cinema, far cadere in estasi attori e platee a venti e trent’anni, con l’aiuto di un bravo sarto, di un trucco sapiente e di una femminilità accorta e sensibile. E’ meno facile essere una bella donna quarant’anni, avendo cura della propria fama di eleganza ardita .Senza esagerare, e sapendo adattarsi a rappresentare la madre una ragazza ventenne.
Ci aspettavamo questa «rentrée›› di Joan Crawford in cui avevamo presentito una personalità d'eccezione nonostante i ruoli piuttosto frivoli che le vennero assegnati per anni. La maturità artistica e fisica della Crawford ce la mostra ora com’è  veramente: vibrante e risoluta, costruttiva. Oggi Joan è ben più di una creatura affascinante e dinamica, è una donna piena di slancio e di bontà che sa sacrificarsi in silenzio, generosamente e con coraggio, che ha saputo nel romanzo di Milred  fingere liricamente con intuito profondo quella maternità che la natura le ha negato.
Già nel film Donna senza volto, visto l’anno scorso, essa aveva accennato a questa sue nuove possibilità. Ricorderete, a parte il gratuito e il frusto della vicenda, quella sua cattiveria sofferente e sconsolata. In Donne, girato poco prima, era invece la solita donna fatale, avida e rovina famiglie. Col romanzo di Milred, per cui le fu assegnato l’« Oscar ›› il massimo premio americano,  ora Joan si consacra grandissima attrice e donna completa. Ha imparato a soffrire con tutta l’esteriorità e la comunicativa che offre il cinema, senza rinunciare ad essere donna desiderabile.
MARTA SCHIAVI
L’ILLUSTRAZIONE DEL POPOLO ANNO XXVII N. 2     11- 01 - 1948




domenica 17 gennaio 2016

OGGI


Bastano poche parole per esprimere la grandezza di questo film di Monta Bell del 1927. Essa è dovuta in modo speciale alla semplicità del soggetto, all’accortezza di una regia che sembra quasi non esistere e soprattutto grazie alla bravura di John Gilbert forse il più grande attore, assieme a George Bancroft, del cinema muto hollywoodiano.
Un ingenuo ragazzo che ha in testa come immagine muliebre quella della madre si innamora della society editor  del giornale per cui egli è reporter . A seguito di un inconsulto gesto commette un assassinio e viene condannato “ to be hanged by the neck until dead “ per citare le didascalie del film.
In certe parti del film sembra scorgervi l’ombra del Delitto e Castigo così come pure, col senno di poi, la figura della madre di Pier Paolo Pasolini,  Signora Susanna. Ma è John Gilbert che rende possibile tutto ciò, solo grazie agli stati d’animo percepibili attraverso il suo volto e le sue espressioni.
Alle volte è bastato poco ai registi del cinema muto per creare opere che al confronto con quelle di oggi sembrano vette irraggiungibili.