lunedì 16 marzo 2015

La scoperta di una verità morale




Alba fatale (regista William A. Wellman, USA, 1943). Due cow boys, capitati in un paese appartato dopo anni d’assenza, sono costretti ad assistere a un linciaggio. Guidati da un signorotto, residuo delle armate sudiste, e da una virago sguaiata, i proprietari del luogo, infuriati per un furto di bestiame; mettono il laccio al collo a tre poveretti su cui gravano indizi solo apparentemente rivelatori. Invano il capo della piccola carovana, accusato di furto, supplica i manigoldi di soprassedere all’esecuzione in modo che egli possa provare la propria innocenza; invoca i figli ignari e la tenera moglie che lo attendono a casa: all’alba sarà impiccato con i suoi occasionali compagni, un vecchietto svanito e uno straniero indesiderabile. Sulla via del ritorno gli assassini verranno a sapere di avere ucciso tre innocenti. William A. Welhnan, un onesto e provato regista, ci ha dato con Alba fatale un capolavoro perché ha saputo rivelarci una evidente verità morale, cioè che a nessuno è lecito farsi giustizia da sé, accompagnandola con una rivelazione più insidiosa e sottile: di quanta crudeltà e perfidia sia capace certa gente sotto il manto della più virtuosa indignazione. Il racconto è rapido, serrato, per nulla sentimentale, con una apertura rustica all'inizio di assoluta efficacia.
1951
Petro Bianchi,op. cit.


domenica 15 marzo 2015

Una volta avevano i secoli davanti


I protagonisti de L'avventura, Monica Vitti e Gabriele Ferzetti, a Noto SR arrivarono veramente. Per l'esattezza la ciltà culto del barocco siciliano dista da Schisina ME 150 km circa. 
Oggi la città di Noto, quella del film di Antonioni, rivive grazie alle immagini di Salvatore Carannante già citato nella precedente pubblicazione. Un atto dovuto visto che il buon Carannante ha aperto le vie della fotografia a parecchi di noi.
La veritiera citazione d'apertura è pronunciata nel film da Gabriele Ferzetti.







Sceenshot Aldo Scavarda cinematographer
Foto a colori Salvatore Carannante

giovedì 5 marzo 2015

Anche se ...L'AVVENTURA



Senza nulla togliere a  Aldo Scavarda, Giovanni Fusco, Eraldo Da Roma e Fausto Ancillai, rispettivamente cinematographer, musicista, montatore e missagista, mi sono brigato, da brigante, a fare incontrare, per una volta, due insegne del cinema italiano, che mai hanno avuto modo di far fiorire le loro menti all’unisono . Il mezzo è questo frammento de L’avventura (1960) e un testo molto pertinente alla sostanza del film (sembra proprio uscire da quelle immagini) di Gino Paoli, Anche se, cantato da Ornella Vanoni, colorizzato dal Maestro Morricone, in quel tempo ascending verso l’universo bachiano.

L’occasione è data da un pellegrinaggio a Schisina,Villaggio del comune di Francavilla di Sicilia, S. S. 185 di Portella Mandrazzi,  in provincia di Messina, per ricatturare pochi shots  dell’opera di Michelangelo Antonioni. Lavoro poco rimarchevole senza l’aiuto del boss della foto messinese: Sandro Messina. Ma si, c’erano pure, lasciata per poco la loro sede cattedratica, Carannante e Mondello, passati, ahimè quelli, e noi, dalla camera analogica alla digitale. Ormai siamo tutti digitalizzati digitalizzanti digitalioti, orfani dell’analogico, come direbbe Carlo Emilio Gadda.







Screenshot Aldo Scavarda, L'avventura, Michelangelo Antonioni, 1960
Foto: Sandro Messina
Sequenza dell'arrivo a Schisina (nel film ribattezzato Noto) SR musicalizzata con Anche se di Gino Paoli cantata da Ornella Vanoni, colorizzata dal Maestro Morricone.

mercoledì 4 marzo 2015

The panoply of creative quandaries



The panoply of creative quandaries, Aquarius and Inferno, "a Dick Clark production." The distressing world at large is stated in fragments on a dark screen (bombings, toxic advertisements, demonstrations) until the image is pulled together into the yearning face of the young runaway (Susan Strasberg) about to enter Haight-Ashbury at the sticky height of the Summer of Love. San Francisco ‘68: Every room like a thrift shop, folks on the floor and baby lizards in the fridge, bead necklaces strewn like serpentine, Jack Nicholson with a clip-on ponytail not quite miming a number that sounds like Jimi Hendrix played backwards. The ingénue is Puccini’s Mimi, surely, gone deaf after literally regurgitating the old generation’s negativity like motor oil; her search for an estranged brother (Bruce Dern, with tangled tresses that change his zealous gaze back and forth from Jesus to Charles Manson) leads to a bacchanalian garden already carrying the seeds of its own destruction. "Talk about lack of communication, man!" Richard Rush’s inventive camera revels in all countercultural fauna and flora, peeping into crystal orbs and grooving to sitars and tambourines, while Nicholson’s screenplay continues The Trip’s treatment of the artist in crisis (concluded the following year in Easy Rider) in a multiplicity of portraits -- Henry Jaglom as a psychedelic poster designer armed with LSD tablet and power saw, Max Julien as a drummer turned stoned Lancelot, Dern as the Seeker last seen smiling inside a bonfire. (From his rooftop den, the shamanic Dean Stockwell scoffs at the "big plastic hassle" of selling out.) The kaleidoscopic crescendo builds to a lyrical-sinister lightshow in the Golden Gate Bridge before crashing down to earth, "reality is a rotten place to be." Cinematography by Laszlo Kovacs. With Adam Roarke, Linda Gaye Scott, Ken Scott, The Seeds and The Strawberry Alarm Clock.

--- Fernando F. Croce

L'originale è qui:
http://www.cinepassion.org/Reviews/p/PsychOut.html

martedì 24 febbraio 2015

Reality is a rotten place to be

“ Reality is a rotten place to be."
"I hope this next trip is a good one!" 
Dave


Nel 1967 Jack Nicholson presentò due lavori alla American International Pictures aventi come tema la realtà giovanile di quegli anni che si liberava tra allucinogeni di varia efficacia e movimento hippie, i figli dei fiori. Scenario la West Coast tra Los Angeles e San Francisco. Dei due The Trip, Il Serpente di Fuoco (1967), accreditava la sua firma e veniva diretto da Roger Corman; mentre in Psych-out Il Velo sul Ventre (1968) la firma di Nicholson veniva oscurata. La critica favorì e favorisce l’opera di Roger Corman molto meno la seconda,di Richard Rush. La differenza è irrilevante. Psych-out ha intreccio vivace per via di un gruppo di personaggi che entrano ed escono dalla scena, cui fa da contorno una massa giovanile variamente abbigliata che inscena feste all’aperto e danze all’interno, e, infine, per un maggior intervento di musiche e canzoni che hanno origine dalla stessa messa in scena o la commentano. Interprete comune alle due pellicole era Susan Strasberg, ma anche Bruce Dern, affiancata in Psych-out  dallo stesso Jack Nicholoson che nei titoli viene dopo Dean Stockwell.
Jenny, ragazza sorda per via di un trauma infantile, ha alle costole la polizia perché fuggita dal riformatorio. E’ in cerca del fratello maggiore, Steve detto the seeker (il cercatore); scultore, santone e strafatto di droga. L’aiutano i membri di una rock band denominata Mumblin Jim. Questi ultimi sono in cerca della fama e dei soldi. La ragazza mancherà l’incontro con il fratello ma riacquisterà l’udito a seguito di un finale trauma.
Se in The Trip gli allucinogeni venivano usati per sperimentare i mondi della mente in Psych-out  sono un accessorio della vita che conducono i giovani tra anticonformismo, vita all’aria aperta, feste, balli e rivolta contro il potere. A questo proposito ricordiamo che si era nel vivo della guerra del Vietnam per cui quegli stessi giovani avevano in tasca il precetto alle armi e il posto sull’aereo che li porterà, dopo essere stati tosati e acquietati, a distribuire Napalm in Indocina.
Essendo una produzione James H.Nicholson and Samule Z. Arkoff il film per merito d Laslo Kovacs, datore delle luci, è portato avanti con il segno caratteristico della A.I.P., il fantastico  che risale ad Edgar Allan Poe e il basso costo. Kovacs per le scene oniriche come nei balli di massa usa mettere davanti ai riflettori mascherine fisse o rotanti che creavano il caleidoscopico mondo dentro la mente.

Quello che interessa noi è il già  accennato strato sonoro. Autori della maggior parte delle canzoni che si ascoltano durante la visione sono gli Strawberry Aklarm Clock. Sul finire degli anni sessanta, assieme ai Doors, era il gruppo più seguito dai giovani hippies; ancora Grace Slick e compagni o i Grateful Dead dovevano assurgere come portabandiera di quel movimento. Tuttora la musica degli Strawberry Alarm Clock confina quegli anni così come la grafica e la cartellonistica uscita fuori dal movimento hippie.Le loro canzoni si caratterizzavano principalmente per l’uso frequente dell’organo Hammond e avvolgenti melodie . Già il titolo di un loro hit, riproposto nel film, Incense e Peppermint (che poi sarebbe incenso e mentine) la dice tutta. Gli Strawberry ebbero vita brevissima, come i Seeds di cui si ascolta Two Fingers Pointing On You. Vita più lunga ebbe RustyYoung qui all’inizio della carriera a capo di un oscuro gruppo chiamato the Boenzee Cryque. Continuerà dapprima con i Buffalo Springfield, ancora oggi band di culto e, massimo della gloria, con i Poco, gloriosa formazione di country-rock.

lunedì 23 febbraio 2015

Small Time and Big Time


Mystic River and is reference Once Upon a Time in America

MAX: Is this your way of getting revenge?
NOODLES: No. It’s just the way I see things…

Mystic River is difficult to read correctly without extended reference to Sergio Leone’s much debated, strange, and complex film Once Upon a Time in America. The films share much in terms of themes, situations, and mystery. The common elements are obvious: Lost Innocence, Time, Illusion, Crime and Violence, Betrayal of Friendship, a sense of Eternal Return. But there are direct echoes in Mystic River of Leone’s film. They are two films that use a Proustian recherche as their dramatic engine. What is explicit and symbolic in Leone is implicit and whispered (and sometimes offscreen) in Mystic River. Both movies give us counter-indications that should make us question their “obvious” story. Both filmmakers are bent on troubling the dream/narrative.
David “Noodles” Aaronson (Robert de Niro) is a small-time hood, suspended in time. He is lured out of temporal exile by dark psychological forces that are not immediately clear. He seems to have a deadly betrayal on his conscience. It’s an old story: friendship or family ties crushed in the maw of the business of crime. That’s why Gangster films are always transparent critiques of Capitalism. Gangsters are capitalists. Period. With them business ultimately has to come first.
As the audience journeys with Noodles into his past though the vehicle of his future, Leone builds up an expectation of some narrative revelation. Everyone wants a “Rosebud” moment from Leone. But he confounds that expectation. The end sends us back to the beginning like in Citizen Kane (Orson Welles, 1941) but we now doubt the information we’ve been given. What Leone found fascinating about the source material and the “Harry Grey” character was the tension between the recollected memories and the cliched, obviously invented material. Was this some protective device, Leone wondered, some Brechtian distancing that would allow the bearer of dangerous memories to navigate, in the guise of fiction, the territory of his past?

The reason we must suspect the story that Noodles presents is because it absolves him almost completely of any moral responsibility. He is passive, dissociating even when he erupts in violence. Time is his junk, and memory is his vice. He is a narrator, not a protagonist of his life. He uses events and people almost as totems, to buttress his shattered inner life.
Deborah (Elizabeth McGovern), his lost girl, says to Noodles, “Memories are all we have left” and warns him not to open that last door. What’s interesting about the final confrontation between Max (James Woods) and Noodles is the absolutely rigorous ambiguity of it. De Niro gives no indication that he recognises Max, and though he is obviously moved when the pocket watch, the absolute symbol of the recherche, is produced, he does not seem to respond to it as a token of their lost friendship, but as the montage of ensuing memories proves, as the talisman of a journey though lost time.
The psychological levels (or screens) of Once Upon a Time in America:
1. An Author veiling his reminiscences in a novel. (The Harry Grey level.)
2. An inner core of “true” events and people. Elements that can be acknowledged without repression. (The epistemological level.)
3. The main body of the film, the elaboration of these “core” circumstances into a dream of memory. (The opium or pipe dream level.)
4. The guilt that forever obscures what really happened. (The level of Repression.)
5. The cinematic and personal dream world of the filmmaker. (The Nostalgic Level)
6. The repressed shadow story, never seen, that exists only as a negation of events remembered. (The level of psychological truth.)
This hierarchy of screens is why, despite the many heroic critical attempts, there can be no definitive “decoding” of what has happened to Noodles. It is a movie made to order for the postmodernist malaise. Just as it was impossible for Leone to separate the “real” America from his remembered celluloid America, it is impossible to sift the truth from memories. What Leone is doggedly asserting is that memory itself is the opium pipe. Though we can only guess at what is contained in the shadow story, we understand that its source, like in Mystic River, is a primal loss of innocence.
That moment is the death of little Dominic (Noah Moazezi), the youngest member of the gang, the ensuing revenge killing of Bugsy (James Russo) and the first suspension of time for Noodles. As the others stand or back off, Noodles explodes in violence, an act that allows the others to prosper while remaining relatively clean. His time in jail separates him emotionally from the others, and marks a rift in time. From this point on there will be growing tension between the two childhood friends, Max and Noodles. It can only lead to a fatal confrontation.
In Mystic River, the loss of innocence comes in almost identical cinematic terms. A brutal, almost happenstance event, and a moment where children look on while one of them takes on the guilty burden of violence, both in meaning and responsibility, and who becomes forever defined by the event. A sacrifice, a scapegoat.
Carloss James Chamberlin

L'originale è qui:
http://sensesofcinema.com/2004/feature-articles/mystic_river/

domenica 22 febbraio 2015