lunedì 14 aprile 2014

Robert Aldrich speaks

1918 - 1983

Sono stato aiuto regista per dieci anni e ho avuto la  fortuna di lavorare coi più grandi:  Chaplin, Renoir, Milestone, Losey, Cromwell, ecc.  Descrivo  figure eroiche. Sono contro l'idea  d'un destino tragico, ogni uomo  deve agire anche se è spezzato. Il  sacrificio volontario è il massimo  dell'integrità morale. Il suicidio  è un gesto di rivolta: bisogna pagare il prezzo della lotta.  Mi  ripugna mostrare personaggi  spregevoli senza sfumature; non  si tratta tanto di trovare scuse  quanto spiegazioni.  Ho un  debole per il linguaggio fiorito,  ma durante le prove mi rendo  conto di quanto può esservi d'eccessivo e cerco d'umanizzare.   L'Amore con l' A maiuscola non  è stato mai trattato nei miei film.  È alla base della vita, dell'uomo,  ma l' attaccamento che questi può  avere per un modo di vivere, o per  una causa, può essere più duraturo dell'attaccamento per una donna.          


domenica 13 aprile 2014

Il cinema all'aperto a Messina e dintorni

Le chiamavano Arene

L'Arena Trinacria in via Ettore Lombardo Pellegrino e ...




un'Arena del periodo Littorio non identificata a Villafranca Tirrena (ME) foto Luigi Mittiga.

giovedì 10 aprile 2014

Urbanistica e cinema



La città italiana

Gli italiani hanno un incontestabile vantaggio: la città italiana, che sia natica o moderna, è prodigiosamente fotogenica. Dai tempi dell’antichità l’urbanistica italiana non ha smesso di essere teatrale e decorativa. La vita urbana è uno spettacolo, una commedia dell’arte che gli italiani danno a se stessi. E anche nei quartieri più miserabili quella specie di aggregazione corallica delle case consente, grazie alle terrazze e ai balconi, delle grandi possibilità spettacolari. Il cortile è un palcoscenico elisabettiano in cui lo spettacolo si vede dal basso, in cui sono gli spettatori dei palchi a recitare la commedia.  E’ stato presentato a Venezia un documentario poetico costituito esclusivamente da un montaggio di riprese di cortile. Che dire allora quando le facciate teatrali dei palazzi combinano i loro effetti d’opera con l’architettura da commedia delle case povere? Si aggiunga a tutto questo il sole e l’assenza di nuvole ( nemico n. 1 degli esterni )e si avrà la spiegazione della superiorità del cinema italiano per quanto riguarda gli esterni urbani.

Il cinema italiano secondo André Bazin, op. cit.

mercoledì 9 aprile 2014

mercoledì 2 aprile 2014

Lo chiamavano Antonio das Mortes

OGGI
al Circolo di Cultura Cinematografica " Yasujiro Ozu "


A staple of Brazil's Cinema Novo movement, this psychedelic interpretation of Leone-styled Spaghetti Westerns is a violent carnival of bursting colors and music
http://thirdmanrecords.com/news/view/light-sound-machine-presents-antonio-das-mortes

1
Teatro delle azioni: il sertão.
Per non spingerci lontano possiamo tradurre il vocabolo con badlands ( nel senso di Bruce Springsteen ) e anche … Aspromonte, senza la ricca vegetazione di quest’ultimo.
Protagonisti principali: un sicario al soldo dei latifondisti e l’ultimo dei cangaceiros trasformatosi in guerrigliero rivoluzionario. I cancaceiros furono dei briganti ( come il Musolino ed il Mittiga ) con, a volte, un anima da Robin dei boschi.
Nel cinema ed in Europa essi apparvero nel 1953 al festival di Cannes, portati alla palma da V. de Lima Barreto. Riapparvero, questa volta in Italia, nel 1970, con il fisico del ruolo e la faccia di Tomas Milian sulla scia dei  film Quien Sabe  (1966) di Damiano Damiani, Il Mercenario (1968) di Sergio Corbucci,  Queimada (1969) di Gillo Pontecorvo e per ricordare ancora Tomas Milian Tepepa (1969) di Giulio Petroni ed i due Cuchillo di Sergio Sollima. Nel 1970 il buon Tomas lasciò il Messico rivoluzionario per trasferirsi nel sertão brasiliano. Fece ritorno in Messico, e per l’ultima volta, nel 1972 con Vamos a matar  companeros di Sergio “Django” Corbucci.
I due personaggi maggiori di Antonio das Mortes (O Dragao da Maldade contra o Santo Guerriero, 1969) apparvero dapprima ne Il Dio Nero ed il Diavolo Biondo (Deus e o Diablo na Terra do Sol, 1964) opere di Glauber “Barravento” Rocha.
Nel 1964 in Brasile, Glauber Rocha scopriva il sertão, in Italia Sergio Leone Tolstoi scopriva il western. Penseremmo ad una casualità ma forse non è così semplice da spiegare perché in quegli anni Jean-Luc Godard girava Il Bandito delle 11 (Pierrot le fou, 1965) e Bernardo Bertolucci Prima della rivoluzione, 1964.
Rocha + Leone + Godard + Bertolucci = IL CINEMA
Cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia.
2

In Antonio das Mortes i personaggi avevano il volto di Mauricio do Valle, Antonio, e Lorival Pariz, Coirana.
Da aggiungere che il corpulento e barbuto Mauricio per come appare sulla scena richiama sempre alla mente Demis Roussos che in quegli anni solcava i palchi d’Europa con i suoi Aphrodite’s Childs.
Antonio das Mortes viene assoldato da un proprietario terriero, tirannico nei modi e nei fatti per porre fine ai giorni di Coriana, un carismatico fuorilegge che sostiene di essere la reincarnazione del famigerato cangaceiro Lampiao. I due si affrontano in un duello coreografico con il machete. Coriana ferito mortalmente cade al suolo e nello stesso tempo scoppia il caos tra i suoi numerosi seguaci. Ne consegue anche la crisi ideologica di Antonio das mortes, il quale intuisce che i veri nemici della società non sono i cangaceiros ma i proprietari terrieri, fonte di ogni oppressione.
Come l’ho esposta sembrerebbe la trama classica per uno dei western italiani citati in apertura, con il soggetto di Franco Solina e Giorgio Arlorio, o un qualsiasi prodotto della Hollywood illuminata e progressista.

3

Per fortuna non è così. Sebbene siamo allo scoccare degli anni sessanta dobbiamo tenere conto che Godard ha già dato il meglio di se stesso e nei giovani registi di talento è ancora forte la lezione di Roberto Rossellini.
Glauber Rocha, ancora oggi il più importante regista brasiliano, aveva esposto anche teoricamente quello che doveva essere il cinema del suo paese, in netto contrasto con gli autori del suo paese che lo avevano preceduto, delineando le basi del Cinema Novo.
In Antonio das Mortes si spinge più oltre e per far aderire e coinvolgere un pubblico più vasto fa suo l’evento nazionale riconosciuto in tutto il globo terrestre: il carnevale, caricandolo di simboli, a volte esoterici, difficili da decifrare.
Questo fa venire in mente un autore che non è azzardato accostare a Rocha: Mklos Jancso, il quale dal lato opposto dell’emisfero perveniva agli stessi risultati visivi se non ideologici.
Il film di Rocha, a cavallo tra narrazione mitica e radicalismo politico, non è altro che una festosa danza ipnotica, cromaticamente satura dei colori tropicali accompagnata dai ritmi tribali della musica popolare.
Chi ne esce con le ossa rotte e Antonio das Mortes:  in fondo al film lo troviamo che vaga solitario sull’autostrada, contro il senso di marcia dei pesanti autocarri che trasportano i grossi tronchi ricavati dal massiccio disboscamento della foresta amazzonica. La sua avanzata è ambigua, lo vediamo solo di spalle, sta cercando un senso dentro la propria vita, oppure …

domenica 30 marzo 2014

Backstage in the valley








The  Godfather part 3, backstage in the Alcantara's valley by Luigi Mittiga 1990

giovedì 27 marzo 2014

Un ragazzo di Calabria


Luigi Comencini
1916 - 2002

  Al  tramonto della vita Comencini conserva  intatta tutta la sua vitalità. Intraprende  due opere ambiziose intimamente legate al  suo universo stilistico ed emotivo, Un ragazzo  di Calabria (1987) e La Boheme (1987), poi,  dopo una riflessione sulla vecchiaia con Buon  Natale - Buon anno (1989), gira un'ultima  elegia sull’infanzia e il suo assoluto bisogno  di amore con Marcellino pane e vino (1992).
 Un ragazzo di Calabria, 1987
  Abbonato al Festival di Venezia, Comencini riceve un Leone  d'orno alla carriera nell'edizione  del 1987. In quell’occasione presenta Un ragazzo di Calabria.
  Uomo del nord, Comencini  ha privilegiato  nella sua opera la rappresentazione delle  grandi metropoli urbane , Roma in primo luogo ma anche Milano, Torino fa Napoli. Il sud  agricolo è relativamente assente dal suo lavoro, se si eccettuano film quali i Pane  amoreMio Dio, come sono caduta in basso!  e, ovviamente, alcuni episodi delle inchieste televisive, I bambini e noi e L’amore  in Italia. Il matrimonio di Caterina è ambientato in Campania ma  si ispirava già a un racconto di Mario La Cava  nel quale la storia di svolgeva in Calabria, la regione natia della scrittore. Così, il cineasta, con  l'intento di allargare il  suo universo figurativo, si è naturalmente interessato a una sceneggiatura sulla  Calabria miserabile, invischiata nelle pratiche  mafiose. Comencini, un po' come aveva fatto  Rosi per la Basilicata di Cristo si è fermato a  Eboli, da un'immagine abbagliante di colori e  di luce. Insiste cosi sulla bellezza di una natura generosa che, diversamente sfruttata,  potrebbe rendere quel luogo una terra fiorente  e non una zona di arretratezza economica e  di esclusione sociale. Il suo "ragazzo di Calabria' è un bambino che pensa solo a correre  per-ché quando, a piedi nudi, batte la campagna con la sua rabbiosa falcata, non pensa  più a niente, sogna. Per Mimì, la solitudine  del corridore di fondo rappresenta una porta  aperta verso un mondo dal quale viene cancellata ogni sofferenza. Contro il volere del  padre che preferirebbe vederlo studiare.  Mimi coltiva la sua passione marinando la  scuola. Appoggiato da un vecchio autista di  autobus che ha visto in lui la stoffa del campione,partecipa a delle corse regionali che  poco a poco lo conducono alla prova suprema, i Giochi della gioventù organizzati a Roma. La sua volontà ha spazzato via tutti gli  ostacoli. In una visione ottimista che attraversa tutta la sua opera, Comencini ribadisce la  sua fiducia in questi bambini ostinati che sono i protagonisti dl tanti suoi film. Un ragazzo di Calabria accoglie serenamente il partito  di un cinema romanzato dotato di una dimensione di suspense. La precisione della regia, la sicurezza della direzione degli attori  (in particolare Gian Maria Volontè), la scelta  sempre felice del giovane protagonista [Santo  Polimeno] permettono al regista di superare  tutti gli ostacoli e di fare del suo film una sorta di classico dei film sull'infanzia.  Mimi corre attraverso la campagna per  sfuggire alla sua condizione di bambino povero diviso tra la tenerezza della madre e |'ambizione del padre - un modesto impiegato  d'ospedale nella cittadina vicina - che spera,  facendolo studiare, che egli possa salire qualche gradino nella scala sociale. Durante quelle lunghe fughe campestri, Mimì dimentica i  vincoli quotidiani. L'incontro con un vecchio  autista di autobus, un uomo respinto dalla comunità perché comunista in una società  dominata dalla Chiesa, gli fa scoprire i suoi doni,  la possibilità di investire nella competizione  una speranza di realizzazione, altrimenti decisamente illusoria. Mimi partecipa a delle gare  regionali senza risparmiarsi, pagando a volte  con il fallimento un dispendio di energia che  non viene incanalata da nessuna strategia di  gara: Mimi e un essere generoso che corre per  piacere; dovrà imparare a dosare i suoi sforzi  se vuole vincere. Con i saggi consigli dell’ autista e nonostante gli impedimenti che il padre  cerca di mettere sulla sua strada – l’uomo tenta di spezzare una determinazione che gli pare assurda - Mimi poco a poco si afferma. E’  il corridore povero che senza nessun equipaggiamento comincia a battere i figli dei ricchi:  ha imparato a gestire le sue forze e, meglio  preparato degli altri e sicuramente più motivato,  sa soffrire per affrontare le corse di fondo. Cosi, selezionato per i Giochi della gioventù, arriva nella capitale con nella testa il  trionfo appena intravisto alla televisione -  siamo nel 1960 - di Abebe Bikila alla maratona dei Giochi Olimpici di Roma: Bikilia è  il corridore di una povertà e di un sud ancora più  lontano, l'Etiopia, un corridore eccezionale  che,anche lui, faceva le sue galoppate  a piedi  nudi prima di trionfare nella capitale dell'ex    potenza coloniale. Come Bikila, Mimi vincerà  anche per far parlare della Calabria.  Si vede bene quale elemento di questa storia ha sedotto Comencini: la volontà di un  bambino di affermare la sua autonomia nei  confronti degli adulti, la volontà di far riconoscere la sua identità il lungo offuscata da secoli di bambini sottomessi ai propri genitori  che decidevano al posto loro, la volontà di  sottrarsi alla condizione di bestia da soma alla  quale lo si voleva ridurre. A questo proposito.  la scena del lavoro di Mimi in una corderia, laboratorio che assomiglia più a un luogo di  esilio e di lavori forzati the a un’impresa creata per offrire un lavoro a degli essere umani,  la dice lunga sul desiderio di Comencini di denunciare uno scandalo: il lavoro dei bambini  che si sostituisce alla scolarizzazione, problema tipico di un Italia meridionale sottosviluppata e di un'economia sommaria che considera già il bambino dal punto di vista delle me  capacità produttive.    Per seguire l'affermazione del bambino, la  cinepresa dl Comencini si fa di una sorprendente leggerezza: segue le lunghe corse di  Mimì nella campagna o per strade tortuose., poi le gare nelle città su terreni o in riva al  mare con una serena precisione e una scelta  sempre azzeccata del paesaggio. Comencini  passa dai corridori agli accompagnatori, in  particolare il vecchio che aiuta Mimi a portare  a termine la sua impresa. La corsa decisiva dove è in palio la selezione per i Giochi della  gioventù e un grande momento di cinema  con l’autista che interviene di tanto in tanto  per frenare l'ardore di Mimi: quando il ragazzo passa la selezione, il vecchio accenna un  gesto di gioia nel quale - lui. lo storpio - si  prende una rivincita per tutta una vita fatta  di amarezze e di frustrazioni. Una misurata  emozione invade lo schermo, come sarà per il  finale con la vittoria a Roma e la sobrietà di  un racconto che si chiude all’improvviso, sottraendosi alla scena successiva del ritorno  trionfante del ragazzo nel tuo paese natale.  La notte cade sulla città eterna, lo speaker alla televisione annuncia la vittoria di Mimì e  dato che non sa niente del vincitore, si limita a  dire che si tratta di “un ragazzo di Calabria”. 
     
Tratto da Luigi Comencini, Jean Gili, Gremese ed., 2003