Non c’è nessuna definizione di «trascendentale» o di «stile»
che possa monopolizzare il dibattito su un'opera d’arte. E quei film che
utilizzano lo stile trascendentale possono essere anche analizzati, come spesso
accade, all’interno della cultura o della personalità creatrice che li hanno
prodotti. Sebbene il metodo critico che associo al termine «stile
trascendentale» non possa vantare l’esclusiva nell’analisi di registi come Ozu
e Bresson, ritengo tuttavia che esso abbia una priorità. Nella maggior parte
delle pellicole l’abilità del regista nell’esprimere la propria
cultura o la propria personalità è più importante della sua incapacità di
trascenderle, ma quando un film sembra possedere un autentico valore trascendente,
una qualità «Altra» - come avviene per Tardo
autunno di Ozu o per Diario di un
curato di campagna di Bresson, allora una prospettiva culturale o
individuale, anche se incisiva e penetrante, risulta insufficiente perché
finisce giocoforza per trascurare la qualità unica dello stile trascendentale,
ossia la sua capacità di trascendere appunto cultura e personalità. C’è una
verità spirituale che può essere raggiunta solo disponendo in modo neutro
oggetti e immagini gli uni a fianco alle altre, e a questa verità non è
possibile arrivare con un approccio soggettivo, individuale o culturale.
Lo studio dello stile trascendentale rivela «una forma
universale di rappresentazione». Le differenze tra i film di Ozu, Bresson e
Dreyer sono perciò di tipo culturale e personale, mentre le loro affinità sono di
tipo stilistico, e costituiscono un modo comune di esprimere il trascendente
nel cinema.
Paul Schrader, IL TRASCENDENTE NEL CINEMA, donzelli editore, 2010
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