domenica 11 giugno 2017

Sulla parete trasparente

Il cinema ha dato all’uomo un senso nuovo: di agire come in una finzione e di vedersi agire. (Corrado Alvaro)

La città aperta e bassa aveva un cinema, un giardinetto dove si ballava l’estate, e nei mesi caldi la vita dei
villeggianti.  … I film che avevano maggior successo erano quelli della vita facile spensierata, libera e ardita, la vita delle città. Nella sala bassa e lunga che odorava di stalla si apriva un’altra dimensione, viveva un altro mondo, e pareva che si fosse aperto un quartiere misterioso in qualche luogo della città piatta. Là tutto era facile, senza drammi. I personaggi diventavano gente vera su cui circolavano malignità. Erano presenti dappertutto, non si sa come formavano un mondo ideale, una vicenda quotidiana che amplificava enormemente la città aperta e distesa, la rendeva avventurosa. Con un poco di pazienza si sarebbero scoperti quei personaggi in qualche luogo, si sarebbe imbattuti in essi a un angolo della strada. Quei personaggi erano gli stessi abitanti della città. Leoni non si accorgeva, per esempio, che uno di questi era sua moglie Teresa.
Ella lo era divenuta all’improvviso, senza accorgersene.
La stanza chiusa, i mobili che rivelavano una vita agiata ma distaccata da tutto e quella donna che per la prima volta manifestava un pensiero di opposizione con quelli di lui, gli davano uno sgomento indefinibile. Si ricordò della sala lunga e bassa, con l'odor di stalla, dove era il cinematografo: il suono corrente che se ne sprigionava ad avvicinarsi, le voci che rimbombavano nella stretta cabina aperta in cui si trovava l’operatore, voci che parevano di litigio; e poi entrare nella sala, le ombre di quelle immagini sulla parete divenuta trasparente, la facilità con cui evadevano da una dimensione all'altra, le loro voci gutturali e
gelose, trepide e piene di una gioia incontenibile, i loro passi un poco barcollanti in quel mondo spettrale, in cui sono i sogni degli alberi, dei fiori, dei bicchieri urtati nei brindisi, dei vetri tersi, dei visi tersi, tutto d’una
materia che ricordava la gomma e l’alluminio, il vetro e la bachelite, tutto, anche gli alberi.
“Vogliamo andare al cinema” disse Leoni, come se promettesse una felicità facile e pronta.  
Mentre ella si vestiva nella stanza accanto, gli pareva che la luce fosse divenuta piú limpida, ed egli vedeva ora tutto con altri occhi, quasi facesse parte di quelle scene irreali che tra poco nella sala lunga si sarebbero aperte ai loro occhi, in una specie di sogno lacustre.
In quei giorni il giovane Tommasi che veniva dagli studi fu accolto come praticante dall’avvocato Leoni.
 “Andiamo al cinema insieme una sera” disse Teresa
Adiamo fuori in campagna un giorno. Prendiamo una macchina e scendiamo in aperta campagna si trova una casa isolata. Si colgono ciliegie da un albero, e si mangiano. Facciamo un po' di cucina sul focolare. Si mette a piovere. La pioggia cola dietro i vetri. Circonda tutto e isola ogni cosa. Si. sta a guardare dietro i vetri,”seguitava Teresa, come se raccontasse una favola. Il battito del motore, e poi lo scroscio della pioggia, avevano lo stesso senso del ritmo della macchina del cinema che scandisce ogni movimento dei personaggi.
Immaginava tutto lieve, trasparente, immateriale. Era una specie di malattia che la divorava. Non voleva mangiare  nulla di quello che le era sempre piaciuto; non le piaceva neppure la sua immagine quando si guardava nello specchio. Si sentiva diventare un'altra: precisamente un personaggio del cinema.
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“E’ molto semplice, “ ella disse il giorno dopo; “mi potrei vestire da uomo mentre il Leoni sta fuori di casa; esce alle nove e torna a mezzanotte o all’una. Ci sono almeno tre ore. Potrei vestirmi con un abito di lui. Nessuno lo potrebbe immaginare.”
 Queste cose le nascevano nella mente con una fertilità incredibile, ed era stupita lei stessa della propria fantasia.
“E allora?" ella insistette, con lo stesso fastidio di quando al cinema si rompeva un film e la luce inondava di colpo la sala, e quel mondo fantastico dileguava come una bolla di sapone. "Allora?”
Non e questione, disse Teresa ostinatamente. Veramente, non ci avevo pensato, prima, che potevo vestirmi da uomo. Stasera verrò di sicuro." Ella parlava come se inventasse un dramma, e come se recitasse. Inventava senza fatica, e ci credeva. Inventava perché voleva vedere quell'uomo interamente posseduto da quella fantasia, e non avrebbe smesso fino a quando non lo avesse dominato del tutto. Viveva in un altro mondo, e tutto il suo viso si trasformava.
Teresa ne fu entusiasta.
Mentre pensava a queste cose, sentiva il sangue che le batteva alle tempie, col suono delle trombe e dei violini che al cinema incalzano chi sta prendendo una grave deliberazione. Questo le dava una voluttà angosciosa. Si trovò davanti allo specchio vestita da uomo, con un abito smesso che aveva trovato in un armadio. Si trovò come travestita per scendere in una miniera. Si cacciò un berretto- in testa fino agli occhi. Voltandosi vedeva la curva dei suoi fianchi delineata sotto la giacca, per quanto la giacca fosse larga. Si ritrovò nello specchio col viso convulso di chi si sente precipitare.
Anzi, dapprincipio aveva, almeno per Teresa, qualcosa di nuovo di facilmente riparabile, come se non fosse lei a quel posto, ma ella recitasse soltanto una parte. Il costume che indossava l’aiutava a sentirsi una forestiera. E non diceva le parole che pensava, ma altre parole, carpite in un’altra vita fantastica; le parve di parlare ad altri e non a suo marito. Un senso di film l’accompagnava di continuo, in questo momento i violini e le trombe tacevano dopo averla assordata per tutta la sera, e le parole cadevano liquide come nella dimensione trasparente della parete del cinema
 …
Che cosa e stata la mia vita? … Che sapevo io? Era stupita che tutto fosse accaduto con tanta rapidità e in un modo irrimediabile. Di nuovo l’immagine dei film si ripresentò alla sua mente: porte si aprono e si chiudono; gente appare, e muta il destino d’altra gente; vapori navigano con la felicità a bordo; chi parte per sempre e chi si riunisce per sempre ad altri.
Teresa si mise a piangere silenziosamente …  “Menzogna, menzogna." Ma non sapeva bene a che cosa dicesse “menzogna”, se alla vita passata o a quella che aveva veduto sulla parete trasparente del cinema. Ora piangeva in un deserto.
"Menzogna, menzogna," disse. I violini del film non suonavano più; a un tratto tutta l”orchestra immagina-
ria cominciò a vibrare cupamente seguendo l’agitazione del suo sangue.

*****

Questo ampia selezione proviene dal racconto “I nemici” di Corrado Alvaro racchiuso ne La Moglie e i 40 racconti (Bompiani, 1963), che raccoglie lavori (anche inediti) pubblicati tra il 1930 e il 1955 su riviste o quotidiani con cui lo scrittore collaborava.
“I nemici” è tra i meno noti presso i lettori e la critica vi ha dato poco conto. Non è così che lo si è letto e riletto.
Certamente il periodo di composizione appartiene a quello di un articolo, Come al cinematografo del 1937, apparso su La Lettura mensile del Corriere della Sera.
Nel momento che videro la luce le due opere alvariane la cinematografia di tutto il mondo era ancora nella sua fase adolescenziale; la tesi che nell’articolo si teorizzava è il tema di fondo del racconto: il cinema come fatto sociale e gli effetti che esso produce sugli spettatori, molto spesso un’identificazione con i personaggi che agiscono su una “parete trasparente”. Comportarsi nella vita reale come contagiati da eroine ed eroi dello schermo, ingaggiati a modelli.


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