La visione di Zachariah
(1971) di George Englund fa ergersi nella mente del mangiatore di film tutta una serie di accostamenti con altre opere
cinematografiche sue contemporanee o
anteriori. Esse abbracciano lavori di autori intellettuali europei come di
abili commercianti hollywoodiani. Ma questo dato è comune a tutti i film della
counterculture sia che venissero
realizzati nella coste west o east statunitensi. Zachariah
è pressoché inedito in Italia. Non attirò dapprima i distributori italici come successivamente
i canali televisivi. Per fortuna c’è il “ vostro/nostro tubo “.
Per alzare il tono gli autori fanno ricorso a Herman Hesse, scrittore
molto in voga tra i giovani di allora. Zachariah cerca l’avventura e il rischio
per colpa della sua pistola comprata per corrispondenza, finendo col meditare
sulla vacuità e vanità degli uomini.
Oggi a noi interessa l’aspetto musicale del film che si amalgama bene
col progressivo svolgimento delle immagini, facendo uso ora di partiture originali di Jimmie
Haskel, ora di musica roots alla maniera di Dug Kershaw, ora di un
arrangiamento velocizzato dell’overture del Guglielmo
rossiniano, ora della folk-psichedelia di Country Joe and the Fish,
dell’acid rock della James Gang e, infine, data la presenza del bronzeo Elvin
Jones esecutore di un tellurico assolo di tamburi, del jazz
d’annata. Non poteva essere altrimenti data la mole di contaminazioni dissipate
nell’opera da parte di chi ha scritto e sceneggiato Zachariah.
Per esempio, Un uomo a metà
era uno straordinario film. lo ho fatto le musiche di cui sono ancora oggi
orgoglioso; una delle poche musiche da me composte che porto nelle sale da
concerti quando posso. Ebbene quel film è stato distrutto dalla critica a
Venezia, perché era straordinario come noi sentiamo che è straordinario. Quello
è stato il mio primo colpo e il momento in cui ho capito che cosa era realmente
il cinema. Non era più possibile andare avanti su quella via.
De Seta, il regista, non ha fatto più film per parecchi anni. Lui aveva messo
tutti i suoi soldi in quel film e lo aveva fatto straordinariamente bene. Non
ha avuto nessun guadagno. E stato rovinato. Queste cose non posso non
considerarle. La scelta è o non fare il cinema o farlo.
Ennio Morricone, Il cinema è musica
Centro Studi Cinematografici Anno XX n. 1-2 gennaio/aprile 1990
Per sgombrare l'aria e renderla respirabile dirò subito che
a me Mario Bava ci crea molte perplessità. La sua pecca è che non doveva
abbandonare la sua arte nelle invenzioni come nei trucchi così come nel posare
le luci. Questi i valori nei suoi film. Peggio di lui i suoi emuli: Argento e Fulci.
L'unico a incuterci terrore è stato
Ingmar Bergman e con lui Sigmund Freud. Il cinema di Bava in fin dei conti è
approssimato: nella scrittura, nella regia e peggio nell'editing e nella post
produzione. Io di cinema non capisco niente, mi piacciono i Sergio e accanto vi
metto i grandi del Sol Levante. Come non faccio distinzione tra Michelangelo
Antonioni e John Ford, conoscitori dell'animo umano, e la compassione la trovo
sia in Rossellini sia in Totò. A Charlot accosto Franco & Ciccio; non mi
accade però di accostare accanto a Bava Kaneto Shindo. Shindo è i Sergio; Bava,
Wood (Ed o Sam). Ora se io sono fatto così accetto che ad altri piacciano i
bavaresi e gli argenti.
Possiamo considerare questo prossimamente di Iginio Lardani il punto più alto delle sue creazioni. Questo lo si deve senz'altro alla sua collaborazione con Pier Paolo Pasolini. Al solito il maestro Igino non ha accreditamenti di sorta per questa ennesima fatica.
Ancora oggi lo stabile dell’ex Cinema Aurora, a sua volta ex Cinema Italia,
in via XXVII Luglio, si presenta così, sebbene ristrutturato e
riconvertito. Senza pensarci, nel 1943 gli americani ci passarono sopra con i
loro bombardieri, sebbene prima vi erano stati onorati con le loro pellicole.
Alba fatale
(regista William A. Wellman, USA, 1943). Due cow boys, capitati in un paese
appartato dopo anni d’assenza, sono costretti ad assistere a un linciaggio.
Guidati da un signorotto, residuo delle armate sudiste, e da una virago
sguaiata, i proprietari del luogo, infuriati per un furto di bestiame; mettono
il laccio al collo a tre poveretti su cui gravano indizi solo apparentemente
rivelatori. Invano il capo della piccola carovana, accusato di furto, supplica i
manigoldi di soprassedere all’esecuzione in modo che egli possa provare la
propria innocenza; invoca i figli ignari e la tenera moglie che lo attendono a
casa: all’alba sarà impiccato con i suoi occasionali compagni, un vecchietto
svanito e uno straniero indesiderabile. Sulla via del ritorno gli assassini
verranno a sapere di avere ucciso tre innocenti. William A. Welhnan, un onesto
e provato regista, ci ha dato con Alba fatale un capolavoro perché ha saputo rivelarci
una evidente verità morale, cioè che a nessuno è lecito farsi giustizia da sé,
accompagnandola con una rivelazione più insidiosa e sottile: di quanta crudeltà
e perfidia sia capace certa gente sotto il manto della più virtuosa indignazione.
Il racconto è rapido, serrato, per nulla sentimentale, con una apertura rustica
all'inizio di assoluta efficacia.
I protagonisti de L'avventura, Monica Vitti e Gabriele Ferzetti, a Noto SR arrivarono veramente. Per l'esattezza la ciltà culto del barocco siciliano dista da Schisina ME 150 km circa.
Oggi
la città di Noto, quella del film di Antonioni, rivive grazie alle immagini di
Salvatore Carannante già citato nella precedente pubblicazione. Un atto dovuto
visto che il buon Carannante ha aperto le vie della fotografia a parecchi di
noi.
La veritiera citazione d'apertura è pronunciata nel film da Gabriele Ferzetti.
Senza nulla togliere a Aldo Scavarda, Giovanni Fusco, Eraldo Da Roma e
Fausto Ancillai, rispettivamente cinematographer, musicista, montatore e missagista, mi sono
brigato, da brigante, a fare incontrare, per una volta, due insegne del cinema
italiano, che mai hanno avuto modo di far fiorire le loro menti all’unisono .
Il mezzo è questo frammento de L’avventura
(1960) e un testo molto pertinente alla sostanza del film (sembra proprio
uscire da quelle immagini) di Gino Paoli, Anche
se, cantato da Ornella Vanoni, colorizzato dal Maestro Morricone, in quel
tempo ascending verso l’universo bachiano.
L’occasione è data da un pellegrinaggio a Schisina,Villaggio
del comune di Francavilla di Sicilia, S. S. 185 di Portella Mandrazzi, in provincia di Messina, per ricatturare pochi
shots dell’opera di Michelangelo
Antonioni. Lavoro poco rimarchevole senza l’aiuto del boss della foto
messinese: Sandro Messina. Ma si, c’erano pure, lasciata per poco la loro sede cattedratica,
Carannante e Mondello, passati, ahimè quelli, e noi, dalla camera analogica alla
digitale. Ormai siamo tutti digitalizzati digitalizzanti digitalioti, orfani
dell’analogico, come direbbe Carlo Emilio Gadda.
Sequenza dell'arrivo a Schisina (nel film ribattezzato Noto) SR musicalizzata con Anche se di Gino Paoli cantata da Ornella Vanoni, colorizzata dal Maestro Morricone.