Questa
volta Benito Alazraki il regista di El
Toro Negro lo portiamo dentro il
Circolo di Cultura Cinematografica " Yasujiro Ozu "
Complice anche il compagno Georges Sadoul che ebbe parole di elogio
verso questo regista messicano, nonché poeta e guinonista, vale a dire
soggettista.
Raìces ( Radici, 1954) è considerata una delle pellicole pioniere del cinema
messicano indipendente, realizzata in condizioni molto speciali al margine del
meccanismo produttivo convenzionale. La si deve principalmente al produttore
Manuel Barbachano- Ponce e allo sceneggiatore Carlos Velo esule in Messico
dalla Spagna franchista.
Concorsero alla riuscita finale anche il cinematographer Walter Reuter, che fu responsabile delle luci
del langhiano Metropolis (scusate se
è poco) e un gruppo di autori di musica colta tra i più dotati di quel paese.
Se c’è una cosa da accostare a Raìces
è una raccolta di musica popolare messicana,Mexico,
fiestas of Chapas & Oaxaca, registata da David Lewiston negli anni
settanta del secolo scorso e pubblicata dalla Elektra Nonesuch, proprio in
alcune delle regioni dove è stata girata la pellicola di Benito Alazraki.
L’intento è lo stesso: raccogliere e conservare le tradizioni dei costumi come
dei suoni delle popolazioni indie.
Nell’opera Aazraki anticipa lo stile che contraddistinguerà El Toro Negro: coniugare la finzione con
il documentario ; si suddivide in
quattro episodi più un prologo costituito da una serie di immagini che
riproducono il paesaggio archeologico messicano e la sua relazione con gli
abitanti indigeni che rappresentano il popolo nativo, autentico, che ha dato
forma alla nazione messicana prima di Cortez il killer. Ogni episodio è
introdotto da una voce femminile o maschile che corrisponde al punto di vista
di un personaggio, non necessariamente il protagonista. Inoltre ogni episodio è
volutamente interpretato da autentici indios reclutati nelle zone dove si
svolgono i fatti.
In sintesi il primo episodio La
Vacca descrive la povertà di una coppia di giovani alle prese con la mancanza
di cibo per se stessi e la neonata figlioletta, la giovane donna finirà
collaboratrice domestica in città per aiutare marito e figlia; nel secondo, Nostra Signora, una studentessa
americana arriva in bicicletta per scrivere la sua tesi di laurea sulla vita
selvaggia degli indios messicani, scoprirà che gli indios sono molto più evoluti
di come li aveva studiati e descritti; il terzo, Il Guercio, un bambino cieco di un occhio, deriso dai suoi coetanei
viene condotto dalla madre dapprima da una specie di stregone e subito dopo in
pellegrinaggio al santuario dei Re Magi per essere miracolato, a causa di uno scirfarolu, petardo, perderà
completamente la vista, conseguentemente gli altri ragazzi non lo insulteranno
più; in fine, La Puledra, un
archeologo straniero impazzito per una giovane india propone al padre di lei
l’intenzione di comprarla col risultato di sentirsi chiedere da quest’ultimo la
moglie per il doppio del valore della giovane.
In tre degli episodi il contrasto è tra i personaggi di pelle scura
contrapposti ai bianchi, il rimando è evidente: il mondo autentico delle
popolazioni indie in opposizione a quello civilizzato; si aggiungono anche
elementi simbolici di rottura come l’automobile decappottabile dalla cui radio
fuoriesce un motivo moderno, il quadro della Gioconda , le croci ed il congegno
in legno e corda per trascinare il ragazzo cieco che stabilisce una
correlazione tra essere umano e animali da lavoro, i vestiti della giovane
ragazza, oggetti di feticismo per lo straniero.
Sempre il compagno Sadoul riteneva, ed altri con lui, l’episodio del
guercio il meglio riuscito con quel sapore di cinema estetizzante europeo di
sapore neorealista: in poche parole felliniano.