lunedì 17 marzo 2014

Viva Roberto Rossellini, Viva Stefano D'Arrigo

OGGI 


Viva l'Italia di Roberto Rossellini di certo non va catalogato nelle opere minori di uno dei pochi veri maestri che ha avuto il cinema italico.
Sceneggiato con uno schieramento che potremmo, col senno di poi, definire da compromesso storico è essenzialmente un film didattico. Forse il suo primo film didattico che proseguirà con le opere televisive e finirà con Il Messia e la biografia del fondatore del regime successivo ai Savoia.
Quando uscì nel 1961 si volle celebrare il secolo dell'Unità d'Italia, se unità c'è stata, e l'opera liberatrice di don Peppino Garibaldi.
Rossellini ed i suoi collaboratori guardano innanzi tutto a Garibaldi ed alla sua missione, che era quella di togliere il Regno delle Due Sicilie dalle mani di Francesco secondo di Borbone senza per altro l'aiuto concreto da parte di chi ne avrebbe poi beneficiato, i Piemontesi.
Per fortuna che c'erano I Mille in camicia rossa. A loro si unirono da subito tutte le popolazioni delle regioni meridionali che avrebbero attraversato: i Siciliani dapprima, i Calabresi successivamente, Lucani e Campani in fine, quando Garibaldi dovette cedere la dittatura all'ingrato Vittorio Emanuele ed affrontare l'esilio.
La figura di don Peppino, Renzo Ricci nascosto dalla pinguedine e dalla bionda barba come dalla voce di Emilio Cigoli, è descritto come un allenatore di una squadra di calcio quando spiega le tattiche a Nino Bixio (Paolo Stoppa) o quando invita alla calma ed alla riflessione i guerriglieri rossi. A momenti sembra che il liberatore non abbia nemici da sconfiggere anzi gli unici a contrastarlo sono proprio i Piemontesi. Perfino Francesco II è descritto come un gentiluomo rimpianto da subito dai suoi cortigiani.
Il  maestro descrive l'avanzata ed i successi di Garibaldi con mano soffice, testimone l'obiettivo della cinepresa, a volte ferma, a volte vagante sul paesaggio, e in un momento ci ricorda anche l'attimo più alto e più conosciuto del suo cinema, quando Giovanna Ralli, la quale interpreta una popolana scillota, Rosa, che di corsa si scaglia contro le guardie borboniche, e in corsa è stesa al suolo, per avvisare i garibaldini che stanno sbarcando sulla costa calabra; sorge subito in noi l'accostamento alla corsa di Anna Magnani ed alla mitragliata tedesca che l'atterrerà in Roma città aperta.
Allo spettatore che risiede sulle rive di Cariddi, qualche minuto prima, appare un paesaggio noto, poco deturpato dalla speculazione edilizia. Ci troviamo sul Capo Peloro. La cinepresa fa una panoramica sulla Calabria di fronte, gigantesca, azzurra, quindi si ritrae ed appare la Torre, ancora quella che è stata l'area del tiro al piattello doveva sorgere, quindi ruotando se ne va verso il faro, che sorgerà solo in anni più recenti. Per chi non lo sapesse siamo sul luogo delle gesta di 'Ndria Cambria, Ciccina Circé e dell'Orca ferone raccontate da Stefano D'Arrigo in Horcynus Orca. E la panoramica che si citava prima sembra una trasposizione in immagini della scrittura del più grande prosatore siciliano, e non solo, del novecento.



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