mercoledì 8 aprile 2020

Raffaello Matarazzo


I REGISTI (senza peli sulla lingua)
RAFFAELLO MATARRAZZO
DI EUGENIO GIOVANNETTI

Raffaello Matarazzo è un uomo che appartiene al più' vulcanico regno della mia fantasia: a quello dei treni avviati verso lidi marini, e delle città improvvisate. Ci siamo trovati, l'ultima volta, in un treno per Ostia e
abbiamo parlato a lungo, soli, sul terrazzino del vagone. Su quello storico terrazzino, il mondo  prediletto delle immagini matarazziane di Littoria e di Mussolinia e di Treno popolare, s'incontrava con quello dei miei sogni infantili più segreti.
L’Adriatico ha invase e trasformate tutte le immagini che venivano organandosi nella mia fantasia di ragazzo. Poiché c'era da fare una ventina di chilometri in ferrovia per giungere alla spiaggia, una delle mie prime artistiche gioie fu il disegnare lunghi treni che intravedo ancora sui quaderni lineati d`azzurro. Quei convogli, che si continuavano talvolta in più linee l'una sotto l’altra, erano per me così splendenti di mare che, al ripensarli, mi par di travederci anch'oggi il tremolar della marina e quasi nello stesso odore in cui ella m`appariva, il più nitido tra quanti m'abbiano mai rinfrescato l’anima.
Questo profumo dei profumi pervadeva, per me anche luoghi graveolenti, purché connessi con l’idea dell'agognata spiaggia. La stazione del mio paese, che vedevo dalle mie finestre ed in cui facevo ogni giorno una capatina, era un luogo d’incanti. Lo stesso magazzino della piccola velocità, pieno di trambusto d’acri odori, avevo trasformato in una specie di gioioso preambolo d'un porto. Ci sentivo, ci vedevo brulicare già l’infinito del mare.
Il mare mi segui anche nell’interno del palazzotto in cui vivevamo. Lo ebbi ben presto anche nella camera da letto, quasi a portata di mano, nell'angolo in cui ardeva il lumino da notte. Avevo immaginato là, sotto il comò, una città portuale, con grandi connessioni ferroviarie per ponti, vialotti, gru. Nessun porto-capolavoro della meccanica riuscirà mai a stupire chi abbi immaginato un simile nodo di vie nell'assurdo, al di fuori delle categorie dello spazio e del tempo.
Toccai allora il culmine di coteste architetture immaginando che l’angolo esterno della stanza in cui dormivo, volto a monte, fosse una prova navigante all'infinito pel silenzio della notte. Io era così il dormente della stiva, il nauta dell'immensità.
La pervicacia di cotesto infantile navigare è castigata forse oggi da un sottile, quasi ironico incubo, quando avverto in sogno come una fatalità l’assurdo d'una grande nave con cui risalgo per i più tenui fili d'acqua, su per rigagnoli e grondaie e tetti, sino allo stillante vertice d'una torre.
Il regista Matarazzo non si dorrà, io spero, quando gli avrò confessato che i suoi film mi riconducono, sovente a questa zona infantile del paesano e dello assurdo.
 Il regista Matarazzo ha esordito, con Littoria e Mussolinia nell'annata famosa dei buoni documentari: il 1932. L'anno successivo vedeva il suo primo film, il più giovanilmente fresco: Treno popolare.
Da allora ha fatto un po' di tutto, dissipando una tenue vena idilliaca.
Il suo incontro con comici popolari i De Filippo, è stato abbastanza felice nel 1938 (Sono stato io) ed ancor più felice nel 1941 (Notte di fortuna). Peppino De Filippo è qui forse alla sua miglior prova filmistica, in un quarto d'ora di meridionale irresistibile foga. La vena idilliaca per quanto assottigliata, rinfresca ancora questo film scapigliato.
L'indifferenza, l'apatia, la sciatteria, il musulmanesimo, sono invece evidentissimi nell'Avventuriera del piano di sopra: una cosa trascurata, trascicata, senza luce, tutta insulsaggini e volgarità. Il Matarazzo, quando ci si mette, quando ripiega su sé stesso, sa veramente che cosa sia dormire: è un piccolo mussulmano sonnacchioso, svogliato, acidulo. Vi ricorda allora col suo cognome e con la sua sbadigliante faccia, il gran verso meridionale:
o chiù bellu da vita è durmì.
 Il giorno in cui, per una comica fantasia, tutti i mobili essenziali d’una camera da letto si caratterizzassero in forme umane, l`omomorto spilungone assumerebbe forse la testa d'Antongiulio Bragaglia, il comodino quella di Massima Bontempelli, il comò quella di Rosso di San Secondo, la poltrona quella della Borboni: ma il matarazzo non avrebbe alcun bisogno di prendere a prestito una testa: troverebbe la sua bell`e pronta e battezzata e impastata di grasso e di sonno e sbadigliante già all'infinito nel regista Raffaello dall'ironico nome. 
Ecco un’immagine che mi ha portato lontano da quelle dei treni popolari e delle agognate spiagge e dei vulcanici terrazzini, in cui il regista Matarazzo ed io ci siamo un giorno incontrati. Qui i nostri sentieri divergono. Il matarazzo ci divide, poiché le navi vulcaniche dei miei sogni continuano ad arrampicarsi su per fili d’acqua, verso le grondaie e la punta stillante dei campanili; ed il regista Raffaello è invece un dormente che non sogna più nulla e trova che il più bello della vita è il dormire tra due guanciali.
Io non so s’egli abbia in questo tutti i torti. Quel po’ di dubbio filosofico ch’è in me basta a farmi sospettare ch’egli possa aver ragione. Dormi pure, o Raffaello, ma non mio sonniferare, perché se mi ci metto a dormire, io …  Tra letterati sonniferi che m’opprimevano, io sono stato capace di dormire vent'anni, tutti d’un fiato... Ma allo svegliarmi, esigo un ponce caldo, drogato, forte… Non mi parlare d’Avventuriera del piano di sopra ché sono 'cose di pretesa eleganza, che tu non sai fare, che non hai mai saputo fare... Parlami, se vuoi, di paese, ma d’un paese indemoniato in cui la gente rizzandosi dalla bara, voglia tornar subito a bere saporito ... Dov'è successo questo? E' successo al camposanto di Firenze. Avevano mandato al custode, già nella cassa, qualcuno che pareva morto ed era soltanto in catalessi. Eccoti d`improvviso un gran fracasso nella sala mortuaria. Il morto s'è levato e protesta. Il custode accorre e deve spiegare, ma il resuscitato continua a far chiasso e a lagnarsi per lo stato in cui l'han ridotto. O che si fa? Per rimetterlo di buona voglia e farlo uscire, il custode prepara un famoso ponce.
Nel rimandare in municipio il certificato mortuario, il buon custode si limita a notare in margine: mandateceli morti bene, se no si rizzano e vogliono il poncino.
Ma sono tutte smanie ch'io racconto, tanto per guadagnar tempo. Ancora una volta, il Tetrarca Doletti m'ha mandato a_ spasso. Voi capite che quella ch'io volevo non era affatto la testa del girovago e sonnacchioso Raffaello, un buon diavolo tutto sommato, che tocca, come me, sovente i vertici dell’assurdo. No, io insistevo, ancora una volta per avere la testa del regista Jokannan, la sola per cui io mi sia mosso e che, di rinvio in rinvio, di sostitutivo in sostitutivo di diversivo in diversivo, ha finito col farmi disegnar tutta questa Villa dei registi.
Se Dio vuole, la prossima volta è la buona: la prossima volta il mio cavilloso Tetrarca mi concederà finalmente la testa autentica di Jokannan e non più un sostitutivo con cui gingillarmi.
E' ora di finirla. In fò qui la figura d’una Salomè isterica e letteraria, che il Tetrarca pigli graziosamente in giro: non della Salomè truculenta, musicata da Strauss, ma di quella trascendentale e ridicola, ironizzata dal Laforgue: di quella ragazza, esasperante che fa dire ai principi del Nord, ospiti del Tetrarca: “ma a che ora la mettono a letto questa noiosa?”
Basta! La prossima volta avrò finalmente la vera testa, quella del mio Jokannan. E sarà finita questa novella dello stento.
Eugenio Giovannetti.

Opere di Raffaello Matarazzo: Littoria e Musssolinia (1932) - Treno popolare (1933) - Kikì, Frutto acerbo (1931) – Il serpente a sonagli (1935) -- Anonima Roylott, Joe il rosso, E' tornato carnevale (1936) – Sono stato io, L'albergo degli assenti, Il marchese di Ruvolito (1938) – Trappola d’amore (1939) – Giù il sipario (1940) – Notte di fortuna, L'Avventuriera del piano di sopra (1941).

 film SETTIMANALE DI CINEMATOGRAFO TEATRO E RADIO ANNO V - N. 7  14 FEBBRAIO 1942 XX

La testata si riferisce al film Un colpo di pistola diretto da Renato Castellani con Assia Noris. Fosco Giachetti, Antonio Centa, Rubi Dalma (Prod. E Distr. Lux)


lunedì 6 aprile 2020

That kind of man


Eating four cups of brown rice, miso and a few greens each day...
Leaving hlmself out of the account...
Watching, listening, understanding and not forgetting...
living in the shade of a pine grove, in a field, ln a small thatched hut...
To the sick child in the east he tends...
To the tired mother in the west he beats sheaves of rice...
To one dying in the south he says, 'Do not fear "...
To quarrels or lawsuits in the north he says, "Be not petty "..
ln drought he weeps...
ln a cold summer he paces...
Called a fool...
Not praised, not criticized.
I want to be that kind of man. "


'Mangiando quattro coppe di riso integrale, miso e un pò di verdura ogni giorno...
'Rimanendo al di fuori di ogni merito...
'Osservando, ascoltando, capendo e non dimenticando...
'Vivendo all'ombra di un pineto, in un campo, in una piccola capanna di paglia...
'Del piccolo bimbo malato dell'est si prende cura...
'Per la stanca madre dell'ovest porta fasci di riso ...
'A colui che sta morendo a sud dice, "Non aver paura"...
'Ai litigi e alle cause del nord dice, "Non essere meschino"...
'Durante la siccità piange...
'In una fresca estate passeggia...
'Considerato uno stupido...
'Ne osannato, ne criticato:
'Voglio essere quel tipo di uomo.'
Takashi KoizumiAmida-do dayori (Letter from the Mountain), 2002

domenica 5 aprile 2020

Oggi e domani (mattinata studentesca) al PELORO






Cinema Teatro Peloro 1932 - 1959
Messina - via dei Mille, ang. via Tommaso Cannizzaro

giovedì 2 aprile 2020

Giudici, gambe & morale


 UNA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI ROMA
Le gambe di Sophia Laren
non offendono la morale
Una interessante udienza con esibizioni di fotografie
riproducenti donne nude di ogni tempo

Roma, 15 febbraio
La quarta sezione del Tribunale di Roma ha stabilito con regolare sentenza che le gambe di Sofia Loren non sono immorali.
Questa notizia consolante ha ripagato della delusione provata l’enorme folla che gremiva questa mattina, per la seconda volta, i corridoi e l’aula della sezione dove si è svolto il processo a carico del giornalista Gualtiero Iacopetti, direttore del giornale «Cronaca», imputato di avere pubblicato una foto riproducente le famose gambe in questione.
Delusione perché la folla attendeva di vedere in Tribunale la «Sofia Nazionale» in carne ed ossa, ma né la bella attrice napoletana, né il fotografo Domenico Esposito (autore della foto incriminata), citati come testi in difesa dell’imputato stesso Iacopetti si sono presentati in aula.
Il Tribunale ha pregato la difesa dell’imputato a rinunciare alle testimonianze sia dell’attrice che del fotografo.
Il P. M. non ha avuto nulla da eccepire ed è caduta così la multa di lire 10.000 che nella precedente udienza il Tribunale aveva inflitto alla bella attrice in udienza.
Prima che prendesse la parola il P. M., l'avv. Cesare D'Angeloantonio difensore dell’imputato ha esibito al Tribunale una serie di fotografie di belle donne riprese in audacissimi costumi, ben più provocanti di quella incriminata.
Fra la delusione dell'immensa folla che aveva atteso per oltre quattro ore, il P. M., affermando che la fotografia di Sofia Loren era sul confine fra il lecito e l’indecoroso, degradando la imputazione elevata contro lo Iacopetti da pubblicazione di foto oscene offendenti la morale in quella di pubblicazione di foto offensive della licenza, ne chiedeva la condanna ad un’ammenda di ottanta mila lire ma non per le riprodotte gambe di Sofia Loren, bensì per il nudo di un’artista straniero a pagina 40 del numero incriminato.
 L'avv. D'Angeloantonio ironico e brioso, vivace e frizzante, facendo un po' la storia del senso di pudore di epoca in epoca, di paese in paese, di mentalità in mentalità, e mostrando al tribunale una specie di album entro il quale erano raccolte quantità di nudi ben più provocanti di quella in contestazione, nudi pubblicati in Italia o circolanti in Italia per i quali nessuno si era mai sognato di elevare imputazione o lamentela qualsiasi, ha chiesto al Tribunale, se proprio non poteva assolvere l’imputato, l’applicazione del minimo dell'ammenda. Il Tribunale ha condannato lo Iacopetti all'ammenda di lire ottantamila, la confisca del numero nel erano stampate le foto cui aveva accennato il P. M. e la pubblicazione della sentenza in un numero di «Cronaca». 
GAZZETTA DEL SUD 3 febbraio


mercoledì 1 aprile 2020

HONEY BOY


You know, a seed has to totally destroy itself to become a flower.
That's a violent act, honey boy.

Un seme si deve autodistreggere totalmente per diventare un fiore.
E' un atto violento, orsacchiotto
Shia LaBeouf, Honey Boy, 2019

lunedì 30 marzo 2020

A difference




It might be true that there are six billion people in the world and counting.
Nevertheless, what you do makes a difference.
It makes a difference, first of all, in material terms.
Makes a difference to other people and it sets an example.
In short, I think the message here is... that we should never simply write ourselves off... and see ourselves as the victim of various forces.
It's always our decision who we are.

Ci sono sei bilioni di persone nel mondo.
Eppure quel che fai fa una differenza.
Fa una differenza in termini materiali e per altra gente. Dà un esempio.
Il messaggio è che non dovremmo mai sottovalutarci … e vederci come vittime di varie forze.
Chi siamo è sempre una nostra decisione.
Richard Linklater, Walking Life, 2001

domenica 29 marzo 2020

Un leone a Culver City - Un director impegnato



Il caso di King Vidor indice di un sistema

Il caso di Vidor può servire a illustrare forse meglio di tanti altri - data la personalità del regista e l'indiscutibile fiducia che si doveva fin da allora avere in lui - l'implacabilità di un metodo ormai divenuto sistema: può infatti apparire curioso che l'autore di La grande parata abbia potuto dirigere subito dopo due film nettamente plateali e di assai relativo impegno: La Bohème (1926), ispirato a " La vie de Bohème " di Murger (in cui la Gish, Gilbert e la Adorée vestivano rispettivamente i panni di Mimi, Rodolfo e Musetta), un film tuttavia alla cui ambientazione non mancava un certo profumo; e Bardelys the Magnificent (Bardelys il Magnifico, 1926) da un romanzo di Sabatini, con John Gilbert e Eleanor Boardman, una volgare e  poco convinta replica dei film di Douglas Fairbanks, assolutamente indegna della firma del regista. Ma basta osservare ad esempio con attenzione un "si gira" di La Bohème  in cui il giovane Thalberg, a braccia conserte, " controlla " affettuosamente la ripresa di un primo piano della protagonista (Vidor è il secondo da sinistra), per rendersi conto dell'importanza acquisita in quegli anni dalla figura ormai determinante dell'executive producer. Solo con The Crowd (La folla, 1928), uno degli ultimi e più convincenti esempi di cinema muto, Vidor riuscirà a prendersi una netta rivincita sulla produzione in serie. La folla, film palesemente influenzato dai migliori prodotti del realismo psicologico tedesco, narrava con spoglio vigore l'umile vicenda di una coppia di sposi (James Murray e Eleanor Boardman), soffocati dal bisogno e incapaci di elevarsi al disopra dell'anonima marea di gente che popola la grande città: l'ingenuità di certi sviluppi e la schematica struttura dello scenario (avvilito per giunta da un posticcio quanto detestabile " happy end ") venivano tuttavia riscattate dalla toccante attualità del tema, dalla coraggiosa impostazione dei personaggi e degli ambienti costruiti e descritti con inusitata obiettività, e infine dal sapientissimo uso della macchina da presa. Nonostante l'accoglienza entusiasta della critica, il film ottenne un mediocre successo: il pubblico americano - distratto e volubile - pareva poco propenso a interessarsi di problemi umani e sociali che lo riguardavano direttamente e preferiva piuttosto evadere dalla realtà quotidiana attraverso le avventure impossibili, gli amori travolgenti e le "revues " in bicromia. E mentre i primi rintocchi della crisi (la cui dura realtà, le poco gradevoli immagini di La folla con il loro eloquente silenzio, mettevano straordinariamente a fuoco) venivano sopraffatti dal gracidare del " Vitaphone " e del " Movietone '', Vidor era costretto a tornare alle esperienze minori dirigendo Marion Davies in Patsy (1928) e Show People (Maschere di celluloide, 1928).(continua)
Fausto Montesanti
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10 NOVEMBRE 

In apertura King Vidor e Irving Thalberg osservano Lilian Gish sul set de La Bohème, di seguito James Murray e Eleanor Boardman in The Crowd