mercoledì 17 aprile 2019

Andrej Tarkovskij in Sicily - Taormina & Castelmola


22 July 1980, Taormina
Sunbathed. Had lunch with Rondi and his wife (I've already lunched with them twice by the swimming-pool). Walked around the town, went to look at a delightful little town on a rock (next door to Taormina).
Taormina is a wonderful place too. The sun is not at all the same here as in Rome. It's hot! I'm not feeling particularly well.
Tilda brought my things over from Rome today and left a note saying she would ring.
Missing Lara and Tyapus and Dakus dreadfully. How do they keep going without me, the darlings!
Rondi said he would telephone Fichera again, in order to find out definitely what RAI intend to do about Nostalgia.
Andrej TarkovskijThe Diaries1970-1986

martedì 16 aprile 2019

LA CITTA' E LO SPAZIO in Vittorio De Sica - Il furto di Ricci


Ciò che figurativamente colpisce nel cinema di De Sica è la cura straordinaria posta nella costruzione dell'inquadratura nel momento- fulcro relativo al problema umano e morale del protagonista. Ovvero, l'attenzione compositiva tutta tesa a creare un’immagine che sia di per sé eloquente correlativo oggettivo dell'isolamento del personaggio. Uno degli esempi più chiari è senza dubbio in Ladri di biciclette.
La sequenza è quella del furto di Ricci, vale a dire il punto d'arrivo verso il quale tutte le linee portanti del film avevano teso fino a quel momento. Disperato, il protagonista si imbatte in un deposito di biciclette fuori dallo stadio esultante. A lui il divertimento è precluso perché è precluso il lavoro, la speranza di una vita vissuta in modo più umano, la sicurezza che quel piccolo impiego gli aveva in un primo tempo concesso. Il furto subito è stato una sorta di ritorno alla realtà, o meglio, l’occasione di verificare l'indifferenza, l’ottusità, la brutalità, la menzogna, la crudeltà della città, del gruppo, della società. Lì, davanti allo stadio, la prima epifania, l'improvviso pensiero che un modo ancora c'è per risolvere la sua disperata situazione, il suo problema di uomo e di lavoratore: le biciclette se ne stanno ammassate l'una all‘altra, un groviglio di ferro inestricabile, basterebbe allungare una mano ed una di esse ne uscirebbe fuori senza che l'insieme ne venisse in qualche modo diminuito, senza che nessuno potesse accorgersi del furto. La trovata è di una formidabile profondità psicologica naturalmente il furto è impossibile, trattandosi di un deposito custodito, ma il momento è perfettamente la dimensione psicologica che rende possibile, fattibile il furto come atto in sé agli occhi del protagonista. Poi, il secondo momento. Ricci vede  una  bicicletta appoggiata all'esterno di un portone [e il pensiero dello spettatore corre subito al momento in cui, accompagnata la moglie dalla veggente, il protagonista aveva lasciato allo stesso modo la sua bicicletta sulla strada, chiedendo a un ragazzo di darle un'occhiata mentre lui si assentava e creando, fra l'altro, un momento di notevole suspense , subito ridimensionato dalla presenza del veicolo,  scoperto con calcolata indifferenza dalla macchina da presa che aveva accompagnato alla uscita marito e moglie già per le scale interne dell'edificio). Allontanato con una scusa il figlio, l'uomo si avvicina alla bicicletta: l’inquadratura è perfetta, gli elementi che la compongono, essenziali. L'ala dell‘edificio che sta alle spalle del protagonista presenta una sostanza geometrica non casuale: balconi, finestre, spigoli, grondaia, intelaiatura del portone, l'inquadratura è fatta di una serie di linee geometriche la cui funzione è quella di staccare il protagonista dallo sfondo, isolarlo nel gesto del furto, evidenziarne la situazione psicologica e morale. L'uomo non ha sullo sfondo una casa o un muro, ma, appunto, una serie di linee, verticali e orizzontali che si intrecciano in senso normale e che fungono da antitesi figurativa all'uomo e all'oggetto, al puro fine di isolarli nel momento culminante del problema di fondo, nella scelta etica imposta dalla disperazione. E‘ certo un momento di grande bellezza, poiché in esso la costruzione figurativa diventa, come si diceva, segno della situazione morale e umana (si noti, fra l'altro, che a differenza del ladro che gli ha rubato il suo veicolo, l‘uomo si dà alla fuga dirigendosi per una strada in leggera salita, ad indicare ulteriormente non soltanto la sua ingenuità, ma soprattutto, attraverso di essa, la sua sostanziale estraneità morale di fondo all’atto che ha compiuto].
Una scena simile è rintracciabile più di una volta nel cinema di De Sica. In Sciuscià, per esempio, quando la macchina da presa inquadra il ragazzo seduto insieme al malatino napoletano sulla panchina del cortile della prigione durante l'ora di ricreazione. Pasquale è stato appena accusato di tradimento da Giuseppe e il suo isolamento morale e ben indicato, secondo il medesimo procedimento compositivo della scena del furto in Ladri di biciclette, dalle linee geometriche della panchina e del muro di fondo dalle quali, per così dire, emerge   isolato il personaggio {qui, anzi, la presenza del malatino contribuisce a rafforzarne ancor più l'isolamento, dal momento che l'unica persona che ne accetta la vicinanza è un bambino che è l'immagine stessa della solitudine, e virtualmente un morto]. Oppure ancora, in Umberto D., in una scena che già abbiamo citato e che è uno dei culmini dell'atroce peripezia morale del protagonista, Umberto ha appena deciso di abbassarsi all'umiliazione della carità (lui, per anni è un funzionario dello Stato] e ad evidenziare la sua tragica decisione si innalza alle sue spalle la possente verticalità del Pantheon, a ridurne la figura a dimensioni microscopiche, a minacciarne la dimensione di uomo povero, afflitto, disperato.
Sono momenti esemplari, questi, nel cinema di De Sica, e momenti nei quali |'impiego dello spazio si svela come il protagonista figurativo di tutta l'opera in quanto suo catalizzatore emozionale, elemento compositivo che evidenzia, ingigantisce e finalmente fa esplodere la problematica dei protagonisti. (continua)
Franco La Polla, BN BIANCO NERO, MENSILE DI STUDI SUL CINEMA E LO SPETTACOLO 9/12, 1975


mercoledì 10 aprile 2019

Natural Born Killing


The Killing of America (1982) di Sheldon Renan e Leonard Schrader è un'opera crudele, come crudele è stata la vita con le vittime e i carnefici suoi protagonisti. Essa ancora è un'ulteriore conferma della genialità del cinema di Leonard & Paul Schrader da The Yakuza (1974) a Naked Tango (1990), da (1976) Taxi Driver a Fist Reformed (2017).
America is the only industrialized nation with a higher murder rate than countries ravaged by civil wars, like Cambodia or Nicaragua. There is an attempted murder every 3 minutes and murder victim every 20 minutes. Japan, England and West Germany with a combined population equal to America have 6,000 murders a year and America has 27,000 a year. https://topdocumentaryfilms.com/killing-america/
Opening with a juxtaposition of real-life footage of a man being shot to death by law enforcement and the flowing stars of the American flag. https://www.thefilmagazine.com/the-killing-of-america-1981-review/
"The project really was conceived by Leonard Schrader. It was his vision. He started it and he finished it. He didn't happen to direct it, because he wasn’t a director at the time". Shldon Renan https://thequietus.com/articles/21395-killing-of-america-interview

Nella foto Leonard Schrader con il pruliomicida di Santa Crus Ed Kemper http://www.leonardschrader.com/


Leonard Schrader
1946 - 2006

martedì 9 aprile 2019

Detective Thriller - Spellbound

Spesso le funzioni del «detective » e quelle dello psicanalista sono riunite in un personaggio unitario: la dottoressa Costance Peterson [Ingrid Bergman) di Spellbound (1945, lo ti salverò) di Altred Hitchcock. Non di rado la convergenza avviene in nome del dilettantismo esercitato in entrambi i campi il Mark Rutland [Sean Connery) di Marnie (1964), sempre di Alfred Hitchcock. E in un caso come nell’altro la loro funzione è quella di provocare la scarica emotiva o abreazione dei loro « protegés ››, rispettivamente John Ballantine [Gregory Peck), affetto da amnesia, e Marnie Edgar (Tippi Hedren), affetta dia cleptomania e frigidità. Si tratta dunque di interventi salutari.
Ma ci sono casi in cui conoscenza e teorizzazione non sanno di simulare la Iorio derivazione da Satana, in nome di queIl’anti-intellettualismo che costituisce una caratteristica prevalente del cinema hollywoodiano classico e dell'anima americana: fin dalla prima inquadratura Laura (1944, Vertigine) di Otto Preminger (da un romanzo di Vera Casparyl, con una panoramica lungo una serie di scaffali occupati da « objets d’art ››, ci introduce nell'universo del freddo e cinico « testa d’uovo›› divenuto assassino per gelosia, Waldo Lydecker [Clifton Webb). Così come il lato investigativo e deduttivo di ogni « detective story » ha bisogno di un apporto di violenza, così come un evento sanguinoso ha bisogno del contributo di un'intelligenza al lavoro che lo nobiliti, ogni rompicapo necessita di un talento sinistro e compulsivo [lo stesso investigatore di Laura, Dana Andrews, non è esente da una certa indulgenza nei confronti della necrofilia). (continua)
Franco Ferrini, I GENERI CLASSICI DEL CINEMA AMERICANO, BIANCO E NERO, 1974 Fascicolo ¾

giovedì 4 aprile 2019

Who is to judge?



A judge can do whatever he wants with the life of others.
Nobody is telling the truth here.
Who decides, who is to judge?
Hirokazu Koreeda, The Third Murder, 2017


mercoledì 3 aprile 2019

Uncertainty... Certainty



Uncertainty...
That is appropriate for matters of this world.
Only regarding the next are we vouchsafed certainty.
I believe certainty regarding that which we can see and touch, it is seldom justified, if ever.
Down the ages, from our remote past, what certainties survive?
And yet we hurry to fashion new ones.
Wanting their comfort.
Certainty ... is the easy path.
Just as you said.
"Straight is the gate...
And narrow the way."

L'incertezza... è appropriata, per le questioni di questo mondo.
Solo riguardo al prossimo ci è concesso avere certezze.
Credo che la certezza riguardo a ciò che possiamo vedere e toccare è di rado giustificata, se lo è mai.
Nel corso dei secoli, dal nostro remoto passato che certezze sopravvivono?
Eppure ci affrettiamo a crearne di nuove.
In cerca di conforto.
La certezza ... è il percorso più facile
Come hai detto.
"Stretta è la porta...
...ed angusta la via."
Joel & Ethan Coen,  The Ballad of Buster Scruggs, 2018

lunedì 1 aprile 2019

LA CITTA' E LO SPAZIO in Vittorio De Sica - spazio aperto, spazio chiuso


L'umile, il povero, il reietto non partecipa della stratificazione storica e culturale della città: la storia della città borghese non è la sua. Suo è soltanto il numero nella sua asetticità, nella sua neutralità culturale. Ogni retorica è programmaticamente estranea alla città alternativa [“un luogo dove buongiorno vuole veramente dire buongiorno »...]; non c’è storia, tradizione, costume che la fondi, che stratifichi sul povero la polvere delle convenzioni {e si pensi, in questo senso, anche alla formidabile carica di estraneità del CoIosseo sullo sfondo della triste marcia del muratore scacciato con il suo materiale e le sue cose in II tetto. La bellezza non si misura sul terreno della funzionalità architettonica e della complessità estetica, ma sul fascino della giovinezza, della grazia, della purezza (la statua). Ma anche quello spazio mostra presto il suo risvolto. La città alternativa non si libera dal vizio delle regole sociali di classe; e se pure differenze reali di classe non sussistono, ne permangono però le sovrastrutture, le apparenze. Il conflitto stesso per la statua è una sorta di preannuncio della fine, cosi come l'arrivo della famiglia borghese con  tanto di domestica
[e non a caso Totò —- un vero e proprio Galahad del Graal della umiltà — si innamorerà di quest'ultima), o, ovviamente, la presenza del petrolio, un petrolio, però, che ha la stessa trasparenza dell'acqua, a sottolinearne il valore simbolico di elemento essenziale, naturale che esso ha per i semplici abitanti dell‘Anticittà. Ed è proprio alla natura che faranno ricorso i poliziotti di Mobbi mimetizzati con fili d'erba mentre avanzano sullo sfondo lontano, imponente e maligno della metropoli, chiamati dal sicofante Rappi, altro catalizzatore della sconfitta inevitabile della nuova comunità. L'unico, vero spazio alternativo allora è il cielo, l'infinito, il superamento totale, assoluto della dimensione stessa della città, lo spazio che soltanto la favola di Miracolo a Milano può elargire ai diseredati. Ma nel cinema di De Sica solo Miracolo a Milano impiega la dimensione della favola. E anche una città che tanto di favola potrebbe avere [sia pure nei termini corposi, sapidi, nervosi e gesticolanti che le sono propri], Napoli, rientra invece nel quadro dolente e sofferto, spesso tragico, che è la dominante del cinema di De Sica. La città di L‘oro di Napoli (1954) potrà anche assumere aspetti colorati, sgargianti — secondo una tradizione narrativa che va almeno da Mastriani a Marotta — ma la sua più sincera realtà è rinchiusa nei limiti angusti e profondissimi del dolore, dell'umiliazione. L‘episodio del “pazzariello” ne è ottimo esempio. In esso il dramma è giocato una volta ancora sull'opposizione fra spazio chiuso e spazio aperto, sulla perdita del proprio luogo che rivela la sostanza umana e morale dello spazio e, dall'altro lato, sull'apparenza gioiosa, festiva dello spazio esterno, lo spazio della città e della tradizione [sia pure una tradizione tutta partenopea] che è in realtà specchio perfetto della propria miseria e della propria sconfitta. Non c'è libertà, non c'è affrancamento dalla propria umiliazione nel pover’uomo bardato a festa più di quanta non ve ne sia fra le mura della sua casa usurpata. La sua festività è falsa come la sua remissione; anzi, essa “è” la sua remissione. E solo un rifiuto di essa potrà riscattarne la vergogna. Per non dire della complessa dialettica spaziale e — occorre ormai aggiungerlo? — psicologica e morale dell'episodio della prostituta. Da un Iato la strada, la città nel suo aspetto più triste e degradante, la vergogna, la miseria, l'abiezione, dall‘altro la casa sontuosa dell'aristocratico, lo spazio antitetico della salvezza, del riscatto, la promessa di un decoro, di un orgoglio che permetta di dimenticare. Ma i due spazi morali sono inconciliabili, il disegno dell'uomo si rivela per quello che è, un solco ancor più profondo tracciato fra i due: e la donna, che ha partecipato, conosciuto il superamento morale e umano dell'antitesi dopo averne vissuto fino in fondo il dramma, si ritrova al punto di partenza dopo un'ultima, finale umiliazione. In questo contesto la risoluzione non può essere altro che la morte dell'altra vita, o più specificamente, l'accettazione del disegno dell'uomo come superamento del limite stesso cui la vita della donna è giunta: insomma, una morte metaforica del vecchio “sé” per rinascere nell'odio come donna e non come prostituta 13. Ecco quindi che l’antitesi fra spazio aperto e spazio chiuso non si presenta secondo una precisa e limitante direzione univoca, ma articolata a sua volta secondo una piccola grammatica dei valori: Io spazio aperto e Io spazio chiuso di Sciuscià è evidente, non sono affatto comparabili, ma anzi sono direttamente antitetici, a quelli testé indicati in L’oro di Napoli. Da un Iato, infatti, sta lo spazio aperto in quanto spazio naturale, termine inconfondibile di libertà e umanità; dall‘altro, Io spazio aperto della città, Io spazio cioè della sconfitta e dell’umiliazione, della solitudine e dell'incomprensione, Io spazio della prostituta di L'oro di Napoli, delle peregrinazioni di Umberto D., del Ricci di Ladri di biciclette, della coppia di Il tetto. A sua volta lo spazio chiuso si articola secondo un'opposizione chiara e sofferta: Io spazio-salvezza della casa, del riscatto, il rifugio della propria vita (la camera di Umberto, la casa di Il tetto e quella di certi personaggi di L'oro di Napoli, ecc.) e Io spazio chiuso inteso come la dimensione della segregazione che non è solo la prigione di Sciuscià o il cellulare dello stesso film, di Miracolo a Milano, di Umberto D., ma anche la dimensione claustrofobica di certe strade, di certi portoni, delle istituzioni stesse della città-società. Serie di opposizioni che schematicamente si configura:

dove, naturalmente, i termini di spazio privato e spazio istituzionale si presentano volta a volta secondo una serie di varianti. Rispettivamente: camera, casa, ecc. e prigione, cellulare (ma anche spazio angusto, ristretto della città), ecc. (continua)
13 Per una breve ma profonda analisi dell'aspetto psicologico della scelta di Teresa cfr. André Bazin:  “Qu'est-ce que le cinéma? », cit., p. 11.

Franco La Polla, BN BIANCO NERO, MENSILE DI STUDI SUL CINEMA E LO SPETTACOLO 9/12, 1975