domenica 13 aprile 2014

Il cinema all'aperto a Messina e dintorni

Le chiamavano Arene

L'Arena Trinacria in via Ettore Lombardo Pellegrino e ...




un'Arena del periodo Littorio non identificata a Villafranca Tirrena (ME) foto Luigi Mittiga.

giovedì 10 aprile 2014

Urbanistica e cinema



La città italiana

Gli italiani hanno un incontestabile vantaggio: la città italiana, che sia natica o moderna, è prodigiosamente fotogenica. Dai tempi dell’antichità l’urbanistica italiana non ha smesso di essere teatrale e decorativa. La vita urbana è uno spettacolo, una commedia dell’arte che gli italiani danno a se stessi. E anche nei quartieri più miserabili quella specie di aggregazione corallica delle case consente, grazie alle terrazze e ai balconi, delle grandi possibilità spettacolari. Il cortile è un palcoscenico elisabettiano in cui lo spettacolo si vede dal basso, in cui sono gli spettatori dei palchi a recitare la commedia.  E’ stato presentato a Venezia un documentario poetico costituito esclusivamente da un montaggio di riprese di cortile. Che dire allora quando le facciate teatrali dei palazzi combinano i loro effetti d’opera con l’architettura da commedia delle case povere? Si aggiunga a tutto questo il sole e l’assenza di nuvole ( nemico n. 1 degli esterni )e si avrà la spiegazione della superiorità del cinema italiano per quanto riguarda gli esterni urbani.

Il cinema italiano secondo André Bazin, op. cit.

mercoledì 9 aprile 2014

mercoledì 2 aprile 2014

Lo chiamavano Antonio das Mortes

OGGI
al Circolo di Cultura Cinematografica " Yasujiro Ozu "


A staple of Brazil's Cinema Novo movement, this psychedelic interpretation of Leone-styled Spaghetti Westerns is a violent carnival of bursting colors and music
http://thirdmanrecords.com/news/view/light-sound-machine-presents-antonio-das-mortes

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Teatro delle azioni: il sertão.
Per non spingerci lontano possiamo tradurre il vocabolo con badlands ( nel senso di Bruce Springsteen ) e anche … Aspromonte, senza la ricca vegetazione di quest’ultimo.
Protagonisti principali: un sicario al soldo dei latifondisti e l’ultimo dei cangaceiros trasformatosi in guerrigliero rivoluzionario. I cancaceiros furono dei briganti ( come il Musolino ed il Mittiga ) con, a volte, un anima da Robin dei boschi.
Nel cinema ed in Europa essi apparvero nel 1953 al festival di Cannes, portati alla palma da V. de Lima Barreto. Riapparvero, questa volta in Italia, nel 1970, con il fisico del ruolo e la faccia di Tomas Milian sulla scia dei  film Quien Sabe  (1966) di Damiano Damiani, Il Mercenario (1968) di Sergio Corbucci,  Queimada (1969) di Gillo Pontecorvo e per ricordare ancora Tomas Milian Tepepa (1969) di Giulio Petroni ed i due Cuchillo di Sergio Sollima. Nel 1970 il buon Tomas lasciò il Messico rivoluzionario per trasferirsi nel sertão brasiliano. Fece ritorno in Messico, e per l’ultima volta, nel 1972 con Vamos a matar  companeros di Sergio “Django” Corbucci.
I due personaggi maggiori di Antonio das Mortes (O Dragao da Maldade contra o Santo Guerriero, 1969) apparvero dapprima ne Il Dio Nero ed il Diavolo Biondo (Deus e o Diablo na Terra do Sol, 1964) opere di Glauber “Barravento” Rocha.
Nel 1964 in Brasile, Glauber Rocha scopriva il sertão, in Italia Sergio Leone Tolstoi scopriva il western. Penseremmo ad una casualità ma forse non è così semplice da spiegare perché in quegli anni Jean-Luc Godard girava Il Bandito delle 11 (Pierrot le fou, 1965) e Bernardo Bertolucci Prima della rivoluzione, 1964.
Rocha + Leone + Godard + Bertolucci = IL CINEMA
Cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia.
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In Antonio das Mortes i personaggi avevano il volto di Mauricio do Valle, Antonio, e Lorival Pariz, Coirana.
Da aggiungere che il corpulento e barbuto Mauricio per come appare sulla scena richiama sempre alla mente Demis Roussos che in quegli anni solcava i palchi d’Europa con i suoi Aphrodite’s Childs.
Antonio das Mortes viene assoldato da un proprietario terriero, tirannico nei modi e nei fatti per porre fine ai giorni di Coriana, un carismatico fuorilegge che sostiene di essere la reincarnazione del famigerato cangaceiro Lampiao. I due si affrontano in un duello coreografico con il machete. Coriana ferito mortalmente cade al suolo e nello stesso tempo scoppia il caos tra i suoi numerosi seguaci. Ne consegue anche la crisi ideologica di Antonio das mortes, il quale intuisce che i veri nemici della società non sono i cangaceiros ma i proprietari terrieri, fonte di ogni oppressione.
Come l’ho esposta sembrerebbe la trama classica per uno dei western italiani citati in apertura, con il soggetto di Franco Solina e Giorgio Arlorio, o un qualsiasi prodotto della Hollywood illuminata e progressista.

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Per fortuna non è così. Sebbene siamo allo scoccare degli anni sessanta dobbiamo tenere conto che Godard ha già dato il meglio di se stesso e nei giovani registi di talento è ancora forte la lezione di Roberto Rossellini.
Glauber Rocha, ancora oggi il più importante regista brasiliano, aveva esposto anche teoricamente quello che doveva essere il cinema del suo paese, in netto contrasto con gli autori del suo paese che lo avevano preceduto, delineando le basi del Cinema Novo.
In Antonio das Mortes si spinge più oltre e per far aderire e coinvolgere un pubblico più vasto fa suo l’evento nazionale riconosciuto in tutto il globo terrestre: il carnevale, caricandolo di simboli, a volte esoterici, difficili da decifrare.
Questo fa venire in mente un autore che non è azzardato accostare a Rocha: Mklos Jancso, il quale dal lato opposto dell’emisfero perveniva agli stessi risultati visivi se non ideologici.
Il film di Rocha, a cavallo tra narrazione mitica e radicalismo politico, non è altro che una festosa danza ipnotica, cromaticamente satura dei colori tropicali accompagnata dai ritmi tribali della musica popolare.
Chi ne esce con le ossa rotte e Antonio das Mortes:  in fondo al film lo troviamo che vaga solitario sull’autostrada, contro il senso di marcia dei pesanti autocarri che trasportano i grossi tronchi ricavati dal massiccio disboscamento della foresta amazzonica. La sua avanzata è ambigua, lo vediamo solo di spalle, sta cercando un senso dentro la propria vita, oppure …

domenica 30 marzo 2014

Backstage in the valley








The  Godfather part 3, backstage in the Alcantara's valley by Luigi Mittiga 1990

giovedì 27 marzo 2014

Un ragazzo di Calabria


Luigi Comencini
1916 - 2002

  Al  tramonto della vita Comencini conserva  intatta tutta la sua vitalità. Intraprende  due opere ambiziose intimamente legate al  suo universo stilistico ed emotivo, Un ragazzo  di Calabria (1987) e La Boheme (1987), poi,  dopo una riflessione sulla vecchiaia con Buon  Natale - Buon anno (1989), gira un'ultima  elegia sull’infanzia e il suo assoluto bisogno  di amore con Marcellino pane e vino (1992).
 Un ragazzo di Calabria, 1987
  Abbonato al Festival di Venezia, Comencini riceve un Leone  d'orno alla carriera nell'edizione  del 1987. In quell’occasione presenta Un ragazzo di Calabria.
  Uomo del nord, Comencini  ha privilegiato  nella sua opera la rappresentazione delle  grandi metropoli urbane , Roma in primo luogo ma anche Milano, Torino fa Napoli. Il sud  agricolo è relativamente assente dal suo lavoro, se si eccettuano film quali i Pane  amoreMio Dio, come sono caduta in basso!  e, ovviamente, alcuni episodi delle inchieste televisive, I bambini e noi e L’amore  in Italia. Il matrimonio di Caterina è ambientato in Campania ma  si ispirava già a un racconto di Mario La Cava  nel quale la storia di svolgeva in Calabria, la regione natia della scrittore. Così, il cineasta, con  l'intento di allargare il  suo universo figurativo, si è naturalmente interessato a una sceneggiatura sulla  Calabria miserabile, invischiata nelle pratiche  mafiose. Comencini, un po' come aveva fatto  Rosi per la Basilicata di Cristo si è fermato a  Eboli, da un'immagine abbagliante di colori e  di luce. Insiste cosi sulla bellezza di una natura generosa che, diversamente sfruttata,  potrebbe rendere quel luogo una terra fiorente  e non una zona di arretratezza economica e  di esclusione sociale. Il suo "ragazzo di Calabria' è un bambino che pensa solo a correre  per-ché quando, a piedi nudi, batte la campagna con la sua rabbiosa falcata, non pensa  più a niente, sogna. Per Mimì, la solitudine  del corridore di fondo rappresenta una porta  aperta verso un mondo dal quale viene cancellata ogni sofferenza. Contro il volere del  padre che preferirebbe vederlo studiare.  Mimi coltiva la sua passione marinando la  scuola. Appoggiato da un vecchio autista di  autobus che ha visto in lui la stoffa del campione,partecipa a delle corse regionali che  poco a poco lo conducono alla prova suprema, i Giochi della gioventù organizzati a Roma. La sua volontà ha spazzato via tutti gli  ostacoli. In una visione ottimista che attraversa tutta la sua opera, Comencini ribadisce la  sua fiducia in questi bambini ostinati che sono i protagonisti dl tanti suoi film. Un ragazzo di Calabria accoglie serenamente il partito  di un cinema romanzato dotato di una dimensione di suspense. La precisione della regia, la sicurezza della direzione degli attori  (in particolare Gian Maria Volontè), la scelta  sempre felice del giovane protagonista [Santo  Polimeno] permettono al regista di superare  tutti gli ostacoli e di fare del suo film una sorta di classico dei film sull'infanzia.  Mimi corre attraverso la campagna per  sfuggire alla sua condizione di bambino povero diviso tra la tenerezza della madre e |'ambizione del padre - un modesto impiegato  d'ospedale nella cittadina vicina - che spera,  facendolo studiare, che egli possa salire qualche gradino nella scala sociale. Durante quelle lunghe fughe campestri, Mimì dimentica i  vincoli quotidiani. L'incontro con un vecchio  autista di autobus, un uomo respinto dalla comunità perché comunista in una società  dominata dalla Chiesa, gli fa scoprire i suoi doni,  la possibilità di investire nella competizione  una speranza di realizzazione, altrimenti decisamente illusoria. Mimi partecipa a delle gare  regionali senza risparmiarsi, pagando a volte  con il fallimento un dispendio di energia che  non viene incanalata da nessuna strategia di  gara: Mimi e un essere generoso che corre per  piacere; dovrà imparare a dosare i suoi sforzi  se vuole vincere. Con i saggi consigli dell’ autista e nonostante gli impedimenti che il padre  cerca di mettere sulla sua strada – l’uomo tenta di spezzare una determinazione che gli pare assurda - Mimi poco a poco si afferma. E’  il corridore povero che senza nessun equipaggiamento comincia a battere i figli dei ricchi:  ha imparato a gestire le sue forze e, meglio  preparato degli altri e sicuramente più motivato,  sa soffrire per affrontare le corse di fondo. Cosi, selezionato per i Giochi della gioventù, arriva nella capitale con nella testa il  trionfo appena intravisto alla televisione -  siamo nel 1960 - di Abebe Bikila alla maratona dei Giochi Olimpici di Roma: Bikilia è  il corridore di una povertà e di un sud ancora più  lontano, l'Etiopia, un corridore eccezionale  che,anche lui, faceva le sue galoppate  a piedi  nudi prima di trionfare nella capitale dell'ex    potenza coloniale. Come Bikila, Mimi vincerà  anche per far parlare della Calabria.  Si vede bene quale elemento di questa storia ha sedotto Comencini: la volontà di un  bambino di affermare la sua autonomia nei  confronti degli adulti, la volontà di far riconoscere la sua identità il lungo offuscata da secoli di bambini sottomessi ai propri genitori  che decidevano al posto loro, la volontà di  sottrarsi alla condizione di bestia da soma alla  quale lo si voleva ridurre. A questo proposito.  la scena del lavoro di Mimi in una corderia, laboratorio che assomiglia più a un luogo di  esilio e di lavori forzati the a un’impresa creata per offrire un lavoro a degli essere umani,  la dice lunga sul desiderio di Comencini di denunciare uno scandalo: il lavoro dei bambini  che si sostituisce alla scolarizzazione, problema tipico di un Italia meridionale sottosviluppata e di un'economia sommaria che considera già il bambino dal punto di vista delle me  capacità produttive.    Per seguire l'affermazione del bambino, la  cinepresa dl Comencini si fa di una sorprendente leggerezza: segue le lunghe corse di  Mimì nella campagna o per strade tortuose., poi le gare nelle città su terreni o in riva al  mare con una serena precisione e una scelta  sempre azzeccata del paesaggio. Comencini  passa dai corridori agli accompagnatori, in  particolare il vecchio che aiuta Mimi a portare  a termine la sua impresa. La corsa decisiva dove è in palio la selezione per i Giochi della  gioventù e un grande momento di cinema  con l’autista che interviene di tanto in tanto  per frenare l'ardore di Mimi: quando il ragazzo passa la selezione, il vecchio accenna un  gesto di gioia nel quale - lui. lo storpio - si  prende una rivincita per tutta una vita fatta  di amarezze e di frustrazioni. Una misurata  emozione invade lo schermo, come sarà per il  finale con la vittoria a Roma e la sobrietà di  un racconto che si chiude all’improvviso, sottraendosi alla scena successiva del ritorno  trionfante del ragazzo nel tuo paese natale.  La notte cade sulla città eterna, lo speaker alla televisione annuncia la vittoria di Mimì e  dato che non sa niente del vincitore, si limita a  dire che si tratta di “un ragazzo di Calabria”. 
     
Tratto da Luigi Comencini, Jean Gili, Gremese ed., 2003

mercoledì 26 marzo 2014

Un enfant de Calabre, de Luigi Comencini

7 à Paris
« Un enfant de Calabre est un film d'espoir. Comencini a bien sûr parfaitement choisi son acteur enfant. En découle le bonheur du jeu. L'intrigue se noue... comme les  tripes du spectateur ému ».
Antoine Desrosières, 10/021988

Le Canard Enchaîné
« Luigi Comencini, dans la foulée, tire de tout cela un film sensible et juste. Pour trouver un cinéaste italien plus attentif à l'enfance et à ses problèmes, on peut toujours courir ».
Jean-Paul Grousset, 10/02/1988

La Croix
« Rien d'inattendu et pourtant, comme à chaque fois qu'il aborde l'univers de l'enfance ou de l'adolescence, Comencini réussit à nous charmer. Sa grande force est de ne jamais tomber dans la mièvrerie : toutes les annotations sociales (…) sont d'une grande finesse d'observation (…). Bien sûr, Un enfant de Calabre a les limites du mélodrame au dénouement attendu. Il n'est pas pour autant un Comencini mineur. Le plaisir que l'on prend à le regarder tient à l'humanité du regard d'un cinéaste qui a toujours trouvé le ton juste mais sait aussi surprendre ».
Jean-Luc Macia, 11/02/1988

Les Echos
« Il ne se passe rien et pourtant, évitant – parfois de peu – le mélo, le sirop de bons sentiments, esquissant, mine de rien, un tableau assez cruel de l'Italie pauvre d'il y a vingt-cinq ans, Comencini séduit et même, rend heureux. Parce qu'il plaide, en fait, sans appuyer, pour la liberté. Celle de faire ce qu'on aime plutôt que ce que l'on doit (…). Cette fable toute simple, toute dépouillée, et si délicatement émouvante (…) est, ce qui ne gâte rien, superbement interprétée ».
Annie Coppermann, 12/02/1988

Le Figaro
« - Est-ce que Mimi ne ressemble pas au jeune Comencini ?
- Oui, je l'avoue, et je ne m'en suis aperçu qu'à la fin du film (…). J'ai conscience que je donne une image idyllique de la Calabre. Elle n'est envahie ni par la Mafia ni par le béton, ni par les voitures ni par la télévision. La réalité, la misère, je ne fais que les suggérer. Je ne crois plus guère au cinéma de dénonciation 
».
Pierre Montaigne, 09/02/1988

Le Figaro Magazine
« Comme souvent chez Comencini, la modestie des héros, l'apparente simplicité des sentiments ne fait que mieux révéler l'ampleur de la parabole (…). Un enfant de Calabre est au cinéma ce qu'on appellerait, en littérature, une nouvelle, sans prétention mais pas sans ambition, comme chapitre révélateur dans l'œuvre d'un maître ».
Daniel Toscan du Plantier, 13/02/1988

France Soir
« Un film solide, classique, qui s'inscrit bien dans l'œuvre de Comencini ».
Robert Chazal, 13/02/1988

Gai Pied Hebdo
« Trois points forts au moins se dégagent de l'ensemble de l'œuvre : l'enfance (ou l'adolescence), le constat social sans illusion mais tempéré par sa tendresse pour les personnages, le merveilleux à la Pinocchio (…). Le conte de fées laisse la place à une autre lecture, celle d'une réalité sociale que Comencini restitue avec ce réalisme populiste (ce n'est pas péjoratif) dont il a le secret et qui est presque constante dans sa filmographie quadragénaire ».
Michel Cyprien, 12/02/1988

L'Humanité
« A plus de soixante-dix ans, Comencini est désormais tourné vers l'enfance, qui a au demeurant toujours été un de ses thèmes de prédilection. Une nouvelle fois, il parvient à nous mettre la larme à l'œil avec ce qui ne serait qu'une success story de plus s'il n'y avait là une telle conviction, un tel enthousiasme, une telle sincérité que le morceau finit par être emporté. Alors, on oublie que le film procède d'une trame romanesque assez lâche, qu'il suffirait de rajouter des scènes pour en faire une série télévisée, que le cadre n'est là que pour mettre en valeur les acteurs comme dans le cinéma des dialoguistes d'autrefois, que le montage est approximatif tant ce qui intéresse Comencini est l'adolescent et non le film qu'il lui consacre ».
Jean Roy, 13/02/1988

Le Journal du Dimanche
« J'ai pris en horreur les effets caméra qui pour moi correspondent aux effets de manche des avocats. Je filme le plus souvent possible en décors naturels. Avec peu de dialogues : priorité à l'image nue ». Ici, elle est superbe, avec ses couleurs violentes et tragiques. Aussi grâce au regard de cet enfant : « Je l'avais choisi très vite. Pour ce regard justement ».
Luigi Comencini, propos recueillis par Michèle Stouvenot, 07/02/1988

Le Journal du Dimanche
« Un enfant de Calabre est une chronique sur une époque à jamais révolue (…). Un film sur la passion, l'enfance incomprise et maltraitée, l'innocence et le rêve. Avec ce message que Luigi Comencini fait passer avec finesse et intelligence : aimer. Il faut toujours aimer quelqu'un ou quelque chose ».
[S.N.], 14/02/1988

Libération
« Le Comencini est un navet. Ça ne fait jamais plaisir d'écrire ça. Même s'il faut remonter à 1972 (L'Argent de la vieille) pour trouver un beau Comencini, on voudrait croire que ça dure encore, qu'il va retrouver la pêche, nous pondre un chef d'œuvre à pleurer de rire ou d'émotion. Qu'il va nous surprendre, en un mot. Comment pourrait-il avec un Ragazzo di Calabria, auto-parodie de tout ce qu'on a aimé chez lui avant ? (…). Ce gamin de Calabre se contente de se laisser filmer avec soin par une de ces équipes tout juste bonnes à produire du téléfilm de luxe ».
Louis Skorecki, 03/09/1987

Libération
« Luigi, vous nous avez rafraîchi, avec votre dernier film. Votre gamin qui tricote des gambettes, on dirait un Mickey Rooney à la Calabraise. Il y a des collines, du saucisson et des ruisseaux. Tous les vieux du coin prennent le gosse en charge. Ils aimeraient bien courir. Ils le font courir. L'enfant devenu adulte ne s'est pas reconnu. Il a oublié le goût des vraies tomates et de l'huile d'olive dense. Il se cache derrière des raisonnements inconnus en Calabre. De toute façon, c'est Comencini qui a gagné la course ».
Jean-Pierre Mocky, 10/02/1988

Libération
« On pourra toujours trouver quelques longueurs, regretter que le personnage de la jeune bourgeoise qui semble inspirer Mimi ne trouve pas vraiment sa place dans le film, il est indéniable qu'Un enfant de Calabre est le meilleur film de Comencini depuis 1972, cette somptueuse année où il offrit deux de ses chefs d'œuvre, L'Argent de la vieille et surtout Pinocchio ».
Christian Jaurena et Edouard Waintrop, 10/02/1988

Le Monde
« Comencini a réalisé là une de ses œuvres les plus dépouillées, les plus pures, chaleureuse et juste, sans esprit de démonstration morale, comme un conte. Et Santo Pomelino, qui interprète Mimi, sans affectation, sans effet, sans peser, met le film dans sa poche et nous avec. En petite foulée ».
Michel Braudeau, 16/02/1988

Nice Matin
« Sur cette histoire simple, Comencini a construit une chronique rude, ensoleillée, émouvante, sans doute un peu longuette, dans la veine du grand cinéma italien néoréaliste. Un cinéma qui apparaît aujourd'hui un peu dépassé : la vie court encore plus vite que Mimi, le petit Calabrais aux pieds nus ».
Maurice Huleu, 14/02/1988

Le Nouvel Observateur
« Comencini, qui aime les enfants bien coiffés, a décoiffé celui-ci au vent des mythes aimables qui illuminent parfois les biographies des champions. Dans le cinéma classique, on boxait. Ici, on court, mais on est tout aussi classique. Pourquoi pas ».
Michel Pérez, 05/02/1988

Le Parisien
« J'ai fait douze ou treize films sur ce sujet, mais celui-là est un peu différent car il se situe dans une époque et un lieu précis, où la solitude et le rêve étaient plus forts. En ce temps-là, il n'y avait pas la télévision ». A soixante et onze ans, après quelque cinquante films, Comencini n'a apparemment rien perdu de sa passion pour les enfants. Il en parle toujours aussi bien, que ce soit à l'écran ou à la ville : « Ce sont des témoins attentifs de notre vie. Ils voient le monde des adultes avec distance. Leurs réactions sont libres, originales et personnelles et par cela, ils mettent le monde des adultes en difficulté. Voilà pourquoi je les aime ».
Laure Joanin, 10/02/1988

Le Progrès
« Comencini signe ce qu'on peut appeler une œuvre de maturité avec ce que cela suppose d'aisance, de simplicité, de refus des séductions faciles et du spectaculaire. L'émotion n'en est que plus pure et l'on baigne constamment dans le charme de ce récit naturaliste qui évite le chausse-trappe du symbolisme lourd (…) et joue l'atout cœur sans aucune tricherie ».
François Cohendy, 10/02/1988

Le Provençal
« Comencini fait un film qui tient à la fois de la fable et du mélodrame populiste, une double nature qui lui porte par moments préjudice. Avec un tel sujet, il n'était pas nécessaire d'appuyer sur la corde sensible aussi fort qu'il le fait par moments. De même, la reconstitution maniaque des intérieurs et des costumes fait si « musée ethnographique » que ce trop d'authenticité se retourne parfois contre le film. Pourtant on ne lésine pas son émotion parce que les interprètes sont magnifiques ».
Jeanne Baumberger, 15/02/1988

Le Quotidien de Paris
« Il y a dans Le Garçon de Calabre cette inépuisable fraîcheur des univers de l'enfance si chers à l'auteur. En plus, la tradition d'un cinéma populaire oublié et qui fait la splendeur du cinéma italien des années cinquante (…). Deux heures, c'est sans doute un peu long, à regarder courir sans cesse, assis dans un fauteuil. Mais la beauté de la mise en scène vaut bien quelques fourmis dans les jambes. Le grand public a bien de la chance de posséder encore un cinéaste comme Comencini qui sait créer la fable sans courir vers les clichés à la mode ».
Anne de Gasperi, 03/09/1988

Le Quotidien de Paris
« - A priori, le sujet d'Un enfant de Calabre, cet enfant qui veut courir, pourrait laisser indifférent ; et vous réussissez un film à la fois émouvant et intelligent ; réflexion politique et sociale, discours sur l'imaginaire... Tout cela existait dès le départ dans le scénario ?
- Ce film a une drôle d'histoire. Lors d'un concours de scénarios originaux, l'histoire écrite par Demetrio Casile a eu un prix. Ugo Pirro me l'a signalée. On a beaucoup changé, adapté, ma fille a refait les dialogues. Par instant, on s'est découragé, et puis finalement le résultat nous a plu : on a beaucoup resserré ; les dialogues sont épais : chaque réplique donne plusieurs informations 
».
Luigi Comencini, propos recueillis par Aurélien Ferenczi, 08/02/1988

Révolution
« Sans avoir la force et les qualités de réussites de L'Incompris ou de PinocchioUn enfant de Calabre réussit pourtant à nous toucher par sa simplicité et son côté un peu mélo, même s'il force parfois sur l'émotion. Une fois de plus, Comencini parvient à nous faire partager ces instants privilégiés et merveilleux propres à l'enfance, à travers l'histoire secrète de Mimi et de son rêve de victoire ».
Antoine Tixeront, 12/02/1988

Témoignage Chrétien
« Par une sorte d'état de grâce où l'expérience compte pour beaucoup, Comencini a réussi et mélangé trois éléments dont le mariage fait la réussite du film ; le paysage, la musique et le sport ».
François Quenin, 06/02/1988

Télérama
« Quelles sacrées leçons de cinéma nous offrent coup sur coup Huston et Comencini ! Après Gens de Dublin, voici Un enfant de Calabre aussi éblouissant de maîtrise, de simplicité et d'évidence que le dernier film du vieux lion. Un scénario linéaire, une caméra dont la virtuosité nous comble sans qu'on la remarque jamais, un montage d'une précision telle que les raccords sont invisibles. Bref, une économie de moyens et un goût de l'épure qui sont ceux des grands au soir de leur vie ».
Claude-Marie Trémois, 10/02/1988

La Vie Ouvrière
« Avec cette réflexion sur le rêve et son envers – la folie – Comencini renoue avec les grands moments de la comédie à l'italienne. Équilibre subtil entre les larmes et le rire. Il n'oublie pas non plus qu'il fut l'auteur de féroces satires sur notre société et offre ici une peinture fidèle et terrible des rapports sociaux ».
Frédéric Théobald, 08/02/1988

L'originale è qui:
http://www.cinematheque.fr/fr/dans-salles/hommages-retrospectives/revues-presse/comencini/enfantcalabre.html