domenica 8 dicembre 2019

Un leone a Culver City - I fasti dello "Star System"


Fra coloro che avevano preso parte nel 1915 alla organizzazione della "Metro Pictures Corporation", era anche - quale segretario di Rowland - Louis E. Mayer, che si era già occupato di distribuzione e che dal 1917 si era poi staccato dalla casa per produrre in proprio, all'insegna della "Louis B. Mayer Productions, Inc.", le cui "stelle" più note furono Anita Stewart, Renée Adorée, Mildred Harris Chaplin e Norma Shearer. Gli troviamo accanto, a partire dal 1922, un giovane di talento, Irving G. Thalberg, già segretario di Carl Laemrnle e capo della produzione Universal, all'epoca fra l'altro dei film di Stroheim Foolish Wives (Femmine folli, 1921) e Merry-GoRound ("Donne viennesi'', 1922): la figura di Thalberg, che sposò
in seguito Norma Shearer e mori prematuramente nel 1936, avrà - come vedremo - una grande importanza nella evoluzione della M.G.M. I primi contatti fra la Metro e Mayer si ebbero nel 1923 e le trattative si protrassero fino alla primavera dell'anno seguente, ma non si giunse ad un accordo finché non si trovarono gli studios idonei alla realizzazione degli ambiziosi programmi di Loew e Schenck da una parte e di Mayer e Thalberg dall'altra, i quali si trovarono tutti d'accordo nel vagheggiare una produzione basata non tanto sul numero dei film, quanto e soprattutto sulla “qualità”, del prodotto: alla sistematica valorizzazione della personalità degli attori e delle attrici (da legarsi alla casa con contratti a lunga scadenza, per poterne sfruttare il nome in esclusiva), secondo le regole ormai diffuse dello "Star System", essi intendevano infatti accoppiare una formidabile attrezzatura tecnica, basata su tutta una serie di autentiche specializzazioni - ivi incluse quelle degli scrittori e dei registi - sulle quali avrebbero poi potuto sicuramente contare i veri autori responsabili del film, i "producers": nell'epoca in cui il mito della regia stava ormai per tramontare, era sulle capacità organizzative di costoro che avrebbe dovuto anzi poggiare l'intero peso della produzione.
Gli studios prescelti furono appunto quelli della "Goldwyn Pictures Corporation" a Culver City: Samuel Goldwyn non entrò a far parte della combinazione, ma nel contratto di vendita pretese ed ottenne che almeno il suo nome venisse ricordato nella marca della nuova casa produttrice: e fu così che fra quello della vecchia " Metro" e quello di "Mayer", rimase per sempre imbalsamato anche il nome di "Goldwyn". Il 26 aprile del 1924, giorno della cerimonia di inaugurazione, cui partecipò anche il popolare Will Rogers, erano presenti, insieme a circa seicento persone, fra impiegati, tecnici e maestranze, le prime " stars" ufficiali della Metro-Goldwyn-Mayer: Lon Chaney, l'"uomo dai mille volti" Lillian Gish, la più "spirituale ", attrice del momento, Mae Murray, la "sophisticated" di moda e - allora - la più temibile concorrente della Swanson, insieme a un terzetto di giovanotti dai capelli corvini, che si ostinavano a modulare - per quanto su corde diverse - l'imperante cliché alla Valentino: Antonio Moreno, un attore latino già sulla breccia da vari anni (dal film Mare Nostrum, 1926, di Ingram e tratto - manco a dirlo - da Ibafiez), John Gilbert, un "bel tenebroso" munito, fra l'altro, di un paio di baffetti assassini, e infine il "bello" di turno, Ramon Novarro le cui delicate fattezze stavano conquistando un numero sempre maggiore di zitelle e di ragazzette. (continua)


FAUSTO MONTESANTI
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10 NOVEMBRE 

In alto: Renée Adorée, Norma Shearer, Lon Chaney, Lillian Gish, Mae Murray, Antonio Moreno.
in basso: John Gilbert e Ramon Novarro.

giovedì 5 dicembre 2019

The doubt as certainty


Doubt can be a bond as powerful and sustaining as certainty.
When you are lost, you are not alone.

Il dubbio può essere un legame forte e rassicurante come la certezza.
Seppur perduti, non siete mai soli.
John Patick Shanley, Philip Seymour Hoffman, The Doubt, 2008


mercoledì 4 dicembre 2019

NEMBO movie






I.N.D.I.E.F. - Internazionale Nembo Distribuzione Importazione Esportazione Film
dal 1957 con Il posto delle fragole di Ingmar Bergman
al 1971 con Messaggero d'amore di Joseph Losey

martedì 26 novembre 2019

Emilio "el Indio" Fernández - S. M. Eisenstein e il cinema sovietico

Anche dall'architettura del suo paese Fernandez ha saputo trarre effetti specifici. Si veda infatti la pertinentissima funzione scenografica di certa architettura coloniale: la chiesa di Enamorada, il cortile del
collegio in Las abandonadas, il cortile che percorre il fucilando in Flor silvestre, il lunghissimo portico di Enamorada, (ripreso poi anche da Ford in The Fugitive). Si veda anche, per la parte sonora, il commento
musicale, originalissimo - anche se talvolta troppo facilmente insistito - a base di canti corali indios.
Talvolta però Fernandez  mosso da preoccupazioni narrative, se non addirittura da costrizioni produttive - è indotto ad un folclorismo di maniera, quasi ad una standardizzazione turistica, con accostamento agli schemi delle “follie” hollywoodiane (per esempio la festa popolare in La perla).
D'altronde già nel cinema questa individuazione d'un repertorio indigeno aveva avuto un precedente illustre in S. M. Eisenstein. Eisenstein, col distacco lucido dello straniero, aveva colto, nella sua incompiuta epopea di Que viva Mexico i motivi più caratteristici della civiltà e del folclore messicani. Benché il suo atteggiamento di fronte al Messico sia improntato ad una estrema libertà di ispirazione – Que viva Mexico, svolge dialetticamente una tesi marxista - Eisenstein ha tuttavia sentito il senso, quasi mistico, della tradizione millenaria messicana, la grandezza eroica degli Aztechi che sopravvive nello stoicismo disperato dei “peoñes”. Que viva Mexico doveva aprirsi con una rassegna di antiche sculture messicane (il motivo dei volti di pietra è stato poi ripreso da Fernandez in Maria Candelaria, ma con ben altro temperamento). In Eisenstein troviamo già accuratamente inventariati gli elementi d’un'immagine mitica del Messico, un Messico romantico e leggendario, che certamente offrì a Fernandez una suggestione specifica forse più importante dell'esempio pittorico. Ma come l’influsso della pittura anche quello di Eisenstein non va oltre quest'indicazione di genere. Il Messico di Fernandez, sfumato ed elegiaco, è infatti ben diverso dal Messico di Eisenstein, eroico e crudele, perché diversi sono i temperamenti dei due registi. E profondamente diversi sono anche i mezzi di linguaggio e di grammatica.
Quanto poi ad un'influenza sia pure “di complesso” (sic) del cinema sovietico sul cinema messicano e su Fernandez, influenza escogitata da Glauco Viazzi (1) (< dietro a Rio Escondido pare profilarsi Il Maestro di Gherassimov; e dietro a Enamorada: Il commissario di brigata di Rasumny >) ci sembra un'ipotesi piuttosto aerea, che cede forse a suggestioni e a lusinghe, per così dire, extra-estetiche. (continua)
(1) Glauco Viazzi: Enamorada in Bianco e Nero n. settembre 1949.
Franco Venturini in BIANCO E NERO ANNO XII – N. 4 -  APRILE 1951

Nella foto "El Indio" durante le riprese di Duelo en las montañas, 1950

lunedì 25 novembre 2019

Flames of Passion, a preview









David LeanBrief Encounter,1945

domenica 24 novembre 2019

SICILIA! - 6 clapperboards by Straub/Huillet







Pedro CostaOù gît votre sourire enfoui?, 2001

giovedì 21 novembre 2019

Pasolini/Dovzenko



Aleksandr Dovzenko, Taccuini

Sono stato in questi giorni all’università di Trieste; anzi, per essere esatto alla «Casa dello Studente», per invito, sia dell'Arci che ha organizzato l'«autogestione» della «Casa dello Studente», sia, inizialmente, di un gruppo di studenti che segue un corso sul cinema italiano degli anni Sessanta, tenuto da Lino Miccicchè.
C'erano circa settecento studenti, il grande e nudo salone era gremito; ma silenzioso, ordinato. Il tema del dibattito era un tema trattato da me, frammentariamente, proprio su queste pagine: Cultura borghese cultura marxista - cultura popolare. ….
… Oltre all’adorabile Marianne Moore, offro alla meditazione dei giovani marxisti anche il libro di un regista sovietico che, provenendo dagli anni Ruggenti del formalismo russo, ha dovuto vivere appunto il periodo del culto della personalità e del realismo socialista: Aleksandr Dovzenko. Strano, ma anche a lui che faceva film (quei pochi che riusciva a fare) sul nativo mondo ucraino, affrontando i temi della Rivoluzione attraverso la naturale concretezza realistica del poeta, da una parte, e dall’altra attraverso la squisitezza tecnica, così asciutta, netta, inventiva, priva di ogni specie di sentimentalismo, anche formale, della Scuola formalistica - anche a lui, e attraverso la viva voce di Stalin in persona, veniva consigliato di entrare in fabbrica e di vedere in un operaio comunista che vi lavorava l’unico modello umano positivo possibile.
Così il povero Dovzenko — come il suo amico Majakovskij - come i suoi colleghi più autorevoli Ejzenstejn e Pudovkin - è stato costretto per tutta la vita a difendere la sua ideologia formale adattandosi ad accettare discussioni tanto interminabili quanto cretine. Dall’altezza intellettuale degli anni Venti, in cui si era formato, è stato costretto a degradarsi a un livello intellettuale di una bassezza penosa, tutto fatto di luoghi comuni, di ricatti accademici, di confronti puerili. Dovzenko non era un uomo forte, e non era molto forte neanche come scrittore. Il suo lungo martirio, forse proprio per questo, appare in tutta la sua spaventosa miseria nei Taccuini che lo testimoniano. Il dover difendere il minimo ovvio diritto possibile di un autore, contro un’ignoranza di carattere, si, franchista o fascista, senza per questo disperatamente venir meno alla fede comunista (rinunciando a qualsiasi specie di «gesto») vale certamente la Siberia; se non è peggio.
Pier Paolo Pasolini
Settimanale TEMPO, 12 aprile 1974