Mimmo Addabbo - Lolli,Ubaldo Vinci, Gianni Parlagreco,Catalfamo,Fabris, Valentino,Margareci,Crimi,Fano e i Sigilli
giovedì 14 novembre 2019
mercoledì 13 novembre 2019
Emilio "el Indio" Fernández - & Gabriel Figueroa
Il cinema di Fernandez si ispira appunto alla
particolare suggestione del paesaggio messicano e si avvale d’un repertorio
caratteristico di colore indigene. Diceva recentemente Figueroa ad amici romani
- e il suo discorso vale sicuramente anche per Fernandez - che egli non
potrebbe lavorare fuori del Messico, in un paese che non è il suo, in mezzo ad
una realtà che gli è estranea. E il fondamento della sua collaborazione con
Fernandez - diceva ancora Figueroa - è appunto nello stesso modo che entrambi
hanno di sentire il Messico.
(1) André Camp: “Aperçus sur le cinéma mexicain” in «La revue du cinéma,
n. 5, luglio 1948.
Nella foto il cinematographer Gabriel Figueroa con Emilio Fernandez sul set di Duelo en las montañas, 1950
Nella sua scoperta del paesaggio messicano Fernandez
ha tratto proficue indicazioni dalle esperienze compiute da artisti messicani
contemporanei attivi in altri generi, particolarmente dai pittori. Figueroa ha
dichiarato ad André Camp (1):
“Il nostro cinema è essenzialmente pittorico.
La scuola messicana di pittura, è la prima del mondo. Diego Rivera, Clemente
Orozco, David Alfaro Siquieros sono i maggiori pittori della loro generazione.
Essi hanno creato uno stile che esprime perfettamente l'anima e le aspirazioni
del paese. Per noi, la via era già tracciata: non avevamo che da tradurre in
immagini ciò che essi sviluppavano in quadri e affreschi”. I pittori messicani,
raccolti attorno al dottor Atl nell'Accademia di S. Carlos, fin dall’inizio del
secolo si ispirarono infatti, non senza intenzione polemica verso la cultura pittorica
europea, alla tradizione indigena.
Nella pittura del suo paese Fernandez trovò appunto,
già catalogato, tutto quel materiale illustrativo che egli andava cercando.
Molti spunti dei suoi soggetti erano già stati individuati dall’iconografia
della pittura messicana contemporanea. Il motivo di Enamorada, ci rinvia, per esempio, ad un quadro di Orozco “Le donne
dei soldati”, dipinto verso il 1928 e Maria
Candelaria fa subito pensare alle venditrici di fiori, così frequenti nei
quadri di Rivera.
Sappiamo inoltre che Fernandez e Figueroa
intrattengono stretti rapporti con i pittori messicani. Fernandez è amico
intimo di Diego Rivera, che egli venera come un maestro e cui sottopone, in
visione privata, i suoi film appena ultimati. Sappiamo anche che talvolta Figueroa
studia preventivamente assieme a Rivera il disegno delle sue inquadrature.
Alcune inquadrature di Maclovia sono
state integralmente dettate da Rivera. Rio
Escondido, nella versione originale, si apre con la visione degli affreschi
di Rivera nel palazzo del governo di Città del Messico (la sequenza è stata tolta,
naturalmente, nella versione nostrana, intitolata Il mostro di Rio Escondido, dal distributore italiano).
Va tuttavia rilevato che nonostante questi palesi
accostamenti, diciamo così, di genere, il cinema di Fernandez si distingue
dalla pittura messicana per un diverso stile figurativo. Mentre infatti la
pittura nonostante il suo assunto illustrativo, risente qua e là di stimoli
espressionistici, le immagini di Fernandez e di Figueroa non escono da un
romanticismo naturalistico. (continua)
Franco Venturini in
BIANCO E NERO ANNO XII – N. 4 - APRILE
1951
Nella foto il cinematographer Gabriel Figueroa con Emilio Fernandez sul set di Duelo en las montañas, 1950
martedì 12 novembre 2019
Guys & Phones
I don't know what it
is with you guys and your generation.
"You guys"?
Jesus. Don't you guys
live life for something outside the goddamn phone?
Non so cosa abbiate, voialtri della vostra generazione.
''Voialtri''?
Cristo, non ce l'avete una vita al di là di quel cavolo di telefono?
Clint Eastwood, The Mule, 2018
lunedì 11 novembre 2019
Un leone a Culver City - L'industria
Il complesso industriale della M.G.M. risiede in una
località che dista una decina di miglia da Hollywood: "Culver City", una città vera e
propria, il cui nome deriva da
quello di Harry Culver, un proprietario che nel lontano 1915, allo scopo di attrarre nella
zona - allora poco frequentata - la gente del cinema, ebbe la furberia di
offrire gratuitamente nientemeno che a Thomas H. Ince, uno dei maggiori pionieri del cinema
americano, un vasto appezzamento di terreno. Ince, che proprio in quel momento stava
per fondare una nuova casa di produzione ed aveva bisogno di uno studio più
vasto di quello di Santa Monica (che era
oltre tutto troppo distante da Los Angeles,
sua residenza abituale), accettò la proposta e dopo aver costruito quattro teatri di posa, inaugurò nel
marzo del 1915 la produzione della cosiddetta "Triangle " (nome derivato dalla forma del terreno occupato) con il film Civilization. Lavoravano in quel tempo per Ince alcuni attori già popolari: William S. Hart, Dorothy Dalton, Lew Cody, Billie Burke, Leo Carillo e Jean
Hersholt. Al fallimento della "Triangle", gli studios vennero occupati nell'estate del 1918 da un produttore di
New York, Samuel Goldwyn, il quale dopo quattro anni di fortunata attività, seguendo l'indirizzo generale
della produzione, volle tentare l'esperimento
del grande film
di prestigio, un film "colossale" sulla scia dei
mastodontici spettacoli italiani di Guazzoni e Pastrone, già ripresi da Griffith e poi da De Mille: la
riduzione cinematografica cioè del romanzo di Lew Wallace, Ben Hur, che tanti guai
aveva già procurato alla "Kalem" quando nel 1907 ne aveva effettuato una versione in una sola bobina e
in sedici quadri senza preoccuparsi di acquistarne i diritti. Goldwyn
si accinse all'impresa con
grande impegno: accaparratosi i
diritti di riduzione del
testo nel 1922, inviò
in
Italia due registi, Charles Brabin e Christy Cabanne, la scenarista e
incaricata della supervisione June Mathis, e un atletico attore già affermatosi in vari film, che avrebbe sostenuto ù ruolo del
protagonista, George Walsh. Ma i mezzi dei produttore non risultarono
sufficienti, e l'impegnativa produzione venne interrotta, con una perdita di
oltre un milione di dollari. E' a questo punto che intervengono i nomi di Marcus Loew e di Louis B. Mayer, cui faceva capo una ditta costituitasi da qualche tempo, la "Metro Picture Corporation", i quali avevano
appunto intenzione di
acquistare gli studios di Culver City. (continua)
Fausto Montesanti
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10 NOVEMBRE
domenica 10 novembre 2019
The Man, Zach Mooneyham & Mick Jones
Zach Mooneyham as Mick Jones
You want me to teach
you something?
All right, here's a
useful lesson for you.
Give up. Just quit.
Because in this life,
you can't win.
Yeah, you can try, but
in the end you're just gonna lose, big time, because the world is run by The
Man.
-Who?
-The Man.
Oh, you don't know The
Man?
Well, he's everywhere.
In the White House,
down the hall. Miss Mullins, she's The Man. And The Man ruined the ozone,
and he's burning down
the Amazon, and he kidnapped Shamu and put her in a chlorine tank.
There used to be a way
to stick it to The Man. It was called rock 'n' roll.
But guess what. Oh,
no.
The Man ruined that,
too, with a little thing called MTV!
So don't waste your
time trying to make anything cool or pure or awesome.
The Man's just gonna
call you a fat, washed-up loser and crush your soul.
So do yourselves a
favour and just give up!
Volete che vi insegni qualcosa?
Va bene, ecco una lezione utile.
Rinunciate. Arrendetevi e basta.
Perché in questa vita, non potete vincere.
Sì, potete provarci, ma alla fine, perderete di brutto, perché il mondo
è dominato dall'Uomo.
- Chi?
- L'Uomo.
Oh, non conoscete l'Uomo?
Beh, è ovunque.
Alla Casa Bianca, alla fine del corridoio. La signorina Mullins è
l'Uomo.
E l'Uomo ha rovinato l'ozono, sta bruciando l'Amazzonia, e ha rapito
Shamu e l'ha messa in una vasca di cloro.
C'era un modo per farla vedere all'Uomo.
Si chiamava rock 'n' roll.
Ma sapete una cosa? Oh, no.
L'Uomo ha rovinato anche quello con una cosa chiamata MTV
Quindi non perdete tempo cercando di fare qualcosa di forte o di puro o
di pazzesco.
L'Uomo vi chiamerà grassi falliti e finiti e vi spezzerà l'anima.
Quindi fatevi un favore e rinunciateci!
Richard Linklater, School of Rock, 2003
giovedì 7 novembre 2019
mercoledì 6 novembre 2019
The Evolution of the Western Movie from 1899 to 1954 - the end
Infine, un'altra iniziativa
partita dalla stessa Hollywood ha contribuito all'eliminazione del western
B. Circa un dieci
anni fa i film western si potevano dividere in due categorie: quelli
grandiosi ed epici, e quelli d'ordinaria amministrazione, modesti, a buon mercato, senza categorie intermedie. Oggi invece,
siccome il genere western piace
sempre,
si è
creato a Hollywood, un qualcosa di mezzo tra il grande e il piccolo western, e precisamente "il nuovo westen B" che permette uno
spettacolo d'ottanta minuti, è in technicolor ed è interpretato da attori come
Sterling Hayden, Audie Murphy e Randolph Scott. Questi film costituiscono uno
spettacolo completo e hanno subito avuto una larghissima diffusione, e non si può
quindi dare tutti i torti al distributore se, dovendo scegliere tra un filmetto del genere di
quelli che si possono vedere alla televisione, e un altro invece che, con pochi
dollari di differenza, garantisce un buon colore, un eccellente interpretazione
e la durata di proiezione di un film normale, preferisce i nuovi western B.
La fine dei western
B era quindi questione di poco tempo ancora. Anche la Republic che si era specializzata
nei western musicali, conservò soltanto la serie del cow boy-cantante
Rex Allen.
Gli Allied Artists, già
Monogram, furono l'unica società cinematografica rimasta ancora sulla breccia. Ma il totale di
cinque westen per il
1954,
se paragonato ai 145 per anno di non molto tempo prima, è la dimostrazione più
evidente della crisi, anche se gli Allied Artists fecero tutto il possibile per
ridare ai western di seconda categoria la fama e il successo di una
volta.
Bitter
Creek, The Forty Nine's e The Despeado
sono piccoli westen ma ben fatti nella linea della vecchia tradizione di
Bill Hart e di Tom Ince, con una trama non banale e un interesse mantenuto vivo
sino alla fine. Però, con l'assunzione di John Huston, William Wyler e Billy
Wilder, non soltanto come
registi ma anche in veste di consiglieri e, sotto sotto, di direttori di
produzione, si può star certi che i western B anche presso gli Allied
Artists, abbiano i giorni
contati.
Ciò non vuol dire
che i western B siano scomparsi per sempre e nel modo più assoluto: se
ne vedrà, ogni tanto, qualche apparizione. Per esempio, ci sono, produttori indipendenti come Edward Finney, Jack Schwarts,
Alex Gordon e John Carpenter, i quali contro ogni previsione hanno avuto recentemente
un buon successo con Buffalo Bm in Tomahawk Territory e con The
Lawless. Ma sono casi isolati, che non hanno importanza per la speranza di ripresa dei western B.
Per contro, anche
le ultime notizie confermano che la Universal, la Columbia e gli Allied Artists in modo particolare, e le altre case cinematografiche con minore
ma sempre notevole impegno, stanno preparando il lancio su vasta scala dei "nuovi western
B",
quelli
cioè che non sono e non vogliono essere colossi né propriamente storici, e che
in sostanza conservano le caratteristiche del western minore, con
l'aggiunta però di una durata superiore di proiezione, di una tecnica più
raffinata e puntualizzata nel colore, e di un'accurata scelta di interpreti, tanto da
avvicinarsi piuttosto al western della categoria A. Si vede che
Hollywood ha saputo trarre qualche profitto, quel poco che c'era da imparare,
dalle edizioni più economiche e popolari dei western. Uno degli ultimi grandi
della Universal, Saskatchewan, ricorda molto quelli d'una volta. Nonostante gli
interpreti (Alan Ladd, Shelly Winters), il regista Raoul Walsh, che ai suoi tempi diresse film
passati alla storia del cinema ormai, come The Big Trail e The Dark
Command e l'appropriato commento musicale, può tuttavia fare una certa impressione
solo superficialmente. L'illusione di grandezza è data dalla suggestività dell'ambiente
e del colore, e da un illimitato numero di comparse. Ma a bene considerare, la scena madre, il pezzo forte,
mancano. Anche le scene che
dovrebbero riuscire più emozionanti sono state riprese da lontano, in campi
lunghi, con la macchina
ferma. Infine, in tutto il film, c'è soltanto una scena che si svolge in interni. Quando Alan Ladd
entra sotto la tenda, la macchina da presa rimane fuori; quando Shelly Winters si
ritira nella sua stanza, la macchina da presa si limita a inquadrare dall'esterno
la finestra, e basta. I vecchi maestri del westen, Sam Newfield,
Leslie Selander, Lambert Hillyer e altri ancora, hanno pur insegnato qualcosa, in fatto d'economia,
con i loro poveri western, a buon mercato.
Perciò, se è vero
che i western della categoria superiore hanno talmente influito sui minori, da
schiacciarne la produzione, è anche vero che i piccoli, i poveri western non sono passati
sullo schermo senza lasciare una traccia, un loro ricordo, che è
appunto quella sensazione di freschezza immediata, di vivacità,
di vita insomma, che, se ottenuta anche nei nuovi western, potrà
continuare, sia pure con ben altre pretese, la tradizione in
certo modo gloriosa, lo spirito, delle umili e ingenue leggende,
ormai, dei cavalieri spericolati, irruenti al grido, ch'era già tutto un programma, di
"arrivano i nostri!".
WILLIAM K. EVERSON
CINEMA quindicinale di
divulgazione cinematografica Volume XII Terza serie Anno VII – 1954 10-25 Dicembre
In apertura: George
O'Brien e Marguerite Churchill nel film di Hamilton MacFadden L'amazzone mascherata (Riders of the Purple Sage). Sotto: Irene Dunne e Richard Dix in Cimarron (I pionieri), 1931.
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