Il complesso industriale della M.G.M. risiede in una
località che dista una decina di miglia da Hollywood: "Culver City", una città vera e
propria, il cui nome deriva da
quello di Harry Culver, un proprietario che nel lontano 1915, allo scopo di attrarre nella
zona - allora poco frequentata - la gente del cinema, ebbe la furberia di
offrire gratuitamente nientemeno che a Thomas H. Ince, uno dei maggiori pionieri del cinema
americano, un vasto appezzamento di terreno. Ince, che proprio in quel momento stava
per fondare unanuova casa di produzione ed aveva bisogno di uno studio più
vasto di quello di Santa Monica (che era
oltre tutto troppo distante da Los Angeles,
sua residenza abituale), accettò la proposta e dopo aver costruito quattro teatri diposa, inaugurò nel
marzo del 1915 la produzione della cosiddetta"Triangle " (nome derivato dalla forma del terreno occupato)con il film Civilization. Lavoravano in quel tempo per Ince alcuniattori già popolari: William S. Hart, Dorothy Dalton, Lew Cody,Billie Burke, Leo Carillo e Jean
Hersholt. Al fallimento della"Triangle", gli studios vennero occupati nell'estate del 1918 daun produttore di
New York, Samuel Goldwyn, il quale dopoquattro anni di fortunata attività, seguendo l'indirizzo generale
della produzione, volle tentare l'esperimento
del grande film
di prestigio, un film "colossale" sulla scia dei
mastodontici spettacoliitaliani di Guazzoni e Pastrone, già ripresi da Griffith e poida De Mille: la
riduzione cinematografica cioè del romanzo diLew Wallace, Ben Hur, che tanti guai
aveva già procurato alla"Kalem" quando nel 1907 ne aveva effettuato una versione inuna sola bobina e
in sedici quadri senza preoccuparsi di acquistarnei diritti. Goldwyn
si accinse all'impresa con
grande impegno:accaparratosi i
diritti di riduzione del
testo nel 1922, inviòin
Italia due registi, Charles Brabin e Christy Cabanne, lascenarista e
incaricata della supervisione June Mathis, e un atleticoattore già affermatosi in vari film, che avrebbe sostenuto ù ruolo del
protagonista, George Walsh. Ma i mezzi dei produttorenon risultarono
sufficienti, e l'impegnativa produzione venne interrotta,con una perdita di
oltre un milione di dollari. E' a questopunto che intervengono i nomi di Marcus Loew e di LouisB. Mayer, cui faceva capo una ditta costituitasi da qualche tempo,la "Metro Picture Corporation", i quali avevano
appuntointenzione di
acquistare gli studios di Culver City. (continua)
Fausto Montesanti
CINEMA QUINDICINALE DI DIVULGAZIONE CINEMATOGRAFICA ANNO VII - 1954 10 NOVEMBRE
Nella foto gli studios come si presentavano nella prima metà degli anni '50.
Infine, un'altra iniziativa
partita dalla stessa Hollywood ha contribuito all'eliminazione del western
B. Circa un dieci
anni fa i film western si potevano dividere in due categorie: quelli
grandiosi ed epici, e quelli d'ordinaria amministrazione, modesti, a buon mercato, senza categorie intermedie. Oggi invece,
siccome il genere western piace
sempre,
si è
creato a Hollywood, un qualcosa di mezzo tra il grande e il piccolo western, e precisamente "il nuovo westen B" che permette uno
spettacolo d'ottanta minuti, è in technicolor ed è interpretato da attori come
Sterling Hayden, Audie Murphy e Randolph Scott. Questi film costituiscono uno
spettacolo completo e hanno subito avuto una larghissima diffusione, e non si può
quindi dare tutti i torti al distributore se, dovendo scegliere tra un filmetto del genere di
quelli che si possono vedere alla televisione, e un altro invece che, con pochi
dollari di differenza, garantisce un buon colore, un eccellente interpretazione
e la durata di proiezione di un film normale, preferisce i nuovi western B.
La fine dei western
B era quindi questione di poco tempo ancora. Anche la Republic che si era specializzata
nei western musicali, conservò soltanto la serie del cow boy-cantante
Rex Allen.
Gli Allied Artists, già
Monogram, furono l'unica società cinematografica rimasta ancora sulla breccia. Ma il totale di
cinque westen per il
1954,
se paragonato ai 145 per anno di non molto tempo prima, è la dimostrazione più
evidente della crisi, anche se gli Allied Artists fecero tutto il possibile per
ridare ai western di seconda categoria la fama e il successo di una
volta.
Bitter
Creek, The FortyNine's e The Despeado
sono piccoli westen ma ben fatti nella linea della vecchia tradizione di
Bill Hart e di Tom Ince, con una trama non banale e un interesse mantenuto vivo
sino alla fine. Però, con l'assunzione di John Huston, William Wyler e Billy
Wilder, non soltanto come
registi ma anche in veste di consiglieri e, sotto sotto, di direttori di
produzione, si può star certi che i western B anche presso gli Allied
Artists, abbiano i giorni
contati.
Ciò non vuol dire
che i western B siano scomparsi per sempre e nel modo più assoluto: se
ne vedrà, ogni tanto, qualche apparizione. Per esempio, ci sono, produttori indipendenti come Edward Finney, Jack Schwarts,
Alex Gordon e John Carpenter, i quali contro ogni previsione hanno avuto recentemente
un buon successo con Buffalo Bm in Tomahawk Territory e con The
Lawless. Ma sono casi isolati, che non hanno importanza per la speranza di ripresa dei western B.
Per contro, anche
le ultime notizie confermano che la Universal, la Columbiae gli Allied Artistsin modo particolare, e le altre case cinematografiche con minore
ma sempre notevole impegno, stanno preparando il lancio su vasta scala dei "nuovi western
B",
quelli
cioè che non sono e non vogliono essere colossi né propriamente storici, e che
in sostanza conservano le caratteristiche del western minore, con
l'aggiunta però di una durata superiore di proiezione, di una tecnica più
raffinata e puntualizzata nel colore, e di un'accurata scelta di interpreti, tanto da
avvicinarsi piuttosto al western della categoria A. Si vede che
Hollywood ha saputo trarre qualche profitto, quel poco che c'era da imparare,
dalle edizioni più economiche e popolari dei western. Uno degli ultimi grandi
della Universal, Saskatchewan, ricorda molto quelli d'una volta. Nonostante gli
interpreti (Alan Ladd, Shelly Winters), il regista Raoul Walsh, che ai suoi tempi diresse film
passati alla storia del cinema ormai, come The Big Trail e The Dark
Command e l'appropriato commento musicale, può tuttavia fare una certa impressione
solo superficialmente. L'illusione di grandezza è data dalla suggestività dell'ambiente
e del colore, e da un illimitato numero di comparse. Ma a bene considerare, lascena madre, il pezzo forte,
mancano. Anche le scene che
dovrebbero riuscire più emozionanti sono state riprese da lontano, in campi
lunghi, con la macchina
ferma. Infine, in tutto il film, c'è soltanto una scena che si svolge in interni. Quando Alan Ladd
entra sotto la tenda, la macchina da presa rimane fuori; quando Shelly Winters si
ritira nella sua stanza, la macchina da presa si limita a inquadrare dall'esterno
la finestra, e basta. I vecchi maestri del westen,Sam Newfield,
Leslie Selander,Lambert Hillyer e altri ancora,hanno pur insegnato qualcosa, infatto d'economia,
con i loro poveriwestern, a buon mercato.
Perciò, se è vero
che i western della categoria superiore hannotalmente influito sui minori, daschiacciarne la produzione, è anchevero che i piccoli, i poveri western non sono passati
sullo schermosenza lasciare una traccia, unloro ricordo, che è
appunto quellasensazione di freschezza immediata,di vivacità,
di vita insomma,che, se ottenuta anche nei nuovi western, potrà
continuare, siapure con ben altre pretese, latradizione in
certo modo gloriosa,lo spirito, delle umili e ingenueleggende,
ormai, dei cavalieri spericolati,irruenti al grido, ch'eragià tutto un programma, di
"arrivanoi nostri!".
WILLIAM K. EVERSON
CINEMAquindicinale di
divulgazione cinematografica Volume XII Terza serie Anno VII – 1954 10-25 Dicembre
In apertura: George
O'Brien e Marguerite Churchill nel film di Hamilton MacFadden L'amazzone mascherata (Riders of the Purple Sage). Sotto: Irene Dunne e Richard Dix in Cimarron (I pionieri), 1931.
Nell'ambito del cinema messicano, per lo più legato
agli schemi e metodi di Hollywood, l'opera di Emilio Fernandez rappresenta finora un fenomeno isolato e, in
un certo senso, di avanguardia. I suoi film riscuotono nel Messico uno
scarsissimo successo di cassetta (André Camp ci informa (1) che La perla
ha tenuto più a lungo il cartellone a New York che a Città del Messico).
In sostanza l’opera di Fernandez è un fenomeno di cultura
che traspone nel cinema i motivi di una ricerca spirituale che impronta oggi
tutto il panorama dell’arte e della cultura messicane, Questa ricerca, che si
presenta con caratteri tipicamente nazionali, tende a individuare nella storia
millenaria del Messico gli elementi personificatori di una tradizione
spirituale e di una sensibilità espressiva. L'arte messicana di oggi trae
ispirazione dalla terra e dal popolo del Messico, riallacciandosi deliberatamente
alle antiche e primitive manifestazioni indigene precolombiane (aggiornate
però, sia pure polemicamente, ai risultati della cultura moderna).
Emilio Fernandez, di razza india, è nato a Hondo,
stato di Coahuila, confederazione del Messico, il 26 marzo 1904. Frequentò
l’accademia militare e seguì la carriera delle armi come ufficiale
d'artiglieria. Come tale combatté nella rivoluzione.
Dimessosi dall'esercito fu attore di teatro e di
cinema (come i suoi quattro fratelli: Fernando - che è uno dei più noti
cantanti messicani, Augustin, Rogelio e Jaime). Come attore lavorò per qualche
tempo anche a Hollywood dove conobbe John Ford che l’incoraggiò alla regia.
Fernandez ha conservato per Ford – che egli considera suo maestro - una sincera
e profonda amicizia.
Diresse il suo primo film nel 1941. Ecco, in ordine
progressivo, l'elenco completo dei films da lui diretti: Isla de la passión, Soy puro
Mexicano, Flor silvestre, Las abandonàdas, Maria Candelaria, Bugambília,
La perla, Pepita Jiménez, Enamorada
(versione messicana), Salon Mexico, Maclovia, Río Escondido, Pueblerina,
La malquerida, Enamorada (versione inglese con Paulette Goddard), Un dia dè vida, Victímes del pecado.
Tranne i primi due films in tutti gli altri ebbe come
operatore Gabriel Fígueroa. Da Maclovía in poi Colomba Dominguez, sua moglie,
ha partecipato a tutti i suoi films. Fernandez preferisce lavorare con collaboratori
fissi che garantiscano l’affiatamento della troupe. Segue un metodo di lavoro
piuttosto estemporaneo e gira senza una sceneggiatura rigorosamente stabilita.
Politicamente Femandez e Figueroa sono a sinistra.
Devo queste ed altre notizie contenute in questo
studio alla cortesia di Ruth Rivera e di Jaime Fernandez. (continua)
(1) André Camp:
“Aperçus sur le cinéma mexicain” in «La revue du cinéma, n. 5, luglio 1948.
Franco Venturini in
BIANCO E NERO ANNO XII – N. 4 - APRILE
1951
Nella foto: Emilio Fernandez e Rodolfo Acosta sul set di Vittime del peccato (1950)