Sono nato a Sora il 7 luglio 1901. Dunque sono ciociaro, anzi cafone. Ma mio padre e mia madre, che si chiamavano Umberto De Sica e Teresa Manfredi, erano napoletani. E napoletanissima tutta la famiglia, l'intero albero genealogico. Mio padre era impiegato nella Banca d'Italia; poi lavorò nelle assicurazioni, fece anche il giornalista; e il risultato di tutto fu una povertà sostenuta per anni e anni con una strabiliante dignità. Nessun pernicioso precedente teatrale in famiglia; mio padre mi parlava soltanto di uno zio leggendario, della cui reale esistenza io bambino non fui mai convinto, il quale dava recite in casa (immagino che cantasse canzonette napoletane] e perdette una eredità per non aver voluto troncare una recita e correre al letto di morte di un parente danaroso. Comunque il teatro (anzi si diceva “l'arte”) era un regno misterioso e affascinante di cui si favoleggiava in casa e non so nemmeno per quale concreto motivo. lo ero l'unico della famiglia che fosse assolutamente ,refrattario a quei sogni; sicché quando, a dodici anni, mi trovai spinto da mio padre a recitare in un film, la faccenda non mi piacque proprio. Era capitato che un amico di famiglia, un certo Bencivenga, allora celebre regista di Francesca Bertini, stesse girando il film L'affaìre Clemenceau con la Bertini e Gustavo Serena*. lo feci Clemenceau bambino. Guadagnai 70 o 100 lire, apprezzai molto questo aspetto pratico della cosa (servirono a pagare le tasse scolastiche presenti e future). Tornai a scuola e non ci pensai più. lo sono conservatore. Allora volevo diventare ragioniere e al teatro nemmeno ci pensavo. Molti anni dopo ero attore di teatro ed ero decisissimo a non abbandonare mai il palcoscenico per il cinema. Adesso faccio del cinema e sono altrettanto deciso a farlo ad aeternum.
Vittorio De Sica, Gli anni più belli ella mia vita, "Tempo", 16 dicembre 1954