Mimmo Addabbo - Lolli,Ubaldo Vinci, Gianni Parlagreco,Catalfamo,Fabris, Valentino,Margareci,Crimi,Fano e i Sigilli
mercoledì 23 novembre 2016
Bloody Lardani
venerdì 18 novembre 2016
Camera scatenata
Supervisionata da Murnau, la camera << scatenata >> (è cosi
che i tedeschi chiamano la camera mobile) non si presta mai a un giuoco artificioso.
Di conseguenza ogni movimento, anche quando rivela la gioia che egli prova a
liberare la camera dai suoi freni, ha uno scopo preciso, chiaramente definito.
Cosi in
Tabú moltiplicherà le
imbarcazioni indigene che si slanciano davanti a un veliero: accentuerà la
diversità dei piani, farà incrociare le barche in un vivace montaggio in cui si
vede l'eroe ritornare indietro col pretesto di andare alla ricerca di un
fratellino in ritardo; avendo così agio di gustare il flusso e il riflusso
delle sottili canoe che filano sull'acqua limpida.
Il successo dell'ammirabile inizio dell' Ultimo uomo è dovuto interamente al modo di manovrare la camera:
attraverso i vetri dell'ascensore che scende abbracciamo con un solo colpo d'occhio
l'intera hall dell'albergo con il suo baluardo di piani, sentiamo
immediatamente l'atmosfera particolare che agita il fiotto continuo dei visitatori
che entrano ed escono sotto lo scintillio delle luci vibranti di un moto
ininterrotto; i contorni si rompono e si riformano, in un rapido concatenamento di immagini che
mozzano il fiato.
Quando la camera è supervisionata da Murnau, tutte le risorse visive
sono esplorate: essa mette a nudo, lentamente, sapientemente, tocco per tocco,
il pietoso stato del portiere che qualche minuto prima ci appariva ancora ben
protetto nella sonsontuosa e pesante sicurezza della sua livrea. Rivela spietatamente
il colletto consunto di una giacca miserabile, il vestito sgualcito; e scende,
perché nulla ci sfugga, lungo le gambe raggrinchiate nei pantaloni piegati a fisarmonica.
Murnau si compiace ad unire la mobilità della camera con gli effetti di
ripresa attraverso un vetro, precisamente come ha fatto al principio del film
riprendendo la hall dell'albergo attraverso i finestrini dell'ascensore in
discesa. La scena che scatena il dramma - il direttore che annuncia al portiere
che lo hanno assegnato a una funzione più modesta - è vista di lontano attraverso una porta a
vetri. La camera mobile si avvicina lentamente, fissa la confusione del portiere
e la schiena indifferente del direttore. E, pure da un'altra porta vetrata,
vediamo venir avanti la governante incaricata di condurre Jannings al suo nuovo posto; essa simbolizza con la rigidità del suo atteggiamento “il
destino inesorabile” mentre nell'armadio luccica, simbolicamente, l'uniforme
perduta. E' con lo stesso procedimento che Pabst mostrerà attraverso i vetri di
una porta nel Diario di una donna perduta
la scena decisiva fra Louise Brooks e Fritz Rasp, il suo seduttore, e che nell'Opera da tre soldi si sorprenderà Mackie
Messer che prega Polly Peachum di seguirlo per sempre.
Murnau si compiace della superficie liscia dei vetri che sostituisce
tanto spesso per i cineasti tedeschi quell'altra superficie liscia che è
rappresentata dagli specchi. La sua camera indugia su quei piani opalescenti,
grondanti di riflessi di luce o di pioggia: finestrini d'automobile, battenti a
vetri della porta a bussola dove si riflette la silhouette del portiere vestito di un luccicante incerato, massa
scura di case dalle finestre illuminate; pozzanghere luccicanti sul selciato
umido. E' una maniera quasi impressionista di evocare l'atmosfera: sotto la sua
direzione, la camera sa fissare quella penombra diffusa che viene di notte dai lampioni
accesi, giuoca con le irradiazioni che sotto la spinta del movimento diventano
vibrazioni, scanalature luminose; tenta anche di afferrare, nello specchio dei
gabinetti i riflessi degli oggetti di toilette luccicanti o quello di una
impalcatura nera che si intravede nella corte.
Lotte
Eisner, Lo specchio scuro, ed. Bianco e Nero, 1951
giovedì 17 novembre 2016
Le cinéma vu par Bonnaffé
Il grido, 1957, Michelangelo Antonioni
Chiedo asilo, 1979, Marco Ferreri
Citizen Kane, 1941, Orson Welles
mercoledì 16 novembre 2016
“ Come al cinematografo “ pat. 2
Ogni arte, e ogni nuovo atteggiamento umano che proviene dalla finzione
artistica, agiscono sul principio con una violenza estrema. Come il gusto
dell’Opera nell’Ottocento improntò di sé grandi e piccoli drammi umani e
penetrò le tecniche delle altre arti e la moda e il linguaggio e la concezione
intera della vita, al punto che noi non possiamo pensare a quel secolo se non
sotto l’influsso del melodramma, del grande gesto, dell’eloquente, del
declamativo, così non possiamo definire il nostro tempo se non sotto l’influsso
delle arti meccaniche. Anche all’apparire di queste vi fu un eccesso, una
rivoluzione del costume: sembrò che la vita si atteggiasse a cinema, e l’ideale
della bellezza virile e femminile e la moda e gli atteggiamenti e il linguaggio
e l’arredamento e lo sport. Bisognò abituarsi a questa nuova estetica: tutto
per alcuni anni è stato cinematografo, anche negli invasamenti dei letterati.
Arte fatta di atteggiamenti e di gesti, foggiò un’umanità di gesti e di atteggiamenti. Parlo qui delle
grandi masse umane. Di dove proverrebbe, diversamente, lo spettacolo che
offrono alcune spiagge estive o alcuni campi di sport invernali dove il mare e
la neve hanno soltanto un valore di sfondo, di ambiente, di scena, mentre
l’importante è di trovarsi come in una rappresentazione,farsi fotografare in
costume come in un travestimento, assumere delle pose e vivere nella finzione
di queste pose.
Il cinema ha dato all’uomo un senso nuovo: di agire come in una
finzione e di vedersi agire. Allo stesso insegnamento del cinema s’ispirano
alcuni fatti di cronaca che si leggono nei giornali: ognuno dei protagonisti
del piccolo dramma o della piccola commedia quotidiana recitano una parte che
ricorda il film di ieri: Gli stessi cronisti hanno imparato a scrivere col
movimento dei film. E’ avvenuta una unificazione di costume. A mano a mano che
il cinema conquista nuovi popoli vi porta un diverso orientamento della vita;
tanto che per alcuni paesi di colore si sceglie la produzione cinematografica
che dia la migliore immagine della razza bianca, contagioso com’è l’esempio e
il modello di quell’arte. All’apparire di alcuni film polizieschi presso alcuni
popoli primitivi, sono accaduti delitti reali ispirati alla finzione
cinematografica.
E poi: legioni di ragazze si somigliano da quando hanno per modello le
eroine del cinema. L’ultimo colpo alla civiltà di masse, come si chiama
comunemente la nostra, lo ha dato la radio che rende il mondo d’ora in ora
partecipe degli avvenimenti più lontani nell’istante in cui si svolgono, come a
dilemmi che toccano la vita di tutti e che tutti finiscono con l’ingegnarsi a
risolvere. Molta della calma antica proveniva dal fatto che dei drammi agitanti
la storia quotidiana l’eco arrivava quando il fatto era già al suo epilogo.
Il cinema agirebbe dunque come livellatore e insieme come corrosivo del
carattere e della personalità; nello stesso tempo offre alle folle ignare un
modello universale come nessun altr’ arte fu capace, né l’Opera dell’Ottocento
né la pittura del Rinascimento- Il fatto è che i modelli proposti da questi due
secoli nelle loro arti furono ardui, indicavano qualcosa di eroico; mentre
quest’arte nuova nella sua espressione più comune offre quasi un galateo della
vita quotidiana. Ciò che non sarebbe poco. Per identificarsi a un eroe del
Cinquecento o dell’Ottocento occorreva un’aspirazione d’una certa misura,
spesso più grande dell’uomo. L’eroe che ci offre il cinema, ha detto un attore
americano, è un bravo ragazzo che chiacchiera, sorride, danza, abbraccia una
donna bella, passeggia negli ambienti più diversi, sotto la guida di un regista
e sotto la regola di uno scrittore d’un truccatore d’un operatore che vogliono
renderlo intelligente e affascinante. Per questo i film realistici sono
destinati al più sicuro insuccesso, almeno fino a quando durerà l’influsso del
cinema americano.
Bisogna consumare questa nuova estetica del costume sociale come si
consumano tutti i nuovi atteggiamenti creati dalle arti, poiché sono sempre le
arti a determinare gli atteggiamenti umani di fronte alla realtà: Il cinema
arriverà alle sue ultime conseguenze e al suo estremo sviluppo. Se seguiterà
quale è oggi comunemente, cioè un gioco convenzionale, decadrà come è destino
di ogni arte convenzionale. Se affronterà la realtà come ogni altra grande e
vera arte, sarà forse meno popolare: e non si può immaginare una così complessa
e costosa industria messa a servizio di pochi. Mi sembra ora che un certo
cinismo nella vita e nel costume provengano dal cinema, e precisamente dalla
sua leggerezza nel trattare le passioni umane. Sempre, quando l’arte fu un
gioco sentimentale, la realtà fu cruda e cinica. Poiché l’uomo crede speso di
aver pagato il suo tributo ai buoni sentimenti prendendone solo
l’atteggiamento. E il cinema ha la virtù di dare a ciascuno degli spettatori
l’illusione di essere lui il facile eroe che agisce sullo schermo, appunto
perché s’è sviluppato in un paese di differenze sociali profondissime, in
America, e noi lo abbiamo accolto e imitato tale e quale.
Il cinema sarebbe al punto cui era l’Arcadia prima della grande fiammata
romantica. Convenzione, maniera. L’arte dell’Arcadia “ si presentava come
contrasto tra l’onore e l’amore, la città e la villa, tra le leggi sociali e le
leggi della natura. Naturalmente è la natura che vince … L’ideale poetico,
posto fuori della società, rivelava una vita sociale prosaica, vuota di ogni
idealità “. Sembra una definizione del cinema (ed è Francesco De Santis che
parla dell’arte del Seicento); del cinema quale è stato codificato, regolato,
imposto dall’industria americana e come è perpetuato dai tre quarti
dell’Europa. Ma ancora il cinema non ha dato fondo alle sue possibilità
tecniche. Verrà il colore dopo il parlato. Poi verrà il rilievo. Al termine del
suo progresso non gli rimarrà che diventare un fatto poetico e umano.
CORRADO ALVARO, 1937
lunedì 14 novembre 2016
“ Come al cinematografo “
Quando Eduardo VIII lasciò il trono, apparve nei giornali illustrati
una fotografia singolare.. Essa inquadrava un finestrino di automobile, l’ex
sovrano guardava fuori col capo poggiato sul palmo della mano aperta che gli
copriva metà del viso e un occhio, in atteggiamento né triste né lieto in cui
era però l’impressione di qualcuno che ha giocato il destino; sul fondo grigio
della tappezzeria, presso l’altro finestrino visto dall’interno, uno dei soliti
portafiori di vetro, come se ne vedono nelle automobili, occupava vuoto il
resto della scena.
Si pensi un poco ad altre scene della stessa natura: Napoleone che si
congeda dalla sua fida Guardia; Carlo Alberto rinunzia al trono, vedute con
l’arte del tempo loro. E s’immagini al confronto una storia dei nostri anni
quando sarà veduta lontana e raffigurata con l’unico materiale di cui disponga
l’epoca nostra: il materiale nuovo delle arti meccaniche per cui di un
avvenimento si può tramandare non soltanto l’immagine reale, ma insieme le voci
e i suoni e i discorsi; come è accaduto che l’ultimo appello di Eduardo si
siano stampati centinaia di dischi. Ho parlato di immagine reale, ma
inesattamente. Verso il Secondo Impero la fotografia esisteva, ma le immagini
che ci ha tramandato quel tempo risentono d’una parentela con l’arte
dell’epoca: basta dare un’occhiata ai dagherrotipi di Napoleone III o di Carlotta
del Messico per leggervi le varie tendenze della pittura di quegli anni, e non
soltanto dell’arte ufficiale che è la meno significativa, ma di quella
eccezionale, d’un Renoir per esempio.
Per tutto l’Ottocento, una uguale vena assiste ogni raffigurazione
artistica, una stessa concezione della vita, ed è tutto di ispirazione teatrale
e melodrammatica, cioè la vita è colta
nel gesto, nell’atteggiamento, al culmine del dramma e della
rappresentazione. Ne risentono ugualmente la letteratura e la poesia, la
pittura e il teatro; tutti i personaggi dell’Ottocento sono, nel miglior senso,
eroi te atrabili: don Rodrigo e padre Cristoforo, Père Goriot e Napoleone,
Garibaldi e Foscolo. La prevalenza d’un’arte in un secolo rende simili a sé
molte manifestazioni della vita. La vignetta di Napoleone che congeda la sua
Guardia o quella dell’incontro di Garibaldi e di Vittorio Emanuele al Volturno
sono in questo schema d’Opera preciso. Un capolavoro di un gusto assai
esigente, la famosa “ Fucilazione di Massimiliano “ di Manet è anch’essa
melodrammatica: il gesto dei condannati, gli spettatori come un coro sul
muricciolo: L’opera regna sovrana nel secolo XIX come la pittura domina il
Rinascimento e del Rinascimento ha il supremo equilibrio, la meditazione breve
pur troppo tra divino e umano che fu il carattere di quell’epoca.
Quel che sia accaduto tra i dagherrotipi del Secondo Impero intrisi
della tecnica del Impressionismo, e la citata fotografia di Eduardo VIII
realistica e documentaria, lo spiega l’avvento di una nuova arte che è influentissima nell’atteggiarsi del mondo contemporaneo: il cinematografo. Quella
fotografia di Eduardo VIII è cinematografo, vale a dire nata e ispirata al modo
cinematografico d’interpretare la realtà: quello è il gesto e il sentimento che
avrebbe ispirato un direttore di scena che fosse artista, e il fotografo ha
ubbidito inconsapevolmente all’estetica introdotta dal cinema nella visione del
mondo moderno.
Gli ideali della fotografia al suo nascere furono panoramici, di
complesso, con l’idea che finalmente si fosse trovata una macchina capace di
fornire immagini generali; poi tornarono questi ideali alle leggi di ogni altra
arte, alla messa in valore d’un lato eloquente e parziale della realtà. La
stessa meccanica diventava tendenziosa e personale. La fotografia ha trovato
infine nel particolare la sua estetica e direi la sua ispirazione. Il cinema ha
percorso la stessa strada. I primi film erano composti per intero di scene che oggi
chiameremmo in campo lungo. Poi si restrinsero allo studio del particolare. Il
gesto del melodramma, e di ogni forma d’arte romantica, è riapparso attraverso
le arti meccaniche. Vi sarebbe tornato ugualmente per l’esaurimento
dell’Impressionismo. A ogni modo oggi ogni forma d’arte esce dal descrittivo,
dalla sottigliezza, dal cromatismo, per rivolgersi intera all’uomo. E l’uomo è
nel suo gesto, come lo fu dai Greci al Rinascimento e all’Ottocento, cioè
azione, poiché non c’è che il gesto per trasfigurare l’uomo nell’arte.
Che questo sia tutto influsso del cinema sarebbe troppo affermare; ma
il cinema vi ha contribuito, e l’umanità d’oggi, quando cerca un paragone
dell’arte per la vita, dice “ Come al cinematografo “, al modo stesso che
nell’Ottocento, si riferiva al teatro e al melodramma.
(continua)
CORRADO ALVARO, 1937
domenica 13 novembre 2016
Letteratura come Cinema come Letteratura
Васи́лий Мака́рович Шукши́н
Vasily Makarovich Shukshin
25
luglio 1929 – 2 ottobre 1974
Fu tra gli artisti di maggior talento che lottarono per descrivere il presente. Ebbe il coraggio e la forza di mostrare sullo schermo il vero muzhik sovietico e il suo mondo, e non la sua consueta falsa immaginazione. Gli spettatori sovietici gli furono riconoscenti per questi frammenti di vita vera, e Vostro figlio e fratello (1966), come pure il suo episodio inserito nel film Strana Gente (1971) divennero dei grandi successi. Scrittore, attore oltre che regista, Shukshin si lasciava solitamente coinvolgere da ogni aspetto dei film che dirigeva. Ottenne il suo più grande successo con Il Viburno Rosso (1973), il racconto veramente inconsueto di un ex carcerato e dei bassifondi sovietici da cui emanava la sensazione che la vita urbana moderna è una fonte corruttrice di malvagità e che è possibile ritrovare una sana moralità soltanto ritornando alle proprie radici nella campagna eticamente pura. In ogni caso, il meglio del suo genio fu espresso nel campo della letteratura, cosa che ebbe ovviamente a influenzare anche la sua concezione di cinema.
Mira e Antonin J. Liehm in Il cinema nell’Europa dell’Est 1960 –
1977, La Biennale di Venezia/Marsilio Editori, 1977
giovedì 10 novembre 2016
Dall' EIAR a Hitchcock
Vittorio Cramer cominciò come speaker dell'EIAR, e in quel ruolo anche nel cinema molto sovente veniva utilizzato quando serviva una voce proveniente da un apparecchio radiofonico. Lo si può ascoltare anche in Intrigo Internazionale (North by Northwest) del 1959.
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