Al suo primo apparire il cinema o, per intenderci, i film, dal mondo
cristiano in generale furono identificati con il Diavolo. Era inevitabile però che
chi metteva in scena i lavori visionati dai pubblici più disparati facesse
ricorso a storie bibliche, alla vita del Salvatore ed a qualche casta
fanciulla. A deprimere i sospetti delle alte gerarchie ecclesiastiche
intervennero da subito Enrico Guazzoni e
David W. Griffith. In Italia videro la
luce la censura e il Centro Cattolico Cinematografico. Quest’ ultimo non erano
altro che la versione aggiornata del tribunale della Santa Inquisizione che
apponeva i suoi sigilli sulle opere che venivano date in pasto ad un pubblico
sempre più numeroso: E – escluso per
tutti -, A – adulti, T – tutti. Col tempo le gerarchie vennero a patti con i
produttori concedendo abbondanti
scollature, vestiti aderenti, approcci amorosi espliciti con dissolvenza in
chiusura. A patto che tutto venisse suggellato da un’enorme Croce - vera o in
trasparenza, di legno o incandescente – finale: in hoc signo vinces. Tra i primi beneficiari ci furono, tra i
registi, Mario Bonnard e la nota ditta Ponti-De Laurentis i cui dirigenti in
mattinata visionavano i giornalieri nelle sale messe a disposizione dagli studi di Cinecittà, di
notte frequentavano i bordelli della capitale, per scoprire nuovi talenti.
Questa che segue è una delle prime pubblicazioni, come critico
cinematografico, di Sandro Anastasi, meglio noto come docente di diritto del
lavoro. Per molti la sua garbata figura è legata, oltre che alla sua attività giornalistica,
ad un momento irripetibile della cultura cinematografica messinese, gli anni sessanta/settanta
del Festival Cinematografico di Messina e Taormina, stagione che egli portò
avanti dapprima con la Settimana del
Filmnuovo all’interno del Festival
delle Nazioni e successivamente con l’esordio di Taormina Arte.
Oggi a sollevare le sue riserve al film di Sergio Leone ci
hanno pensato il tempo intercorso dalla prima apparizione e le innumerevoli
edizioni del film: dal 16 mm della Sanpaolo Film alle ultime edizioni in
digitale.
LE PRIME DEL CINEMA
C’era una volta il West
Sergio Leone, antesignano del «western all'italiana››, si è
impaniato in una narrazione complessa, involuta, sproporzionata e, se vogliamo,
narcisistica: con «C'era una volta il West», infatti, il regista italiano si
dilunga in uno spettacolo che si protrae per tre ore, nel
quale si diluiscono (fino a scomparire)
i dati positivi della sua fatica, senza che, peraltro, emerga la
impronta decisa dell'opera di valore.
Con film quali «Per
un pugno di dollari» e «Per qualche dollaro in più» l'ex ciacchista di Soldati
ha portato una ventata innovatrice nel genere western. Superati i moduli consolidati
dalla tradizione hollywoodiana, Leone è riuscito a realizzare lavori
stringenti, decisi, aggressivi, in una parola adeguati ai tempi, nel rifiuto di una vieta retorica
manieristica. Non si è trattato di opere d'arte, ma a Leone va ascritto,
comunque il merito di questa sua
sostanziale e comprovata capacità di superamento dello schematismo, in un
coraggioso(e riuscito) tentativo di modernizzare un parametro in sé
cristallizzato dal tempo. Questo suo slancio iniziale, tuttavia, si è andato
scemando; e la verifica che viene offerta da <<C'era una volta il West»,
trova riscontro, (a ben guardare) già ne «Il buono, il brutto, il cattivo››.
In realtà il limite di Leone (non sembri un controsenso) ci
appare quello di aver tentato (specie in questa ultima fase del suo impegno
cinematografico) di superare se stesso, rinunciando alla sua vocazione originaria e originale e, quindi, alla sua genuinità.
«C'era una volta il West», mentre si propone intenti di
analisi psicologiche, non regge al proposito; mentre nasce come western,
firmato da Sergio Leone (e ormai... «noblesse oblige»), si appesantisce involvendosi
in un ritmo, esasperatamente lento; mentre propone un tema narrativo, si
dissolve in piani diversi, che frazionano quella che dovrebbe essere la
sostanziale unitarietà della vicenda. In definitiva le cose buone, pur presenti
in questo film, vengono sommerse o non sono adeguatamente valorizzate,
disperdendosi nel complesso magmatico di situazioni,fatti e figure
rappresentati. Inoltre il tessuto connettivo del filmmostra l’usura delle
vicende, in fondo piuttosto comuni e ricorrenti nell’epica del western.
Ci troviamo, infatti, di fronte a due temi fondamentali,
dalle reciproche implicazioni: l’ansia dei cattivi di appropriarsi dei terreni,
il cui valore è destinato a salire in vista del giungere della ferrovia, e il
desiderio di un soggetto, «Armonica», di vendicare la morte del fratello.
Naturalmente il regista, che in effetti conosce il mestiere,
sfrutta lino in fondo le possibilità offerte da questi spunti; ne nasce un
intreccio elaborato che si sviluppa, giungendo infine ad una inevitabile
conclusione.
Ma vediamo, un pò più dettagliatamente la trama dei
soggettisti Argento e Bertolucci, avendo
cura di ricordare che in questa sede non è possibile precisare i diversi
passaggi filmici.
La vicenda è ambientata nella seconda metà del XIX secolo;
una donna deve difendersi dalle mire di un individuo senza scrupoli, che vuole
appropriarsi delle terre altrui, con evidenti intenti speculativi. Alla
poveraccia, rimasta sola perché il marito (che l’ha sposata in seconde nozze,
consentendole di rifarsi una vita) è stato ammazzato da un fuorilegge non mancherebbero le protezioni, però non del
tutto disinteressate. A sistemare la situazione ed a punire il cattivo,
sopraggiungono finalmente due strani figuri, dei quali uno è <<
Armonica», cosi trasparentemente battezzato perché suona sempre un'armonica a
bocca. Giustizia sarà fatta; molti moriranno e <<Armonica›>, per di
più potrà vendicare l’impiccagione del fratello, al quale - dopo la morte - era stata messa in bocca
proprio un'armonica.
Come traspare da questi brevi cenni, relativi alla storia
sviluppata in «C'era una volta il West», l’aspirazione di perfezionismo del
regista non trova riscontro nel fatto filmico. La confezione elaborata e poco spontanea, anche se elegante, non può
sanare le palesi deficienze di struttura e contenuto; in sintesi, Sergio Leone
può essere accusato di aver lavorato senza volgere lo sguardo al passato. In
vista di una, prospettiva, indimensionata, proponendosi obiettivi di ampio
respiro il regista ha reso opaco lo smalto che aveva caratterizzato sua m
migliore produzione senza acquisire gli elementi di una nuova, autonoma
vitalità narrativa
Gli interpreti, almeno per la maggior parte, hanno sostenuto
il peso di un lavoro che, su questo piano, può essere ritenuto più che
soddisfacente. Ottimo Henry Fonda, alle cui indubbie capacità si accoppia un apprezzabile senso di misura; gli specialisti (Charles
Bronson, Jason Robards, Frank Woolf e Woody Stroode) hanno lavorato con
inusitata sobrietà, mentre Gabriele Ferzetti e Paolo Stoppa sono incisivi
quanto basta. Claudia Cardinale, invece, ci sembra legata ad un cliché dal
quale - a nostro avviso - riesce a svincolarsi solo in qualche momento e con
molto sforzo.
Sandro Anastasi
GAZZETTA DEL SUD, Sabato 28 dicembre 1968
Il prof. Sandro Anastasi alla destra di Roger Corman
a lui è dedicata questa che è ormai la più riuscita cover del celebre tema musicale
In quel tempo in cui il cinema era il CINEMA e quando le sale adibite a
quel tipo di spettacolo erano più o meno diffuse lungo la penisola e le isole,
tra il pubblico vi era il popolo bambino la cui fantasia veniva eccitata da
avventure di vario genere e tipo. A far nascere contese ludiche tra il popolo
bambino con innocenti sogni muliebri in Totalscope ci pensavano regine principesse o popolane
vestite alla moda che andava dalla mitologia alla bibbia arrivando ai tempi di
Victor Hugo, Alexander Dumas, Emilio Salgari. Il gentile volto spesso
corrispondeva a quello di Gianna Maria Canale contrapposto a Grazia Maria Spina,
in competizione con Ettore Manni, Gordon Scott o a minacciosi sfidanti come
Livio Lorenzon. Quelle muse ne uscivano sempre vittoriose sui loro colleghi
maschi che le impalmavano, arrossando gli occhi di quel pubblico bambino non
ancora contaminato, se non da Topo Gigio o dalla Nonna del Corsaro Nero.
Questo che ora vedete di seguito, presentato dall' ENIC, è più che un prossimamente al cinema. Oggi si svela come il più bell'omaggio a Vittorio De Sica (l'amico dei ragazzi) o, per lo meno, un omaggio al regista ed ai suoi film sino all'anno di uscita di Miracolo a Milano (1951). Il merito è soprattutto di Francesco Golisano, in quel celebre film interpretava Totò, che con il suo volto bonario ci introduce nei precedenti lavori del maestro De Sica e soprattutto nella sua poetica.
Un giovanotto snello, robusto, dalle chiome increspate e dalla
fisionomia dolce, un uomo semplice dal sorriso franco e ingenuo, un giovanotto
dall’aria socievole e bonario, ecco in brevi parole la presentazione di Charles
Farrel.
Questo attore che improvvisamente si è elevato alla categoria di “
astro ” nel firmamento cinematografico, era circa due anni fa uno dei tanti
innominati che lavoravano nella settima arte, uno degli innumerevoli che
aspiravano a poter circondare il proprio nome dell’aureola della fama. Gli è
bastata una opportunità e ha saputo raggiungere di colpo il posto che tanti e
tanti si erano sforzati invano di raggiungere e che non erano mai riusciti a
conseguire. La dea fortuna ama i giovani e specialmente i giovani dal sorriso
luminoso come Charles Farrel, e un bel giorno la tanta sospirata dea si è
lasciata conquistare anche essa dal bel fanciullo e gli ha concesso la gloria e
la ricchezza.
Ciò che colpisce la fantasia di molti aspiranti agli onori dello
schermo è la facilità con cui sembra si possa raggiungere tale scopo, ma invece
non è così; non basta possedere buoni muscoli, un’andatura elegante, o un viso
regolare per poter riuscire, la cinematografia ha una grandezza spirituale sua
propria e soltanto chi riesce ad esprimerla raggiunge la notorietà. Le
complesse attitudini dell’animo umano richiedono una comprensione che solo un
cervello raffinato e una sensibilità squisita possono raggiungere; la bellezza
il più delle volte si accompagna con la povertà d’intelletto e quindi il
successo che talvolta è facilmente raggiunto è effimero come la vita di un
fiore e con eguale prestezza viene dimenticato.
Nel caso di Charles Farrel abbiamo invece un giovane pieno di
naturalezza e intelligenza che ha perseguito la sua meta con pazienza, con
tenacia, con sacrificio fino a che nel giorno della prova la preparazione ha
dato i suoi frutti ed ecco che in Settimo
Cielo segna un trionfo con la creazione di un personaggio che resterà
indimenticabile in quanti hanno avuto la fortuna di vederlo. In tutte le parti
del mondo il nome di Charles Farrel è passato su tutte le bocche con
ammirazione, con meraviglia, con entusiasmo.
Nessun altro attore nella storia della Cinematografia ha saputo
raggiungere così di colpo la fama e la notorietà conseguite da Charles Farrel
nell’interpretazione di Settimo Cielo e non è ha dirsi che il successo del giovane
attore sia stato dovuto a un caso fortuito perché dopo Settimo Cielo Charles Farrel ha entusiasmato i pubblici di tutto il
mondo nella sua interpretazione di Danzatrice
Rossa e Angelo della Strada e ora
ha riportato un grande successo nel film Il
Fiume e si prepara a un nuovo trionfo nel suo grande capolavoro per la
prossima stagione La stella della fortuna.
Come tutti i giovani attori celebri anche egli ha trovato una
rispondenza, diremmo quasi un comunione di sentimento con Janet Gaynor, la
piccola grande attrice che come nessuna altra ha saputo interpretare il film
già sopra nominato, e la direzione di un uomo di nobile intelletto come Frank
Borzage con fine intuito e squisita sensibilità ha saputo comprendere l’animo
dei due attori appassionandoli nella interpretazione dei drammi da lui diretti.
Come Janet Gaynor si direbbe creata per interpretare i drammi
cinematografici accanto a Charles Farrel così reciprocamente si potrebbe dire
che Charles Farrel è l’unico uomo che può stare accanto a Janet Gaynor, e
infatti a riprova di ciò basterebbe considerare l’interpretazione che Charles
Farrel ha fatto accanto a un’altra grande attrice, a la Greta Nissen nel film L’oasi dell’amore.
Per quanto il successo sia stato caldo e universale ciò non pertanto
tutti gli ammiratori dello schermo cercavano invano accanto alla maschia figura
del giovane la piccola ombra di Janet Gaynor, si avvertiva nell’azione
dell’eroe del dramma come un vuoto, una mancanza non ben definita e tutto il
bellissimo film ricordava stranamente una sinfonia incompleta, una musica
mirabile a cui pertanto mancava una nota, la nota della perfezione e cioè la
suggestiva interpretazione di Janet Gaynor.
Charles Farrel inoltre a differenza di molti altri attori del
cinematografo si è laureato regolarmente in legge presso l’Università di Boston
e molto probabilmente avrebbe seguitato la sua regolare professione se il
richiamo di Hollywood non fosse stato più forte e più invitante di quello delle
pratiche legali.
Come ogni giovane americano che si rispetti è anch’egli uno sportivo
eccellente, tira di boxe con rara abilità; prima di cominciare la sua carriera
vinse parecchi tornei studenteschi, anche il foot-ball esercita una grande
attrattiva per il giovane attore e indubbiamente conferisce al suo corpo la
elasticità di cui egli è orgoglioso.
Con l’avvento della cinematografia sonora Charles Farrel è uno dei
pochi attori della scena muta che ha superato con successo la prova del film
parlato e non è probabile che nella prossima stagione i suoi ammiratori possano
sentire la sua voce calda e armoniosa; la sua giovine età (egli è appena ventisettenne) gli assicura un avvenire
luminoso e per molti anni ancora egli seguiterà a interpretare sullo schermo la
figura del giovane buono e innamorato un po’ ingenuo e un pò sentimentale:
l’eterna figura dell’eroe romantico e dell’amante appassionato.
Bollettino della Fox Film Corp.
1 giugno 1929 (VII), numero 8