Mimmo Addabbo - Lolli,Ubaldo Vinci, Gianni Parlagreco,Catalfamo,Fabris, Valentino,Margareci,Crimi,Fano e i Sigilli
lunedì 23 novembre 2015
Aspettando il Western Spaghetti
Western
Italiano
” Perché non
riusciamo a fare dei western italiani? Eppure abbiamo una miniera come il
Risorgimento...“ scrive il lettore Carlo AnsoIdi di Torino “.
Non esistono neanche westerns, francesi o tedeschi o svedesi; la fortuna di quel genere dipende
dal fascino dalla grande avventura umana che fu la formazione dell'America, in
essa gli americani credono cosi i fortemente che sono riusciti a renderla popolare
anche presso gli esquimesi che non hanno mai visto un cavallo. E' un'epopea
dove c'è posto per tutti, buoni e cattivi, donne da saloon e pionieri, bari e sceriffi, indiani che scotennano e sacerdoti
che benedicono. E' un mondo che vive a cavallo e quindi acquista grande
attrattiva per noi, inesausti lucidatori di poltrone; è l’epopea del bandito,
ma anche della locomotiva e del piroscafo fluviale. Vi sono i grandi spazi che
hanno sempre affascinato gli uomini, vi sono divergenze sanate a colpi di
pistola il che provoca nostalgia in generazioni come la nostra nutrita di carta
da bollo. Il Western è libero perché
può rappresentare un bandito come un eroe e un giudice come un cialtrone.
Immagina lei che cosa accadrebbe se se si facessero film italiani sul
Risorgimento con lo stesso concetto? Se risultasse che un furiere di Garibaldi
rubava le gallina o che Francesco Il re della due Sicilie era un animo nobile?
Protesterebbero i nipoti, i pronipoti, i vicini di casa dei bisnonni di ogni garibaldino
e verrebbero presentate interpellanze alla Camera. Da noi ciò che non è
ufficialmente messo al bando diventa sacro, gente che non ha alcuna proprietà
al mondo rivendica come suo tutti i morti fino ad Adamo. A rigore, tenendosi
in equilibrio tra i vari orgogli regionali, si potrebbe fare un film sul nostro Risorgimento ma non affermare un genere o iniziano una serie, la
gente il stancherebbe presto al veder sempre meravigliosi garibaldini che
avanzano e tremuli borbonici che scappano. Senza contare che osteria paesana del
1860 è assai meno pittoresca d’un saloon del Nuovo Messico; una peccatrice
campagnola delle Paglie non ha Ia calzamaglia nera delle ballerine del West: e
soprattutto, da no, se un cavallo è un po' lungo ha il muso in un paese e Ia coda
in un altro. Dove sono le grandi distanze? Dove sono i costumi? Col trombone e
il cappello a pan di zucchero anche Gary Cooper farebbe ridere, e d'altra parte
non abbiamo tra i nostri Interpreti alcun Gary Cooper. Per
tutte queste ragioni, signor Ansoldi,
non deplori la mancanza di film Western italiani, sarebbero brutti e in malafede,
mentre il film d'avventure americano è
magari fatto male, ma sempre da gente che ci crede.
Il
Saladino
La Fiera del Cinema,
ottobre 1959
domenica 22 novembre 2015
From stage to set
Top 20 : Best Acting Performance by a Musical Performer
By Film Comment
By Film Comment
1. Mick Jagger Performance, 1970
2. Charles Aznavour Shoot the Piano Player, 1960
3. David Bowie The Man Who Fell to Earth, 1976
4. Deborah Harry Videodrome, 1983
5. John Lurie Stranger Than Paradise, 1984
6. Dean Martin Some Came Running, 1958
7. Faye Wong Chungking Express, 1994
8. Dennis Wilson Two-Lane Blacktop, 1971
9. Jacques Dutronc Van Gogh, 1991
10. Frank Sinatra Some Came Running, 1958
11. Tom Waits Down by Law, 1986
12. Burl Ives Wind Across the Everglades, 1958
13. Björk Dancer in the Dark, 2000
14. Frank Sinatra The Manchurian Candidate, 1962
15. Art Garfunkel Bad Timing, 1980
16. James Taylor Two-Lane Blacktop, 1971
17. Dolly Parton 9 to 5, 1980
18. Maria Callas Medea, 1969
19. Doris Day Love Me or Leave Me, 1955
20. Sammy Davis Jr. Porgy and Bess, 1959
L'originale è qui:
http://www.filmcomment.com/article/film-comments-trivial-top-20-expanded-to-50-best-acting-performance-by-a-mu/
giovedì 19 novembre 2015
Libertà nel cinema
Il compositore nel cinema fa un servizio. Non scrive la musica per se stesso. Certamente non è libero e vi ho dimostrato come ritrova la sua libertà. Ma non è libero nemmeno il regista. Voi credete che il regista sia libero? Assolutamente. Il cinema non è libero. Quando parlavo del cinema sperimentale dicevo che questo è fatto di immagini astratte, non c`è nemmeno la faccia di un attore. E non è certamente quello che noi vediamo. Se noi parliamo del cinema quindi parliamo sempre del cinema condizionato dal pubblico, dal racconto, dalla storia, da tutte cose che entrano nel cinema e che non hanno nulla a che fare col cinema.
mercoledì 18 novembre 2015
Sperduti nel buio del fotogramma
Come tutte le cinematografie anche il cinema in Giappone ha guardato,
dagli inizi, al mito, alla tradizione e alla letteratura del passato. A partire
da Teinosuke Kinugasa fa di più, esplora il fondo tenebroso della mente. Con A page of madness (Kurutta ippeiji, 1926) e
Crossroads (Jūjirō, 1928), riportiamo i titoli in inglese perché
più facile il loro reperimento, non è altro che uno sprofondare nelle zone nere
del cervello ma anche della fotografia. La trama serve da base per poter sperimentare
all’infinito con la grammatica del cinema. Il resto in Giappone lo facevano i Benshi (弁士) che, in sala, durante la proiezione, conducevano gli
spettatori alla visione dei film . Agli spettatori di oggi che li guardano
senza didascalie, o se vi compaiono sono negli ideogrammi originali, è lasciata
la libertà di immergersi a loro piacimento nel caos delle immagini carpendo
un’esile canovaccio per collegare il tutto. Gli studenti di cinema, per parte loro, scorgono delle influenze di
volta in volta francesi, tedesche e russe. Secondo noi solo per il motivo di
aver assistito prima ai capolavori venuti fuori da quei paesi. Questa tesi la
si può rovesciare a favore del cinema “
made in Japan “.
lunedì 16 novembre 2015
domenica 15 novembre 2015
Jean Prévost e Robert Brasillach scoprono il cinema 2
Spianate le tende dei nuovi profeti, la polemica, come
s'è detto, è continuata sotterranea nella Francia moderna. Essa è arrivata alla
luce del sole tutte le volte che il paese è stato squassato da una ideologia,
da una passione, o dal piede dello straniero. Il problema s'è posto con Zola durante
l'affare Dreyfus; con Jaurès e con Péguy al principio dell'altra guerra; s”è
ripresentato con i nostri due morti nel corso della lotta civile che ha opposto
sanguinosamente le due Francie negli anni del1°occupazione tedesca.
Il dovere s'è atteggiato, per chi era in buona fede,
per chi si è buttato nella lotta col cuore, in due modi' diversi. Tanto
Brasillach come Prévost hanno pagato con la vita la fede alla loro giovinezza;
ma uno è morto alla luce del sole e l'altro negli incerti mattini che assistono
alle esecuzioni.
Non è lecito ricercare nei due, oltre la polemica che non
tocca uno straniero educato, il punto del loro avvicinarsi?
Questo punto è, ancora una volta, il cinematografo. Il
cardinale di Retz, che era stato un protagonista della prima Fronda e che era
quindi in grado di intendersene, ha lasciato scritto che << la più grande
disgrazia delle guerre civili è che si è responsabili anche del male che non s'è
fatto >>. Ricordiamoci che la pagina innocente nella cultura di questi due
scrittori, come si dice con termine alla moda, << impegnati >>
nelle passioni e nelle fazioni del loro tempo è stato il gusto delle sale
oscure, dove esseri silenziosi, che non si
conoscono, che sono stati lì condotti dal caso,
assistono con interesse, con noia e qualche volta con disgusto, ad azioni, fantasticherie,
atteggiamenti di ombre che si muovono nel fondo, proiettate da un fascio di
luce, sulla bianca tela dello schermo.
Questo fatto enorme che è stato il cinematografo per i
moderni, s’è incontrato in due intelligenze, votate per tutto il resto alle
differenze più complete, ma, in questo piacere, all’unisono. Per questo piacere
le due esistenze hanno avuto un momento di abbandono e di quiete. Avvicinati
dal gusto del cinema, Roberto e Giovanni hanno trovato momenti di calma, di
tranquillità, di sogno, in anni che non promettevano nulla di buono. Forse
anche una conferma e un incoraggiamento al loro egoismo. Forse Brasillach e
Prévost hanno trovato la forza della penosa ultima ora nel
ricordo degli incantevoli, innocenti film in cui una civiltà lontana, e per tanti
lati ancor fanciullesca, rievocava le storie del passato prossimo. Con l’infallibile
<< Colt» impugnata dalla mano ferma, William Hart abbatteva, uno dopo
l'altro, gli indiani o i banditi assalitori; Douglas, nelle vesti di Zorro, sfidava
i più incredibili pericoli; più umanamente, con più profonda poesia, armato solo di una bombetta, di
scarpe sformate, di un ridicolo bastoncino, Carletto Chaplin affrontava le
miserie dell’esistenza e le delusioni d’amore. Nel buio, due giovani, ancora
felici, che avevano successo nella vita, i cui libri erano apprezzati, la cui
salute era buona, assistevano commossi a così innamoranti finzioni di vita. Mai
avrebbero pensato che sopra di loro incombeva un nembo ben più tremendo, che il
cinema, come le antiche arti, avrebbe conquistato le sue patenti di nobiltà
insegnando le cose supreme.
Nelle paginette eleganti della «Nouvelle Revue Française >> e della << Revue Universelle >> Prévost e Brasillach stendevano, acutamente, amorosamente, sul cinema le loro intelligenti riflessioni critiche. Forse il cinema li ha premia ti insegnando loro', non solo a vivere, ma a morire.
giovedì 12 novembre 2015
Jean Prévost e Robert Brasillach scoprono il cinema
ROBERTO E GIOVANNI
I due destini, come si è detto, ci angosciano. Quello
che è successo a Prévost e a Brasillach poteva succedere a noi e ai nostri
amici. E gli interessi culturali dell'uno e dell’altro ci erano tanto vicini,
da aver l’impressione, leggendoli, di intendere la voce di un compagno di
banco, di un collega di università o di redazione. Si intende che la fine di Brasillach,
per quel moto del cuore per cui i peccatori puniti ci sono più vicini della
gente meno avventurosa, ci è vicina con maggior urgenza di quella di Jean
Prévost; eppure, per uno straniero disinteressato, forse per lo storico futuro,
i binari del loro destino, cosi divergenti nella cronaca contemporanea, finiscono
per unirsi. Per ciò che riguarda il cinematografo, la
testimonianza di Prévost come quella di Brasillach è una testimonianza preziosa.
Sono, nel primo dopoguerra, degli intellettuali che si avvicinano al cinematografo,
non più per sfruttarlo o per un labile divertimento. ma per comprenderlo,
amandolo. Per molti uomini di lettere, usciti, adolescenti o ragazzi, dalla
vittoria del '19, il cinematografo fu davvero una scoperta vitale, una finestra
spalancata su panorami e vie sconosciute, una magica possibilità offerta a un
romantico desiderio di cose nuove, di nuove esperienze, di conturbanti scoperte.
Questa testimonianza è affidata sia nell'uno che nell’altro scrittore a due delicati
romanzi, in cui la parte autobiografica ha, come accade, un accento più puro e
pagine rivelatrici.
In
<< Diciottesimo anno >> Prévost ha fatto il racconto della sua
giovinezza studiosa, del suo incontro con la politica attiva e con l’insegnamento
di uno dei cervelli più lucidi, dei caratteri più fermi, delle coscienze più
singolari di Francia, il filosofo Alain, Prévost vi racconta che, diciottenne,
andò incontro, portando la bandiera rossa, alle << matraques ›› dei
poliziotti. Con lo stesso animo, vent'anni più tardi affronterà le pallottole
naziste. Ne << I sette colori >> Brasillach narra
In Francia, paese cattolico alle frontiere con le
nazioni protestanti, vige dal ”6oo, da quando il Re Sole fece abbattere i muri
degli eremi di Port Royal, una sotterranea polemica che è la polemica
giansenistica. I solitari pensatori di Port Royal volevano immettere nella
coscienza cattolica la sottile angoscia della Grazia. Perché alcuni di noi
saranno eletti nel cielo ed altri condannati alle tenebre eterne? Perché Dio,
che sa tutto, ha deciso lui di scegliere nella paurosa lotta della salvazione?
E come ammettere il velo di oscurità, la cortina fumogena, diremmo noi moderni,
che l'autorità di Roma ha voluto porre, schivando le pagine di Sant”Agostino,
su tale problema?
Spianate le tende dei nuovi profeti, la polemica, come
s'è detto, è continuata sotterranea nella Francia moderna. Essa è arrivata alla
luce del sole tutte le volte che il paese è stato squassato da una ideologia,
da una passione, o dal piede dello straniero. Il problema s'è posto con Zola durante
l'affare Dreyfus; con Jaurès e con Péguy al principio dell'altra guerra; s”è
ripresentato con i nostri due morti nel corso della lotta civile che ha opposto
sanguinosamente le due Francie negli anni del1°occupazione tedesca.
Il dovere s'è atteggiato, per chi era in buona fede,
per chi si è buttato nella lotta col cuore, in due modi' diversi. Tanto
Brasillach come Prévost hanno pagato con la vita la fede alla loro giovinezza;
ma uno è morto alla luce del sole e l'altro negli incerti mattini che assistono
alle esecuzioni.
Non è lecito ricercare nei due, oltre la polemica che non
tocca uno straniero educato, il punto del loro avvicinarsi?
continua
Pietro Bianchi, Maestri del cinema, 1972
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