domenica 19 aprile 2015

Body Part

Top 20 Films with a Body Part in the Title

By Film Comment

Bring Me the Head of Alfredo Garcia
1. Bring Me the Head of Alfredo Garcia Sam Peckinpah, 1974
Claire's Knee
2. Claire’s Knee Eric Rohmer, 1970
Faces
3. Faces John Cassavetes, 1968
Eyes Without a Face
4. Eyes Without a Face Georges Franju, 1960
Eyes Wide Shut
5. Eyes Wide Shut Stanley Kubrick, 1999
Adam's Rib
6. Adam’s Rib George Cukor, 1949
Reflections in a Golden Eye
7. Reflections in a Golden Eye John Huston, 1967
Heart of Glass Herzog
8. Heart of Glass Werner Herzog, 1976
1,000 Eyes of Dr. Mabuse
9. The 1,000 Eyes of Dr. Mabuse Fritz Lang, 1960
Baby Face Nelson
10. Baby Face Nelson Don Siegel, 1957
True Heart Susie
11. True Heart Susie D.W. Griffith, 1919
Cool Hand Luke
12. Cool Hand Luke Stuart Rosenberg, 1967
A Face in the Crowd
13. A Face in the Crowd Elia Kazan, 1957
Murmur of the Heart Louis Malle
14. Murmur of the Heart Louis Malle, 1971
Fists in the Pocket Marco Bellocchio
15. Fists in the Pocket Marco Bellocchio, 1965
La peau douce The Soft Skin
16. The Soft Skin François Truffaut, 1964
The Beat That My Heart Skipped Jacques Audiard
17. The Beat That My Heart Skipped Jacques Audiard, 2005
Baby Face
18. Baby Face Alfred E. Green, 1933
Nil By Mouth
19. Nil by Mouth Gary Oldman, 1997
5 Fingers
20. 5 Fingers Joseph L. Mankiewicz, 1952
L'originale è qui:
http://www.filmcomment.com/article/trivial-top-20-best-films-with-a-body-part-in-the-title

giovedì 16 aprile 2015

Le dive dei nostri nonni (3)


La grande epoca del film muto si può nettamente circoscrivere dal 1919 al 1929; furono dieci anni giusti in cui sbocciarono almeno venti capolavori. Dieci anni giusti: prima c’erano state l’invenzione, la ricerca tecnica, la guerra, e dopo ci fu la parola. Ma in quei dieci anni il cinema visse una vita intensissima e memorabile, in un’attività che lasciò il suo segno su tutta una generazione.
L'Europa politicamente era in pace, ma in compenso era ricca di tutte le nevrosi; il cinema ebbe la funzione di purificare l’ambiente, di immettere un soffio d'aria pura in un clima viziato anche intellettualmente dalla cocaina, dalle donne vestite da uomini e dagli uomini acconciati da donne, dalle più disparate avanguardie e dall’anarchismo degli snob. In compenso non era ancora stupido, ipocrita e borghese. Agì con straordinaria potenza sui ceti spiritualmente più liberi e puri della società, sul popolo e sugli intellettuali.
Sul popolo perché il popolo trovava finalmente, dopo il melodramma ottocentesco, uno spettacolo fatto per lui; sugli intellettuali perché il cinema veniva loro in aiuto, li liberava da complessi irreali o malvagi, fugava sentimenti corrotti e convenzionali, offrendo una nuova, rivoluzionaria dimensione della realtà.
Fu allora che i più inquieti tra gli intellettuali si rovesciarono sul nuovo mezzo espressivo: << clowns ›› mezzo falliti come Chaplin, giornalisti nauseati del lavoro notturno come Clair, pittori senza dipinti, musici senza ispirazione, tutti i refrattari dell'inquietissimo dopoguerra, i Murnau, gli Sternberg, i Pabst, gli Stroheim, i Dupont, i Feyder, si trovarono presenti all’adunata, fioriti dai climi spirituali più diversi, dalle geografie più appartate. Diventarono un gruppetto di maestri.
Come al tempo delle antiche poetiche, il limite (leggi, per il cinema, l’assenza della parola) servì l'arte egregiamente. Costretto a esprimersi senza le facili risorse verbali, il cinema fu rapido, allusivo, implacabile. Costretto al silenzio, trovò un suo originale linguaggio per esprimersi.
Intanto, dall'altra parte della barricata, assistevano al miracolo gli adolescenti cui la nuova civiltà, in mezzo a tante miserie, offriva un compenso che tutte le riscattava; la prima generazione cresciuta spiritualmente nel buio dei cinematografi, non perderà più quella impronta. La critica degli spettacoli cinematografici nacque molto tardi da noi; la ricerca del buon film richiedeva agli appassionati finezze che appartenevano più all’arte dei segugi che alla preparazione filologica, finezze che risulterebbero incredibili ai giovani esteti di oggi che discutono per colonne di stampa in corpo sei su De Sica come direttore artistico. Le pellicole arrivavano da fuori con titoli incredibili, con storpiati i nomi degli attori, mentre il nome del regista mancava regolarmente sui manifesti e sui cartelloni pubblicitari, e qualche volta anche al principio dell’opera. D'altra parte l'abbondanza del prodotto e l’estrema variabilità dei gusti del pubblico
creavano confusioni indicibili; mentre proprio da noi, con un gruppetto di splendide attrici, veniva inventato il divismo.
Oh, la patetica confusione che nasceva allora tra il prodotto di casa nostra, a sfondo letterario e sessuale, cui ci sentivamo legati come da un materno cordone ombelicale, e i liberi fantasmi di fuori! Anche recentemente una fotografia di Francesca Bertini, che abbiamo vista riprodotta su una rivista di lusso, ha avuto il potere di toccare un cuore che non è più tenero come allora.
                                                                                                                                                           1950

Pietro Bianchi, Maestri del cinema, 1972


mercoledì 15 aprile 2015

Le dive dei nostri nonni (2)


Chi è finito critico cinematografico dei film di oggi si deve sentire nella stessa posizione spirituale di certi cultori disinteressati di poesia, facitori di buoni versi in loro gioventù, costretti per campare a fare i professori di lettere italiane nelle scuole medie; chi per un bisogno di libertà individuale frequentò assiduamente gli ultimi posti al tempo del cinema muto è costretto ora, per pagare l’affitto e il conto della spesa, a sorbirsi quotidianamente quell’<< aridus fragor ›> di cui parla Cardarelli citando Virgilio. Con la differenza che il novello fragore non è quello che rendono le foglie morte sotto i piedi del solitario passeggero, ma cataste di parolette, imbecilli per la più gran parte, e anche cattive, uscite dagli altoparlanti. Ma forse di questo è inutile discorrere, è meglio tornare indietro.
Chi si ricorda ancora, per esempio, dei film espressionisti tedeschi che commossero la nostra adolescenza verso il 1926?I film tedeschi arrivarono tutti insieme, in masse compatte, per così dire, e a plotoni affiancati. Conoscemmo così la vera Germania prima che dai libri nei film, quella Germania che era stata falsata sino al grottesco nella nostra immaginazione infantile dalla propaganda alleata dell’altra guerra; imparammo allora a conoscere la Germania romantica, << patria dell'angoscia >›; si mossero in un clima allucinante e febbrile personaggi in dimensioni ora concrete e ora irreali, il Veidt dello Studente di Praga di Galeen e lo Jannings del Variété di Dupont. La Germania dell'altro dopoguerra reagiva alla propaganda alleata chiamando a raccolta tutte le sue energie spirituali, e di queste energie il cinema non era la meno efficace: il cinema passava le frontiere in scatole che poco ingombravano, era duttile, penetrante e silenzioso. 

Pietro Bianchi, Maestri del cinema, 1972

lunedì 13 aprile 2015

Le dive dei nostri nonni (1)

 L’addio al cinema muto fu dato in Italia da Alberto Cecchi, in modo solenne e non malinconico, in accenti ricchi di speranza, con una protesta motivata contro le parole che venivano appiccicate a un”arte che sembrava non ne avesse affatto bisogno. Alberto Cecchi veniva dalle eleganze teatrali e il cinema di allora, cioè il cinema muto, rappresentava per lui la libertà, la natura, la poesia dei sentimenti primitivi e soprattutto il silenzio. Quanto a noi, che si era allora assai giovani, assistemmo al fattaccio con sgomento, incomprensione e malessere; e dopo lo straordinario Ombre bianche che non era parlato ma sonoro, e dopo alcuni film buoni che erano stati camuffati all’ultimo momento da sonori e parlati, per quasi due anni non andammo al cinematografo.
Quando i ragazzi di oggi vedono in qualche retrospettiva uno dei capolavori del muto e mandano gridi di doveroso entusiasmo, non possono capire il curioso effetto che fa ad uno della vecchia generazione il vedere isolato, messo sotto spirito, spiegato ed illustrato uno di quei film che gli accadde di vedere da giovane, magari con la fine prima del principio, in mezzo soprattutto a una catasta di altre pellicole, e
non tutte spregevoli, di cui s’è perduto persino il ricordo.
Con questo non si vuol dire che il tempo e la critica non abbiano isolato a dovere i film memorabili da quelli che non lo sono: si vuole affermare soltanto che fra quelli caduti in oblio ce ne sono molti che avrebbero meritato di restare.
Nel cinema che chiameremo per comodo primitivo, ma allo stesso modo in cui nel campo delle arti figurative lo scultore del Duomo di Fidenza è un primitivo rispetto a Dupré, avvenne che molte pellicole furono opere di scuola, uscite cioè da una stessa matrice ideale nella quale, nell'entusiasmo della creazione comune, qualcuno, magari l'elettricista, fungeva da capo e gli altri si mettevano entusiasticamente ai suoi ordini nell'allegra consapevolezza di partecipare a un`opera febbrile e comunque non duratura. Ma non è detto che ciò che è destinato a perire sia per questo meno bello, e la retorica classicista ha commesso uno dei suoi soliti errori eloquenti quando ha associato, male interpretando il legittimo desiderio che ogni artista ha di vincere il tempo, solidità con bellezza. Per nostro conto non siamo affatto persuasi che gli scomparsi tempietti greci di legno, di cui parla Lawrence in una pagina famosa, fossero meno belli di certi capolavori che resistettero al tempo.

Ci accade dunque, quando una nostalgia cui è vano resistere, ci conduce in certe salette fuori mano dove i filologi dei cine-club offrono antichi film muti, di trovarci nella medesima posizione spirituale di Eugenia di Montijo, diventata imperatrice dei francesi, quando nel museo di Grenoble le fecero vedere un ritratto del famoso scrittore Stendhal. 
<< Ma questo non è uno scrittore, >> avrebbe detto la bellissima e romanzesca spagnola, << questo è il signor Beyle che mi raccontava le avventure di Napoleone quand’ero bambina. >> Così noi potremmo dire che questo che vediamo più di vent`anni dopo non è il capolavoro di Ford o di Murnau, ma un certo film visto nel 1925 in un pomeriggio caldo di giugno, quando si usciva dal ginnasio che il sole era ancora alto (si andava a scuola pure nel pomeriggio, in quei tempi) e si mettevano le assicelle dei libri a fare da piedistallo per diventare un pochino più alti della calca ondeggiante negli ultimi posti.
 Pietro Bianchi, Maestri del cinema, 1972


domenica 12 aprile 2015

Quanto bene funziona la natura



Ehi, qualcuno è morto dopo tutto
Il fumo è in aumento
Sì, è così
E' pietoso
se si tratta di una persona giovane ...
... invece di qualcuno vecchio
Sì, ma una nuova vita ...
... successivamente sostituisce quella
che muore

Quanto bene funziona la natura

Yasujiro OzuL'autunno della famiglia Kohayagawa (小早川家の秋 Kohayagawa-ke no aki)


giovedì 9 aprile 2015

Ramon Rojo. in memoriam


Gian Maria - Ramon - Volontè
09/04/1933 - 06/12/1994

mercoledì 8 aprile 2015