Non solo occhi, non solo orecchie
Mimmo Addabbo - Lolli,Ubaldo Vinci, Gianni Parlagreco,Catalfamo,Fabris, Valentino,Margareci,Crimi,Fano e i Sigilli
mercoledì 22 ottobre 2014
domenica 19 ottobre 2014
Le Industrie Cinematografiche Sociali
OGGI
Luigi
Mittiga, pardon Mandrin, è uno che ruba ai ricchi per dare ai poveri (forse).
Diventato il boss del contrabbando fa innamorare di sé la locandiera Rosetta ma
con l’inganno si prende anche la favorita del re. Inutile dire che dopo varie
vicende avventurose tutto si sistemerà per non lasciare l’amaro in bocca agli
spettatori.
Raf
Vallone nel 1951 prese parte a questo Mandrin
e al Cristo proibito di Curio
Malaparte, il quale fece bene a doppiarlo (da Emilio Cigoli) provvisto com’era
l’attore di una voce alquanto insipida.
E’ pure malfermo per poter renderci le gesta di personaggi avventurosi. Silvana
Pampanini è un tronco di giovane betulla con due
melograni sul davanti, oggetti di attrazione per Mario Soldati via Mario Montuori,
la quale è sorpresa sempre dall’alto delle scale per la gioia dei signori
adulti come degli adolescenti presenti in sala, specie se parrocchiale. Nella
recitazione la vincono gli attori francesi, il film è una coproduzione,
comunque le due compagini pur
esprimendosi nella propria lingua filtrano bene, meglio di tutti se la cava
Vinicio Sofia, voce nota del doppiaggio. Mario Soldati confeziona il tutto con
Vittorio Nino Novarese e lo scrittore Giorgio Bassani, senza dimenticare
Augusto Frassineti. Nino Novarese, che finì la sua carriera a Hollywood, è pure
l’artefice dei costumi, forse il pregio del film. La musica rutilante ed
operettistica è di Mario Nascimbene.
Non
riesco a soddisfare la mia curiosità circa la casa produttrice del film:
Industrie Cinematografiche Sociali. Chissà cosa intendevano fare nel sociale
dell’epoca, in un’Italia appena uscita dalla guerra e ancora da ricostruire. Si
adattava meglio al Cristo proibito
che invece era prodotto dalla Excelsa film. A proposito oltre il Vallone, ai
due film citati prese pure parte Gualtiero Tumiati.
giovedì 16 ottobre 2014
Antonioni preoccupato
Una
delle mie preoccupazioni, quando giro un film, è di seguire il personaggio fino
a quando non sento la necessità di lasciarlo. La recitazione ritrova il suo
valore attraverso l’inquadratura, che è un elemento plastico. I toni grigi e i
cieli bassi sono spesso caratteristici dei miei film. Cercando di far comprendere all'attore che
cosa deve fare, si rischia di rendere la sua recitazione meccanica, o di
trasformarlo in un
secondo regista.
Attribuisco un”importanza enorme alla colonna sonora, ai suoni naturali,
ai rumori più che alla musica.
Michelangelo Antonioni
mercoledì 15 ottobre 2014
Curzio Malaparte regista
OGGI
al Circolo di Cultura Cinematografica " Yasujiro Ozu "
Io faccio un film non per fare un film ma perché ho qualcosa da dire su
un certo argomento, e questo qualcosa non posso che dirlo che in linguaggio
cinematografico. Chi credesse che io trascuro il mio lavoro
letterario per tentare un'esperienza dilettantistica si sbaglia. La mia
intenzione è di operare con la massima serietà in questo campo della mia attività
artistica, tanto più che mi sembra che anche il cinema italiano,
come già tutto il cinema europeo, americano, cominci a dar segni di
crisi, che non è una crisi tecnica, ma d'intelligenza, di cultura, di gusto.
Nel film neorealistico ormai non c'è più niente, ed esso si regge soltanto su
un dato puramente formale. Ho scelto, in questo caso, il linguaggio
cinematografico per dire quello che voglio poiché certe volte il linguaggio
letterario non basta più ad esprimere certe esigenze morali e
sociali del mondo moderno, appunto perché questo mondo moderno rifiuta
qualunque interpretazione letteraria di se stesso.
Curzio Malaparte “Il Giornale",
Napoli, 2 agosto 1950
Un popolo con la sua visione del bene e del male, con la sua
religiosità, il suo sacrificio, che non capisce i grandi principi politici e la
giustizia o la libertà se non come soluzione dei suoi problemi esistenziali,
della
sua miseria acuitasi con la guerra, con la lotta partigiana. In questo senso,
in un clima d'abbandono e di confusione post-bellica, Malaparte cerca di
fissare sullo schermo quel popolo con le sue
passioni e le sue idee, i suoi principi, fra commozione e crudeltà. Da questa
stessa situazione di “decadenza”, già narrata nella Pelle, sembra poter venire il riscatto nell'attuazione della morale
del Cristo:
soffrire e morire per gli altri. Una sorta di “socialismo cristiano”
alla cui irradiazione non sono estranee le urgenze della storia del dopoguerra
che pervasero di populismo, socialismo, marxismo, socialdemocrazia, di
cattolicesimo la società italiana e gran parte degli intellettuali d'Italia. In
questo contesto, Malaparte esprime però il suo personale pensiero : sono gli
innocenti che devono sempre pagare ma sono essi che fanno camminare il mondo.
Le parole “sofferenza” e
“sacrificio” per gli altri non esistono più ; gli uomini hanno dimenticato il
Cristo che è divenuto proibito nella società moderna. Come si può ancor dire
che la migliore vendetta è il
perdono ? Si può ancora credere nel mito della giustizia individuale ? E'
ancora possibile un minimo di sacrificio personale?
Malaparte opera nel cinema rimanendo un letterato che ha preso, per un
attimo, la macchina da presa per illustrare una storia che invece era stata
originariamente pensata in modo narrativo.
da Luigi Martellini, Malaparte fra letteratura e cinema
Luigi Martellini del Cristo proibito
film si sofferma ad analizzare solo la parte
testuale tralasciando l’aspetto tecnico-visivo che per un principiante come lo
era allora, e per l’unica volta, Malaparte, è di notevole confezione, senza
tradire, peraltro, la sua natura di prosatore. Come il futuro Pasolini sperimenta
con la macchina da presa, il carrello, le luci, e gli interni ricreati in
studio; nessuno ancora aveva utilizzato l’elicottero per fare delle panoramiche
e come Charlie Chaplin si appronta da sé il commento musicale. Bisogna
scoprirlo da soli per essere affascinati da quest’opera apprezzata più altrove
che nel suo paese.
Mi domando solo … e se Corrado Alvaro si cimentava con la cinepresa?
giovedì 2 ottobre 2014
Santi lo si è solo dopo
Il cinema italiano non ha solo buoni registi, si distingue anche per
gli eccellenti operatori fra cui Aldo Tonti, che può essere considerato uno dei
primi del mondo.
Con La terra trema per
esempio, è evidente come Luchino Visconti, il cui splendido Ossessione ha
tuttavia inaugurato la rinascita del cinema italiano, tenti una sintesi
magnifica fra la tecnica verista più rigorosa e una composizione plastica che
la traspone completamente. I pescatori di Visconti sono dei veri pescatori, ma
hanno l’andatura da principi di tragedia o eroi d’opera, e la dignità della fotografia
dà ai loro stracci l’aristocrazia di un broccato rinascimentale.
Dirigendo lo stesso operatore di Visconti – lo straordinario Aldo che i
teatri di posa francesi si sono lasciti sfuggire – Augusto Genina non si è per
questo preoccupato di meno di giocare il gioco del realismo.
Si sa che Cielo sulla palude è un film di circostanza, realizzato in
occasione della canonizzazione della giovane Maria Goretti, assassinata a
quattordici anni dal ragazzo a cui essa si rifiutava. Tali premesse potevano
far temere il peggio. L’agiografia è già in se un genere pericoloso, ma insomma
ci sono santi da vetrata e altri che sembrano fatti – quale che sia il loro
rango in paradiso – per i gessi dipinti di Saint-Sulpice. Il caso di Maria
Goretti non sembra a priori più promettente di quello di santa Teresa di
Lisieux. Meno addirittura, poiché la sua biografia è priva di avvenimenti
esemplari; è quella di una povera famiglia di operai agricoli nelle paludi
pontine, all’inizio del secolo. Niente visioni, niente voci, niente segni del
cielo; l’assiduità al catechismo e il fervore della prima comunione sono i soli
segni, banali, di una pietà comune. Certo, c’è il “ martirio “, ma bisogna che
il film arrivi a quest’ultimo quarto d’ora perché “ succeda finalmente qualcosa
“.
E anche questo martirio, che cos’è in fondo nelle sue apparenze e nelle
sue motivazioni psicologiche? Un qualsiasi delitto passionale, un fatto di
cronaca senza originalità drammatica: “ Un giovane contadino uccide a colpi di
punteruolo una ragazza che gli rifiutava i suoi favori. “ E perché? Non c’è un
elemento di questo delitto che non possa avere una spiegazione naturale. La
resistenza della ragazza può non essere che un pudore fisiologico esacerbato,
un riflesso della bestiolina che ha paura. Certo, oppone ad Alessandro la
volontà divina e il peccato, ma non c’è bisogno di ricorrere alle sottigliezze
della psicanalisi per comprendere di quale aiuto possano essere per un’
adolescente impaurita dalla vita gli imperativi del catechismo e la mistica
della prima comunione. Ammettiamo anche l’influenza morale dell’educazione
cristiana non si limiti a fornire un alibi ai veri moventi inconsci: la
condotta di Maria non è ancora convincente, poiché capiamo peraltro che ama
Alessandro; allora perché questa resistenza dalle conseguenze tragiche: o è un
riflesso fisiologico più forte dell’accordo sentimentale, o è realmente
l’obbedienza a un principio morale, ma allora non è spingerla fino all’assurdo,
poiché fa l’infelicità di due esseri che si amano? Del resto Maria, prima di
morire chiede perdono ad Alessandro del male che gli ha fatto, cioè di averlo
spinto ad ucciderla.
Ma merito di Genina è quello di aver fatto un’agiografia che non prova
niente e soprattutto non la santità della santa. Il suo merito: non solo artistico
ma religioso. Cielo sulla palude è
uno dei rari film cattolici validi.
Il cinema italiano secondo André
Bazin, op. cit.mercoledì 1 ottobre 2014
lunedì 29 settembre 2014
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