giovedì 30 maggio 2019

Лари́са -



If your life had been enriched with care for another person, then you have already justified your existence. This is evidence of the spiritual life of a person.These riches belong not to you personally, but to the public, if you live by the life of other people.There‘re things that are sacred to all of us. There’re well-defined notions of good and evil, of our morals. There’re such everlasting qualities as love for your homeland. What is this? What are we born into this world for? What will we contribute to this world? How can we make life better? In the final analysis, my possibilities as a person. Your possibilities.

Se dedichi la tua vita ai problemi degli altri, hai giustificato la tua esistenza. Questa è la testimonianza della vita spirituale dell’uomo. E’ un patrimonio personale e collettivo allo stesso tempo. Se vivi la vita degli altri ti accorgi che c’è qualcosa di bello in ognuno di noi. Bisogna avere una idea chiara della propria moralità. Ad esempio ci sono qualità innate come l’amore per la patria. Ma che cos’è? Per quale ragione siamo venuti al mondo? Siamo qui per rendere la vita migliore. In fin dei conti, io ne ho l’opportunità come essere umano. E l’avete anche voi.
Лари́са Ефи́мовна Шепи́тько 1938 - 1979

mercoledì 29 maggio 2019

The tie in the movies - La "burina", la pazza, quella sconsigliabile

- La più “burina”?
cravattona spinata, compose con camicia, di Alberto Sordi in “Amore Mio Aiutami”.



- La più pazza?
mega cravatta oversize di Peter Sellers in Hollywood Party, disegni iperrealistici.


La più sconsigliabile?
la cravatta di Frenzy (Hitchcook), che con tutte le sue simbologie e implicazioni, è la fatale arma del delitto.

(continua)

Marina Nelli, VIETATO FUMARE tuttocinema & dintorni ANNO I – N. 1 – NOVEMBRE 1984


lunedì 27 maggio 2019

The tie in the movies - l'ambigua, la nuda, la chic & Rock Hudson

- La più ambigua?
con gli occhi sgranati, vaghi e fondi di Bette Davis in L’Amica.


- La più “NUDA”?
è  Genevieve Waite in Joanna di Sarne, che, nuova Eva, si veste solo di cravatta.


- La più “chic”?
un certo farfallino punta-spillo di Curd Jurgens (L'Angelo Azzurro con May Britt) e come sa darci il senso del tratto dell’uomo (ecco che la cravatta si fa psicologa) e come ci significa la sua eleganza e classe, 


ma anche il suo riserbo e self control, l’uomo ci appare un po’ freddo, prudente, certo non è la cravatta che Rock Hudson lascia impigliata in una femminile cerniera.

(continua)

 Marina Nelli, VIETATO FUMARE tuttocinema & dintorni ANNO I – N. 1 – NOVEMBRE 1984

domenica 26 maggio 2019

The tie in the movies - la più allegra e la più "dura"

 - La più allegra?
 sono due: la cravatta lunga nella beffa del saluto di Olio e la farfalla di Stanlio.



- La più “dura”?
ancora una coppia, sotto il cipiglio dei due bei mascalzoni: Belmondo e Delon in Borsalino.

(continua)
 Marina Nelli, VIETATO FUMARE tuttocinema & dintorni ANNO I – N. 1 – NOVEMBRE 1984

mercoledì 22 maggio 2019

The tie in the movies



La cravatta nel cinema

Non sembri un nonsense questo intrigarsi a vicenda di due culture normalmente da noi considerate su piani ben distinti. L’abbigliamento è parte estetica rilevabile e rilevante di un film, ma diciamo che l’occhio solitamente afferra solo la totalità generica del look e raramente si sofferma sui particolari a meno che questi, per incisività di effetti, emergano dal contesto scenico.
La cravatta poi, attributo quasi scontato dell'eleganza maschile, si mixa alla personalità dell’attore che la indossa e ne diventa parte integrante di tipologia e fascino, senza però divenirne visibile protagonista.
Ma in realtà i legami sono più sottili e complessi talvolta sorprendenti.
Cogliamo l’occasione di una importante mostra che si tiene a Milano a Palazzo Acerbi, dal titolo “CRAVATTA AL MUSEO”, organizzata da Gherardo Frassa. In questa story, mosaico di aspetti sociali, artistici, industriali, dove la cravatta viene interpretata, indagata, “aggredita” ed esaltata, in diverse angolazioni e dialettiche, c’è una stimolante voce intitolata “MOVIE TIE”.
Durante questa mostra che andrà poi a Firenze al Pitti-Uomo di gennaio e che è prevista itinerante in Italia ed Europa, verrà proiettato in continuazione un “FILM DEI FILM”, realizzato con i vari spezzoni dal noto critico TATTI SANGUINETI, il quale ci insegnerà a “VEDERE” la cravatta sullo schermo, in situazioni via via sentimentali, tragiche, comiche o paradossali, tutte comunque illuminanti per una nuova attenzione.
E la cravatta non è una ma mille. (continua)
Marina Nelli, VIETATO FUMARE tuttocinema & dintorni ANNO I – N. 1 – NOVEMBRE 1984

domenica 19 maggio 2019

Amori e lotte in Sila






La vita riprenderà ovvero Il sentiero dell'odio, girato da Sergio Grieco in Sila nel 1950 con, in ordine di apparizione, Marina Berti, Piero Lulli, Ermanno Randi e Carla Del Poggio. Il film alla sua uscita non sestò particolare interesse e tutt'ora è inediti, digitalmente parlando. Il secondo titolo fa riferimento a I pascolo dell'odio (Santa Fe Trail) di Michael Curtiz di dieci anni prima.



giovedì 16 maggio 2019

Detective Thriller - Detective Stories



Nella cultura americana la « detective story » ha sempre rappresentato simbolicamente la capitolazione dell'artista recalcitrante nei confronti della comunità borghese. Capitolazione che nessuno ha mai raffigurato meglio di Billy Wilder nel suo Private Life of Sherlock Holmes, in cui il mistero centrale è dato dal personaggio Holmes e il dramma autentico dalla sua estraneazione rispetto alla realtà vittoriana che lo circonda, sancita dalla sua dubbia appartenenza sessuale e dall'uso di stupefacenti.
Quando la « detective story ››, con lo Sherlock Holmes di Arthur Conan-Doyle, passò in Inghilterra, per lungo tempo in America non ebbe altri cultori all'infuori di Mark Twain, il quale però in «Drouble-Barrellerd Detective Story» e con il suo « amateur sleuth ›› Pudd’nhead Wilson dovette prendere proprio distanza da Holmes (cosi .come questo ostentava disprezzo e sufficienza nei confronti del C. Auguste Dupin).
Anche l'avvocato e «detective » dilettante Gavin Stevens di William Faulkner, che appare per la prima volta in una serie di racconti pubblicati sul « Saturday Evening Post », più tardi raccolti in volume sotto il titolo « Knights Gambit ››, rappresenta il tentativo dello scrittore di fare la pace con il Sud, l'America, il mondo intero. Anche il Quentin Compson di « Absalom, Absalom! » si auto-torturava e si autodistruggeva, percorrendo il vasto e profondo Sud alla ricerca di una fatidica verità. Anch'egli non era che una specie di « detective » dilettante, ma la verità l'avrebbe disrutto. Al contrario di Quentin Compson, il «detective » riottoso e antagonista che sceglie il suicidio, Gavin Stevens, il<< detective ›› conciliante e socialmente utile sceglie il lieto fine. Per quanto alle prese con questioni estreme in fatto di colpe e responsabilità Gavin Stevens in « Non si fruga nella polvere ›› e « Requiem per una monaca ›› si ritrae dall'orrore e scivola verso il sentimentalismo. Dal primo dei due romanzi citati nel 1949 Clanence Brown trasse una trasposizione cinematografica, Intruder in the Dust, girato quasi interamente a Oxfond, Mississippi, città natale di Wiillliam Faulkner, che pur senza rendere tutta la materia dello scrittore, non ne tradiva la tematica e si poneva come un « social exposé ›› contro il linciaggio, come Fury di Fritz Lang e The Ox-bow Incident (1943, Alba fatale) di Willialm A. Wellmaln.
Ma la versione più appiattita e conciliante dell’archetipo di Gavin Stevens è l'avvocato [Gregory Peck] protagonista di To Kill a Mockingb-ird {Il buio oltre la siepe] di Robert Mulligan, dal romanzo omonimo di Harper Lee: anche qui un negro accusato di un delitto che non ha commesso viene salvato dalla brama di vendetta pubblica della « prude » e razzista comunità dei bianchi.
Nella storia della « detective story ›› americana non mancano altri perdimenti al freddo rompicapo e altre capitolazioni nei confronti della comunità borghese. Il Philo Vance di S. S. Van Dine è una specie di esteta decadente che ei rende socialmente utiile in qualità di « amateur seuth ››. Charlie Chan, l’investigatore cinese di Honolulu ideato dallo scrittore Earl Derr Biggere, impersonato dall'attore Warner Oland nelle numerose trascrizioni hollywoodiane delle sue avventure [non tutte sulla base di storie di pugno dell'autore) segna il trionfo della totale accettazione dell'« outsider ›. L'ombra sinistra del « chink » di Sax Rohmer, Fu Manciù, anch'essa più volte proiettata sullo schermo, si trasforma nella panciuta e più gradevole « silhouette › dell’orientale che mette tutta la sua saggezza, nonché tutta la sua astuzia, al servizio della legalità, né più né meno come fanno il giapponese signor Moto di John P. Marquanld e l'hawayano Johnny Aloha di Dray Keene.
Ma il contributo essenziale della cultura americana alla « detective story » è indiscutibilmente uno strano rampollo della letteratura sulla violenza urbana che imperava negli anni venti e trenta: una quanto mai realistica descrizione della corruzione nella grande città il cui supporto è dato dalle peripezie del «private eye››. Questi non ha più nulla in comune con il «dandy » «diventato «almateur sleuth ››: la moderna « detective story » americana non rappresenta più simbolicamente la capitolazione ai dettami del sentimentalismo, del freddo rompicapo e del lieto fine, ma ci dà la più piena affermazione dell'orrore sociale della società capitalistica americana. Geograficamente il « private eye ››, il « detective », lo « shaimus ››, lo « sleuth », l'« operator » delle varie agenzie investigative, eredi della famosa Pinkerton, è uno «easterner ›› ›[anche se spesso le sue azioni hanno luogo in California] ma la sua derivazione ideologica e mitopoietica è quella del « westerner ››, l’incarniazione dell'innocenza dell'uomo che è sempre vissuto a contatto della natura, al cospetto della frontiera, e che adesso si muove cercando di restare senza macchia attraverso la corruzione che abita la grande città. Tale parentela non è sfuggita a Dashiell Hammett: che nel racconto « Corkiscrew » ha fatto del suo tarchiato « operator ›› lo sceriffo di una cittadina del West. Né è sfuggito a Donald C. Siegel che in Coogan's Bluff (1968, L'uomo dalla cravatta di cuoio) dapprima manda il suo «deputy » di contea [Clint Eastwood) ad arrestare un capo indiano fuggito dalla riserva e successivamente lo spedisce in jet in trasferta a New York, dove prendere in consegna un malfattore da estradare (Don Stroud).
Nel film di Donald C. Siegel le disavventure del ,« westener › gettato nel calderone rutilante della società urbana, industriale e permissiva si prestano a diventare supporto di un’apologia della società agricola che non è lontana dal fascismo alla Goldwater. Nel racconto di Dashiell Hammett invece [e in generale in tutta l'opera sua) lo «shamus ›› irreprensibile è l'onesto proletario che si guadagna da vivere con il suo duro lavoro e illumina per contrasto la spietata e perversa società dei ricchi; ed egli non parla o si muove con la pedantesca condiscendenza del C. Auguste Dupin ma nel linguaggio del popolo. (continua)
Franco Ferrini, I GENERI CLASSICI DEL CINEMA AMERICANO, BIANCO E NERO, 1974 Fascicolo ¾