giovedì 13 novembre 2014

L'arrivèe d 'un train en gare a Messina




Kinetofotografo - Ieri sera si è inaugurato in via Pozzo Leone N. 39 il Kinetofotografo ed ha attirato un pubblico numeroso ed eletto.
Abbiamo ammirato l'entrata di un piroscafo in porto, " la piazza della Repubblica in Parigi, " i monelli che raccolgono monete sulla spiaggia a New York, la passeggiata velocipedistica ad Hyde Park a Londra, ma la fotografia che più di altre desta l'ammirazione del pubblico è " l'arrivo del treno ".
Il Kinetofotografo sarà visibile per soli pochi giorni.
Pubblicato sulla Gazzetta di Messina e delle Calabrie il 13 febbraio 1897

"Europa 51" un capolavoro maledetto




Cominciata con un capolavoro incompreso ( Umberto D ) l’annata termina con un altro capolavoro maledetto, Europa 51 di Roberto Rossellini. Come si era rimproverato a De Sica di aver fatto un melodramma sociale, così si è accusato Rossellini di cadere nell’ideologia politica confusa e stavolta piuttosto reazionaria. Significava ancora una volta ingannarsi sull’essenziale giudicare il soggetto astraendo dallo stile che gli conferisce il suo senso e la sua dignità estetica. Una giovane donna ricca, e frivola, perde l’unico figlio che ha tentato di suicidarsi una sera che sua madre, troppo preoccupata dalla mondanità, l’ha mandato a letto con disattenzione. Lo choc morale è così violento da sprofondare la giovane donna in una crisi di coscienza di cui cerca dapprima la soluzione nell’azione sociale seguendo i consigli di un cugino intellettuale comunista. Ma a poco a poco essa ha la sensazione che non si tratti ancora che di un piano intermedio che deve superare verso una mistica tutta personale della carità al di là delle categorie della politica e perfino della morale sociale e religiosa. Così è portata a curare fino alla morte una prostituta, poi ad aiutare a fuggire un giovane criminale. Quest’ultima iniziativa fa scandalo e lo stesso marito, che la capisce sempre ,meno, preferisce vederla rinchiusa in una “ casa di cura “ con la complicità di tutta la famiglia spaventata della sua demenza. Si fosse iscritta la partito comunista o fosse entrata in convento, la società borghese avrebbe avuto meno da ridire: Europa 51 è il mondo dei partiti e dei reclutamenti sociale sotto tutte le forme. Da questa’angolazione, è vero che la sceneggiatura di Rossellini non è priva di ingenuità, nonché di incoerenze, e comunque di pretese. E’ facile immaginare in particolare in quel che l’autore ha preso dalla biografia di Simone Weil senza ritrovarne peraltro la solidità di pensiero. Ma queste riserve non tengono davanti alla totalità del film che bisogna comprendere e giudicare sulla base della sua messa in scena. Che varrebbe, ridotto al suo assunto logico, L’idiota di Dostoevskij? Poiché Rossellini è un vero regista, la forma del film non è in lui l’ornamento della sceneggiatura, ne è la materia stessa. L’autore di Germania anno zero è personalmente e profondamente ossessionato dallo scandalo della morte dei bambini e più ancora del loro suicidio. E attorno a questa esperienza spirituale autentica che il film prende corpo; il tema della santità laica, tema eminentemente moderno, vi si sviluppa naturalmente; la sua organizzazione più o meno abile in sceneggiatura importa poco; ciò che conta è che ogni sequenza sia una sorta di meditazione, di canto cinematografico, per il tramite della messa in scena, su questi temi fondamentali. Non si tratta di mostrare ma di mostre. E come resistere alla sconvolgente presenza spirituale di Ingrid Bergman, e al di là dell’interprete, restare insensibili alla tensione di una messa in scena in cui l’universo sembra organizzarsi sulle stesse linee di forza spirituale fino a disegnarle in maniera altrettanto leggibile della limatura di ferro sul campo magnetico della calamita? Raramente la presenza dello spirituale negli esseri e nel mondo era stata espressa con una così abbagliante evidenza.
 E’ vero che il neorealismo di un Rossellini appare in questo caso ben diverso, se non contraddittorio, da quello di un De Sica. Ci sembra tuttavia corretto accostarli come i due poli di una stessa scuola estetica. Là dove De Sica fruga la realtà con curiosità sempre più tenera, Rossellini al contrario sembra spogliare sempre più, stilizzare con un rigore doloroso ma impietoso, insomma ritrovare il classicismo dell’espressione drammatica attraverso le regole e attraverso la scelta. Ma a guardare da vicino, deriva dalla medesima rivoluzione neorealista. Per Rossellini come per De Sica si tratta di ripudiare le categorie della recitazione e dell’espressione drammatica per costringere la realtà a dare il suo senso a partire dalle sue sole apparenze. Rossellini non fa mai recitare i suoi attori, non gli fa esprimere questo o quel sentimento, li costringe solo ad essere in una certa maniera di fronte alla macchina da presa. In una tale messa in scena, il posto rispettivo dei personaggi, la loro maniera di camminare, i loro spostamenti nell’ambiente, i loro gesti hanno molta più importanza dei sentimenti che si dipingono sul loro volto, oppure di ciò che dicono. De tresto, che “ sentimenti “ potrebbe mai “ esprimere “ Ingrid Bergman? Il suo dramma è ben al di là di ogni nomenclatura psicologica. Il suo volto non è che la traccia di una certa qualità di sofferenza.
Che una tale messa in scena richiami una stilizzazione il più evoluta possibile, Europa 51 lo prova con evidenza. Un  film del genere è il contrario stesso del realismo “ colto sul vivo”: l’equivalente di una scrittura austera e rigorosa spoglia a volte dell’ascesi. Giunto a questo punto il neorealismo ritrova l’astrazione classica e la sua generalità. Di qui questo apparente paradosso: la versione buona del film non è quella italiana doppiata ma la versione inglese in cui è stato conservato il massimo di voci originali: Al limite di questo realismo l’esattezza della realtà sociale esterna ridiventa indifferente. I bambini delle strade di Roma possono parlare inglese senza che noi pensiamo a questa verosimiglianza. La realtà per il tramite dello stile si riallaccia alle convenzioni dell’arte.


Il neorealismo e il post-neorealismo.
Il cinema italiano secondo André Bazin, op. cit.

lunedì 3 novembre 2014

Lardani oscurato

A un certo punto Iginio Gigi Lardani sparisce dai crediti dei film da lui titolati. Per non parlare di tutti i prossimamente approntati con un marchio inconfondibile per le elaborazioni sulle immagini e le sequenze dai lui tagliate e cucite con mano sicura.  Quindi risulta impossibile approntare una filmografia, forse neanche gli eredi ci riuscirebbero, per cui si va avanti per via di raffronti di immagini e registi con cui ha collaborato: Leone, Valerii, Lupo, Castellari ecc. ecc. come questo prossimamente approntato per l’edizione in inglese de Il mio nome è nessuno del 1973.


domenica 2 novembre 2014

Cinefotografo, passatempo istruttivo



Il cinefotografo in via Pozzo Leone - Siamo tornati a vedere questo geniale trattenimento e con piacere constatiamo che il tremolio delle immagini che nelle prime sere toglieva tanta parte d’illusione è evitato
sin dove ì mezzi attuali dell’arte consentono.
Le vedute sono di un' esistenza che non lascia niente a desiderare - sono sette tutte belle ma quelle
 che più entusiasmano il pubblico sono, l' arrivo del treno ferroviario, la gara velocipedistica a Hide Park , i monelli di New York. 
Il pubblico vi accorre numeroso , la sala è ben messa e nella sua semplicità, elegante.
In totale, per la tenue spesa di C.mi 50 si può esser più che soddisfatti tanto più che il passatempo `e anche istruttivo, perche dopo aver visto, mettiamo, la gare di i Hide Park si può dire ai aver visto Hide Park.


Pubblicato sulla Gazzetta di Messina e delle Calabrie il 15 febbraio 1897

giovedì 30 ottobre 2014

Kinefotografo, la prima volta a Messina


Kinefotografo. -   Questa sera in Via, Pozzoleone, 39, accanto al Teatro V- E. inaugurazione dello spettacolo col seguente interessantissimo programma :  
1 Entrata di un vapore in porto.
2. La Piazza della Repubblica a Parigi.
3. Monelli che raccolgono monete sulla
spiaggia a New York.   
4. La, passeggiata, velocipedistica ad
    Hyde Park a Londra.
5. L' arrivo del treno.

Pubblicato sulla Gazzetta di Messina e delle Calabrie il 12 febbraio 1897

mercoledì 29 ottobre 2014

De l'humain au minéral, l'enchantement du monde (de Calabre)

di LE MONDE | 

Des révélations comme celle-là, il s'en manifeste rarement. Des cinéastes comme celui-ci, il faut les honorer. Ce film, d'une malicieuse simplicité, est stupéfiant de beauté et de gravité. On s'y retrouve au bout du monde, en un lieu archaïque où perdurent des traditions ancestrales. C'est pourtant bien aujourd'hui qu'il a été tourné, dans un paisible village médiéval perché dans les montagnes de Calabre.

Quatre histoires s'y enchaînent, comme se succèdent les saisons, elles-mêmes rythmées par des petits épisodes faussement anodins dont l'auteur scrute les effets en chaîne. La première cerne un vieux berger mal rasé, chemise à carreaux et pantalon de velours brun, qui conduit quotidiennement son troupeau de chèvres sous des cieux peu fréquentés. Majesté du silence, musique des grelots. Bêlements, bruits de sabots. Le pasteur courbé sur son bâton se rend régulièrement à la sacristie où la bonne du curé lui refile de la poussière d'église contre une bouteille de lait.
Délayée dans l'eau, cette poudre magique a des vertus thérapeutiques. Il en boit sa rasade chaque soir avant de se coucher, comme un médicament. Un jour, le sachet sacré tombe dans l'herbe pendant que le vieux soulage ses intestins. Ce soir-là, lorsqu'il tente, aux abois, de se procurer une nouvelle dose de particules miraculeuses, il trouve porte close. Le vieil homme va mourir durant la nuit, s'asphyxiant sous le regard de ses chèvres qui ont envahi la masure.
Ainsi filme Michelangelo Frammartino, en privilégiant un son d'ambiance sans dialogues et ses cadrages, passant du jour à la nuit, et vice versa. L'écran devient noir lorsque se ferme la porte du caveau. Et la lumière aveugle un chevreau extirpé de l'utérus de sa mère. Nous suivons maintenant la croissance de ce petit fragile, son sevrage, jusqu'à ce qu'il s'égare du troupeau dans un maquis, se retrouve seul, perdu, agonisant de froid au pied d'un arbre majestueux. L'arbre est un grand sapin, celui que les villageois choisissent pour la fête de la "Pita" : il est scié à la base, transporté vaille que vaille pour être érigé sur la place du village, mât de cocagne d'un jour avant de finir tronçonné, chez le charbonnier.
La quatrième histoire est celle de la construction d'une meule : bûches disposées en cercle selon un rituel, recouvertes d'un lit de foin, puis de terre. Et combustion, cuisson un jour et demi durant, pour obtenir du charbon de bois.
Ces fascinantes strophes des cycles naturels déclinent quatre règnes : ceux de l'humain, de l'animal, du végétal et du minéral. Michelangelo Frammartino cite Pythagore : "Nous avons en nous quatre vies qui s'emboîtent les unes dans les autres. L'homme est un minéral, car son squelette est constitué de sels, un végétal, car son sang est comme la sève des plantes, un animal, car il est mobile et possède une connaissance du monde extérieur. Il est humain, car il a volonté et raison." Le philosophe grec du VIe siècle avant Jésus-Christ ne doit pas vousinquiéter.
Aucune prise de tête dans Le Quattro Volte, rien que de la poésie secrète, une captivante exploration de coutumes et des temps qui scandent vie, mort, et renaissance. Une éblouissante limpidité narrative. Pythagore habita là, en Calabre, y enseigna le sens caché des choses et la présence d'une âme en chaque chose. Se dépeignant comme "un médium entre la matière et la forme", filmant sa cosmogonie, Frammartino aime à rappeler que Pythagore discourait derrière un rideau, une toile qui préfigurait l'écran de cinéma. Cet hommage relativise l'empreinte de l'homme, qui n'est au centre de l'image que le temps de passer le relais au chevreau, puis au bois et au charbon, au fil d'une transmigration. Rien ne se meurt, tout se transforme. Le décor reste immuable, les pulsations de la matière varient.
D'où vient ce Frammartino à formation d'architecte, qui semble avoir appris la dignité existentielle chez les gens de peu, au contact de rituels païens, et dont la manière, l'art d'orchestrer son cantique de la terre, évoque celle du grand Ermanno Olmi, l'auteur de L'Arbre aux sabots (1978) ? Situé dans la même région, contant le naufrage d'un village dépeuplé où une jeune fille muette et attardée offrait son corps à des automobilistes de passage, son premier film, Il Dono (2003), était déjà interprété par cet attachant vieillard qui n'est autre que son propre grand-père. Il y exaltait le don, en opposition à l'échange.
Grand Prix indiscutable du dernier festival de cinéma italien d'Annecy, Le Quattro Volte témoigne d'une curiosité contemplative pour les mystères et d'une réticence viscérale pour les artifices. Mais aussi d'un sens aigu de l'humour. Digne deBuster Keaton et de Jacques Tati, un long plan-séquence dont le héros est un chien vaut, à lui seul, d'être préservé dans les cinémathèques. A l'entrée du village, au croisement de deux routes, ce clébard endiablé perturbe la procession religieuse des habitants déguisés en soldats romains, puis retire une cale sous la roue d'une camionnette stationnée en équilibre instable, qui dévale la pente et défonce en contrebas la barrière de l'enclos où le berger parquait ses chèvres. Ici, le réalisme extrême de cette fiction aux apparences de documentaire réinvente la mécanique des catastrophes en chaîne et l'art du cadavre exquis.

L'originale è qui:
http://www.lemonde.fr/cinema/article/2010/12/28/le-quattro-volte-de-l-humain-au-mineral-l-enchantement-du-monde_1458461_3476.html